Oggi s’ha a far della fatica tanta;
scrivere ne dobbiam trenta o quaranta.
con quattro servitori e due lacchè
e con quattro cavalli al suo copè.
Fosser anche di più, ne avrei diletto,
cederò, se bisogna, anche il mio letto.
questa dama, monsieur, che vien da noi...».
torna, dopo due anni, a questa volta.
Sì, venga anch’egli ad alloggiar da me.
che sarà con piacer da me alloggiata».
Caro signor padron, ci pensi un poco.
Io gli dico di no, con sua licenza.
Ed io dico di sì. Che impertinenza!
con chi solo per voi piange e si affanna?
che principiaste a favellar d’amore,
schietto vi apersi il core; e prevenuto
confessandolo a voi, da un altro oggetto,
anche il vostro dovea cangiare affetto.
che per due anni si scordò di voi,
Anzi deve tornare in questo giorno.
perciò più lieta or mi vedete in viso.
un felice rival sugli occhi miei.
è di un tenero cor costanza e fede.
Quell’affetto per cui mi struggo e peno,
deh compatir non isdegnate almeno.
al primo amor che mi ha ferita e accesa.
che piange e si dispera, poverello?
Cara amica, il sapete, egli mi onora
mi vuol quel core a disperar costretta.
Oggi, contessa, il cavalier si aspetta.
amante ancor, dopo due anni interi
che lontano da voi non scrisse un foglio?
Della sua fedeltà temer non voglio.
dopo due anni, il cavaliere è giunto.
se vi son forastieri ha domandato.
Digli che venga qui, che qui l’aspetto. (A Giacinto)
che si veste, si liscia e si profuma.
d’astucci, scatolette ed altre cose
ed un mezzo bavul d’acque odorose.
viaggiator vanarello e caricato.
Son de’ mesi che aspetto il suo ritorno.
Oh vogliamo star bene in questo giorno!
come un tempo vi amò, doveva subito
Eccolo, amica, il cavalier che viene.
All’una e all’altra il mio dover tributo.
Facciamo il complimento oltramontano.
non è lecito ancor. (Ritirandosi)
il costume cambiar del mio paese.
Questa dama chi è? (A donna Emilia accennando la contessa)
Troppa bontà. (Alla contessa)
Permettete ch’io faccia il dover mio. (Le bacia la mano)
È ospite la dama? (A donna Emilia)
che la casa da lei viene onorata.
Non perdete così l’età più bella. (Alla contessa)
Ha nessun che la serva? (A donna Emilia)
Fin che state con noi vi servirò. (Alla contessa)
trattamento miglior far non sapete?
Se mi offerisco di servir la dama,
non è amare e servir la stessa cosa.
Da per tutto, madama, or che ho viaggiato.
che avete fatto del profitto assai.
Un altr’uomo, un altr’uomo io diventai.
Se tornaste un altr’uomo, avrete in petto
adunque un altro cor forse men fido.
Un corsaro son io che torna al lido.
da ch’io manco di qua, quanti amoretti
vi volaro d’intorno al vago ciglio? (A donna Emilia)
Fui costante mai sempre al primo affetto.
Voi mi fate arrossire a mio dispetto.
il corsaro finor fece in amore. (A donna Emilia)
chiamasi in Inghilterra una pazzia.
che ha tratto il cavalier dai viaggi suoi!
Lo stesso ch’egli fa, fate anche voi.
meno di quel ch’io l’amo.
Sento che dice il cor: «Si cangerà!»
Il modo di pensar di donna Emilia
Se mi sprezza talun, lo sprezzo anch’io.
facilmente così col secondarli,
come riesce talor col non curarli.
sostenere il decoro un poco più,
finché dura bellezza e gioventù.
Tutto il vostro palazzo è mal piantato,
le porte anguste e le finestre antiche.
Il vero confessar deesi a drittura,
in Italia non san l’architettura.
Genova, padron mio, veduta avete?
Fuori, fuori d’Italia e stupirete.
arriva il carrozzin con la marchesa. (A don Fabrizio)
Questa dama chi è? (A don Fabrizio)
A riceverla andiam, so il mio dovere.
Vivere non s’insegna a un viaggiatore. (Il cavaliere s’incammina verso la porta correndo)
L’ultimo in questa casa è il padron mio;
che lo cacciano un dì fuor della porta.
ova fresche, tè lungo e cioccolato.
comandi pur, sarà servita; andiamo.
Povero galantuom, non ha viaggiato.
di riceverla in casa e di servirla.
Questi è il padron di casa? (Al cavaliere)
Ma lasciatevi pur servir da me.
Ecco, scegliete il più gradito odore. (Le offre varie boccette d’odori)
Si sente mal? Vuol che le diamo un brodo? (Alla marchesa)
Vi ho capito, madama; anch’io lo godo.
Si ha da star qui? Che cerimonia è questa?
Eccomi, madamina, andiam di volo. (Le dà mano)
Favorisca anche me. (Le offre la mano)
e farò con madama il mio dovere.
posso offerirle la mia servitù.
Non ho tempo per or di dir di più. (Parte)
ne ho avuti cento e non ne ho amato alcuno;
ed or con questo saran cento e uno;
che da questa imparai gentil canzone:
da cui l’albergo mio viene onorato.
Alla dama gentil, che ben mi è nota,
offro l’ossequio mio. (Alla marchesa)
per favore di lor sono alloggiata,
vi offro la servitù. (Alla marchesa)
domandi pur con libertade amplissima,
Una casa simile a’ giorni miei
Dite, signora mia, donde venite? (Alla marchesa)
Vi sono in Londra de’ costumi strani?
Eh non san niente i poveri Italiani.
che hanno di tutto il mondo?
una donna obbligar sol con lo spendere?
chi viaggiato non ha non può parlare. (A don Fabrizio)
Siete stata a Parigi? (Alla marchesa)
come mai può soffrir questi paesi?
chi viaggiato non ha non può dir niente.
ma persuasa son non vi sia loco
le figlie oneste a rispettar sì poco. (Parte)
Ha ragione mia figlia. (S’alza)
Chi viaggiato non ha soffrir conviene. (S’alza)
Facciam conversazione fra di noi.
di servire una donna stravagante
che ha nel corpo uno spirito ambulante!
stanco son d’impazzire e giorno e notte
con codesto novello don Chisciotte.
Basta, basta, non voglio mormorare.
Anch’io servo un padron ch’è un animale;
ma vuo’ tacere e non ne vuo’ dir male.
Oh vi assicuro ne direi di belle.
Anch’io mi sfogherei, che ne ho ragione,
ma non vuo’ mormorar del mio padrone.
ma qualche cosa si potrebbe dire.
e non paga il salario al servitore
e fa strillare i creditori suoi,
è cosa che si può dir fra di noi.
che una civetta come lei non c’è,
questo lo posso dir fra voi e me.
sempre qualche bellezza ha che l’incanta,
fa il grazioso con tutte e son settanta.
ogni tre o quattro dì cambia un amante.
Anch’io del mormorar sono inimica.
e pensiamo a trovar miglior fortuna.
Per me non ho difficoltade alcuna.
più cortese mi sia, fingo di amarla
ma son pronta, prontissima a piantarla.
per amore di lui, ch’io vada matto
ma s’ei crepa, mi vesto di scarlatto.
che in noi viene l’amor dall’interesse.
staremmo in fra di noi perfettamente.
ch’io vi fossi marito e voi mia sposa!
Consigliatevi ben, Livietta mia.
ma qualcosa di più sa chi ha viaggiato.
né s’impara così di posta in posta.
che contendiam per una cosa istessa.
È una contesa tal che v’interessa. (A donna Emilia)
sull’interpretazion della costanza.
Questa perseveranza è da pedante.
E si prova, con facili argomenti,
la costanza soggetta ai cambiamenti.
di mancator di donna Emilia in faccia.
se si mette a viaggiar, corre pericolo
di farsi reputare un uom ridicolo.
che ridicol vi fate or fra di noi?
posso tutto soffrir. Sì, mio tesoro,
l’amor mio, la mia fede io vi protesto.
Qual novità? Qual entusiasmo è questo?
Pietà, bell’idol mio. (Le bacia la mano)
Gente si appressa. (Viene la contessa)
Servitore divoto alla contessa. (Si alza impetuosamente e corre a baciarle la mano)
(Il suo labbro, il suo cor più non intendo). (Da sé)
parmi d’esser più lieto e più felice.
Venga pur la marchesa. (Ad un servitore)
vi prendete di me ridevol gioco?
di lasciar le persone in libertà,
si usa da noi sì fatto complimento.
sola non lascierebbonvi un momento.
Una simil viltà da chi s’intese?
voglio fare un regalo a tutte tre.
(Cavaliere gentil, grazioso e bello!) (Da sé)
che la padrona alle altre due preceda.
uno stucchietto d’Inghilterra accetti;
degnisi di aggradir questi fioretti.
Ho delle dame da servir per tutto.
e i nomi registrati ho nel mio diario. (Caccia di tasca un libro di memorie)
Vi domando perdon, deggio andar via.
È il cavalier che le martella il cuore.
Lascio fare e fo anch’io quel che mi piace.
S’ha da penar? Da sospirar? Perché?
pria che andasse lo sposo all’altro mondo,
ma trovato finor non ho il secondo.
Si vede ch’è inclinato a favorirmi.
Vuo’ mostrar d’aggradirlo e divertirmi.
trova forse migliore appartamento.
Sola star nel mio quarto io non mi sento.
Se non sdegnasse la persona mia...
a servirla verrei di compagnia.
Favorisca. (Siede ed accenna ch’ei si ponga a sedere)
Perché sì da lontan? Si accosti ancora.
Eccomi da vicino. (Si accosta di più)
e posso con un uom di questa età
prendermi un poco più di libertà.
Non è un dolor che ogni dolore avvanza,
perdere i nostri giorni in vedovanza?
e una sposa trovar che vi consoli.
che a me piacesse e ch’io piacessi a lei...
quasi quasi, davver, la prenderei.
né trovo un uom che più di voi mi piaccia.
io vi parlo così con cuor sincero.
degl’incontri felici e fortunati.
e che il cuore talvolta è un indovino.
son due anni ch’io son senza marito.
Sì, vi ho capito. (Consolandosi)
quando crede capir va più lontano). (Da sé)
che mi rende felice e fortunato.
Non vi dico di più. Per ora addio. (Va per partire, poi si ferma)
come sarebbe a dir, mezzo insensato.
S’ella dice davver, forse... chi sa?
è una sposa trovar di buonumore
che per me senta il martellin d’amore.
pria che il ferro si scaldi a sì gran foco,
fra noi pensiamo e discoriamo un poco.
anche di mezzodì pranzar col lume. (I servitori portano innanzi la tavola e le sedie e si prepara il pranzo)
parliam del nostro amore.
per spiegarvi davver se vi vuo’ bene.
Un’altra volta poi ti dirò il resto. (A Livietta)
Questo perpetuo seccamento usato
non lo posso soffrir da che ho viaggiato.
«Vada lei, passi lei, lei, mio signore...»
Don Fabrizio è un buon uom ma è un seccatore.
che scoperto mi abbiate il di lui foco!
Ciò servirà per divertirci un poco.
Siamo qui. Sedan, padroni.
Seda lei. (Alla contessa)
Prima lei. (A don Fabrizio)
qua il signor don Fabrizio, a lei vicino.
Qui donna Emilia e la marchesa qui.
Ed io presso di lei, va ben così?
dovrebbe un po’ più in qua...
le tavole a dispor da che ho viaggiato.
una nuova invenzion ch’è tutta mia
per mettere gli spirti in allegria...
ebbe in Londra fortuna e fu lodato. (I servitori danno a tutti da bere)
col bicchiero alla man si ha da cantare.
poi gli altri tutti canteranno il coro.
Si è cantato e bevuto; son contento,
or divido la zuppa e la presento. (Dà la zuppa)
(Questo caro signor fa da padrone). (A Livietta)
(E il padrone di casa è un bel minchione).
Non ho mangiato mai zuppa peggiore.
Due anni or son che nel gran mondo io vivo.
Che piatto è questo? Permettete, oibò. (Assaggiandolo)
vi consiglio di andarvene a drittura.
Non ho inteso maggior caricatura.
Per dir la verità, dacché ho viaggiato
Se voglia di mangiare or non mi sento,
farò qualcosa per divertimento.
Mi ricordo in Olanda ad una tavola,
mi divertivo a far de’ matrimoni.
per ischerzo così, per allegria,
tutta vuo’ maritar la compagnia.
con la contessa don Fabrizio ed io
servitor, cameriera ancora voi. (A Giacinto e Livietta)
So quel che deggio far, risolverò. (Parte)
Con dame non convien prendersi gioco. (S’alza)
e ve lo sosterrò, son cavaliero.
(Da incontro tal la mia fortuna io spero). (Parte)
Gente che non uscì dal suo paese
non distingue gli scherzi dalle offese.
Io soglio rispettar le donne tutte.
Andate a maritar le donne brutte. (Parte)
Capite or la ragion perché è sdegnosa?
Peggio d’una tedesca è pontigliosa.
a inquietarmi così la compagnia.
Tutto si aggiusterà, la cura è mia.
non ce ne abbiamo a mal per niente affatto.
mi dispiace che sol restato sia.
questa dama servir per questo giorno
e poi domani a donna Emilia io torno.
Signor no, non conviene, io vi rispondo.
Voi non sapete ancor cosa sia mondo.
merita che una dama si risenta
e sarà cura mia far ch’ei si penta.
e trattate colui come un baggiano.
Donna Emilia, che dite? La germana
Pria di risolver ponderar conviene.
di una che sol di voi sente pietà,
parto e voglio lasciarvi in libertà.
Se non bastan le preci, il pianto, il sangue
per ottener la bella mano in dono.
Basta per or che non mi dite un no.
ch’ora un’ingrata io sia.
Deh vi basti così, più non chiedete.
Ecco il sospetto mio. Speranze vane
ite pur dal mio seno, ite lontane. (Si scosta)
Per quattro o cinque dì saran beati.
che arrivan presto al matrimonio i guai.
A chi ha giudizio non arrivan mai.
fosse lieta con me fino alla morte.
frutto d’una leal sincerità,
e lasciarvi goder la libertà.
senza far i contratti molto lunghi,
nascono i matrimoni come i funghi.
Esser fatta la sposa è il mio contento.
Una cuffia ben fatta, un bel vestito,
de’ bei pizzetti e delle belle gonne
son le cose che piacciono alle donne.
Cara marchesa, vi confesso il vero,
di restar qui. Vi sto con mio dispetto,
trovo solo in viaggiando il mio diletto.
Si starebbe pur ben fra voi e me.
per variar cielo e correre la posta.
mi esibirei, vi pregherei, madama.
Donna Emilia, signor, molto non vi ama.
dee serbar la parola un uom d’onore.
che non conosce i pregi del marito.
starem lontani e ci godrem così.
Donna Emilia testé si è fatta sposa.
Mi rallegro con lei, padrone mio.
Se fosse ver, dovrei saperlo anch’io.
alla padrona mia non avrei fronte.
Non andrà quest’ingiuria invendicata.
E un’altra novità le voglio dire.
che il servitor di casa mi ha pigliata
e all’improvviso mi ha testé sposata. (Parte)
Tutto il mondo si sposa ed io sto senza.
Ma lo ritroverò. Basta... Pazienza.
Marchesa, il vendicarmi a voi si aspetta.
che col tempo l’amor verrà doppoi.
e ci serva costui di testimonio.
Ma sarete con me discreto e saggio?
Il resto poi discorrerem per viaggio.
Lo dico in faccia al galantuom ch’è qui,
non dovreste con me trattar così.
meco parlava e mi dicea che ha fretta,
Son due anni che aspetto e tempo egli è
ch’io lo torni a pigliar.
del piacer che destina alla signora
Quando vi piaccia di accordar voi stesso,
Subito, immantinente, in sul momento.
Don Fabrizio il consente.
Temo ancor di passar qualche periglio.
E quel ch’è fatto è fatto.
si troncheranno gli sponsali suoi.
Donna Emilia sposato ha il fratel mio.
con le spade, coi schioppi e col cannone
se di far quel che ho fatto ebbi ragione.
Andate tutti due, buoni figliuoli.
Godiamo, se si può, lieti e felici
e la pace e l’amor ci renda amici.
vi ringrazio, signor, con tutto il core.
Torno a far con la sposa il viaggiatore.