Metrica: interrogazione
583 endecasillabi (recitativo) in Filosofia ed amore Venezia, Fenzo, 1760 
Mi rallegro con voi di tutto cuore.
E s’unirian senz’altro testimonio
la schiava e lo scolaro in matrimonio.
                                 Pietà signora.
Disgraziati, l’avrete a far con me.
a denari contanti. (A Cloridea) Uno scolaro
con quel poter che ho dallo sposo mio,
                                  V’obbedisco. Addio. (A Leonzio)
                                                  No, fermate.
Mentre fuor di paese è il precettore,
state voi colla schiava a far l’amore?
e pietosa m’avrete al vostro affetto.
                                     È una mia schiava.
che sia nobile nata a noi fa fede.
Voi l’adorate ed io la venderò.
ma non son maritata. Egli potrebbe
E s’io giungessi a questo passo amaro...
consolarmi potrebbe un suo scolaro.
                                                È ver; ma quando
lo volesse il destin, dite Leonzio,
l’affetto mio non gradireste allora?
Lungi siam noi, non vi rispondo ancora. (Parte)
filosofo, seccante e fastidioso.
trarmi una volta da cotanti guai
questo scolar mi piacerebbe assai.
che nel seno di lui destato ha il foco
nemica son per gelosia non poco.
                           Che c’è?
                                             Torna il padrone.
Quando torna, per me torna un intrico.
un’altra schiava ed uno schiavo ancora.
                                                Non l’ho veduto;
ma vuo’ sperare che bellino ei sia
e che mi tenga buona compagnia.
                                         Oh bella affé!
Tutto, tutto per voi, niente per me?
                                           E tu non sei
di Rapa giardinier tenera amante?
ma se procuro anch’io d’averne un paro
dalla padrona a regolarmi imparo.
(Oh questi due si vogliono il gran bene!)
                                        Eccomi qui.
Vorrei che foste dove nasce il dì.
vorrei che andaste dove muore il sole.
Così lontani, vivereste in pace.
da me fatta padrona in queste soglie,
mi viene incontro ed il suo sposo accoglie?
                                        Oh! Bentornato.
via, di buon cor, toccatevi le mani.
                                       No, non importa.
Già ci vogliamo ben senz’altri fatti.
Che maniera gentil! Che amor da gatti!
Ho comprato uno schiavo ed una schiava.
                                                  Anzi è bellissimo.
di lei mi è noto, a belle cose avvezza, (Ironico)
ho comprato un Narciso, una bellezza.
                                                     Corina,
venga a baciar la mano alla signora.
Glielo dirò; corro a chiamarlo in fretta. (Va per partire, poi torna)
Menalippe graziosa è innamorata?) (Da sé)
Leonzio della schiava innamorato).
le sue fiamme coltiva in questo tetto? (A Menalippe)
                                    Sì, ho sentito.
                                          Anche di più?
Brava, signora sposa, in verità.
ma queste poi mi toccano la pelle.
soffrir deggio vedere a me vicino?
Eh sì sì, lo scolaro è più bellino.
(Diamine! Non vorrei...) Che importa a me
(Quanto si scusa più, più si fa rea).
                                      Brutto villano,
questa donna si dice a una mia pari?
Son di Xanto la sposa e voi signore (A Xanto)
o ch’io lo fo saltar con un bastone.
vile, come son io, brutto e meschino,
la padrona ne vuole un più bellino.
E sapete il perché? Lo dirò io.
che supplisca talvolta al loro umore,
dove manca il padrone, il servitore.
                                                 Il lodate? (A Xanto)
Veramente di voi degno è lo schiavo.
non trattate il meschin con tanta asprezza,
d’andarmene lontan da’ muri vostri,
per viver quieta ed isfuggir due mostri.
a lei che pieno ha di veleno il gozzo.
Cosa ho da dir? Gettatela in un pozzo.
                                  Dicesti bene.
Disfarmene dovrei prima d’un’ora. (Ad Esopo)
Ma quel volto mi piace e l’amo ancora.
che uniscansi fra loro in armonia
Sciocco! Che pensi tu che sia la donna?
della femmina un giorno anch’io dirò.
                                   Parliamo adesso.
                                               Signor no.
se di scacciar colui non v’impegnate.
                            Che mi burliate io dubito.
Voglio che lo scacciate adesso subito.
                                     Il tempo è bello e buono.
Tant’è, voglio così; non replicate.
Eh lasciatemi andar; non mi seccate. (Canta l’aria sempre in atto di partire trattenuto da Menalippe)
un altro ceffo impertinente odioso.
Ma so ben io quel che farò; se a Xanto
io mi vendicherò collo scolaro.
e vuo’ far quel che voglio a suo dispetto.
In Esopo davver comprò un bel fusto.
che di filosofia pare un maestro.
                          Lo so, perché ho sentito
che di spirito è bel, se il viso ha brutto.
Corina del suo spirto innamorata
quasi quasi di me s’è già scordata.
che avrò il modo ancor io di vendicarmi.
                                                 Sto a vedere
quello che tu sai far; poi colla schiava
che il padron questa mane ha qui condotta
saprò fare di te la mia vendetta.
soggezione non ho; so ch’è una sciocca,
che non dica per uso una sciocchezza.
È un gran pregio però la giovinezza.
giovine quanto basta? E mi vorresti
porre di quella stolida al confronto?
                                            E in faccia mia
vuoi Esopo lodare a mio dispetto?
                                                   Ed io pretendo
                                    Corina mia,
                                   Voglio andar via. (Parte)
un altro oggetto e darmi gelosia.
semplice è un poco troppo e a lei non bado.
Le frutta e i fiori a coltivare io vado. (S’avvia al fondo del giardino)
Ascoltiamo che dice. (Accostandosi un poco)
                                        Oh poverina!
resister non potrò sicuramente;
                                            Ehi quella giovane.
                                      Greca son io.
                                    Signor no.
                                   Mi proverò.
                                So camminare,
so rider se bisogna e di buon core,
se qualcun mi vuol ben, so far l’amore.
                                         Oh sì, signore.
                                        Brava, brava;
                                   Oh signor no.
Cloridea, Floridaura e ancor Barsina.
(È innocente davvero). Vi ho sentito
                                    Povera figlia!
e non l’ho più veduta e tanto tanto
bene ci volevam che sempre ho pianto.
una che appunto Cloridea è chiamata.
Io la conoscerò. Volesse il cielo
che fosse quella che cotanto ho amata,
vorrei che fosse la mia innamorata.
L’amerei, s’egli fosse un po’ bellino.
invaghito di voi, non mi amereste?
                     Perché no? Che scusa avete
                                            Non mi piacete.
                  Vi parlo schietto.
                                                   Ed io vi dico:
non me n’importa un fico. La bellezza
senza spirito e brio poco s’apprezza.
Io non so che si dica e non m’importa
di saperlo nemmen. Vorrei vedere
se la mia Cloridea qui si ritrova.
si presenta di nuovo agli occhi miei,
voglio far all’amor solo con lei.
mi segue ed importuna; ed io sospiro
                                    (Che bel signore!
Questo mi piaceria più di quell’altro.
ma alla mia Cloridea non vuo’ far torto).
Quasi gli parlerei; ma non ardisco).
                                  La riverisco.
                                       Io non lo so.
                                             Signor no.
                                        Oh quest’è bella!
forestiera nessun mi ha mai chiamata.
                                              E voi chi siete?
                                   E che imparate?
ma una scienza miglior mi detta amore.
                                           Voi pure amate?
Sì signor, per servirla, e mi lusingo
se qui ritrovo la mia innamorata.
                                                Oh quest’è bella!
                                             Non vi capisco.
                                            È Cloridea.
siam nate entrambe nel paese istesso,
Ditemi s’ella è qui per carità.
                      È vezzosa.
                                           È bella?
                                                            È bella.
Voglio vedere la mia innamorata.
Signor no, signor no; la voglio io.
                                         (Oh maledetto!)
                                     Vi do parola
che sarete ambedue liete e contente.
                                       Giovin garbata,
siete già innamorata? (A Merlina)
                                           Sì signora.
                   Non di me...
                                            Dello scolaro
                                   Non vo’ sentire.
                        Non mi fate intimorire.
                                         V’ingannate...
                                         Eppur credete...
Siete un bravo scolaro e imparerete.
                                               Poverino.
che in questa guisa ne averete tre.
                                         Eh già lo so
quel che dir mi vorreste. Nell’amare
                                              Oh oh davvero
per le vie, per le piazze a dir si sente:
«Quel povero Leonzio è un innocente!»
                                      Affé di Bacco,
veggo là Cloridea dolente e sola.
Ehi dico, una parola. (Verso la scena)
                                         E che volete?...
Voglio quello ch’io voglio e voi tacete.
                                           Poverina
Si è trovata Leonzio un’altra bella.
dandomi una mentita. Io l’ho sentito
e negarlo vorebbe il mentitore? (Verso Leonzio)
la malizia, l’inganno e il tradimento.
(Dalla rabbia ch’ho in sen crepar mi sento).
                                           Eh non vi credo.
M’ingannate, crudele, io già lo vedo.
                                                 E cosa importa?
                                           Io son chi sono.
seco parlate e intenderete poi...
Credere non vogl’io né a lei né a voi. (Parte)
che farò in tale stato? Ah finalmente
si saprà che son io fido e innocente.
e sapienti e felici io vi farò.
non viene alla lezion? Quel ragazzaccio
ha il cervello distratto in amoretti
ed in lui la ragion cede agli affetti.
Andatelo a chiamar. (Lo compatisco.
che l’umana ragion cede all’amore.
poco mi ama e moltissimo m’inquieta
e la deggio soffrire a mio dispetto).
la lezion facciamo. State attenti
e stampate nel cor tai sentimenti.
                                          Tu cosa sai,
                                         Non ho studiato;
ma uomo anch’io son nato e la natura
si suol filosofar. Ma gl’intelletti
si ammaestran però con i precetti.
i cervelli imbrogliar con cento fole.
                                      Ascolterò.
Menalippe m’inquieta e il rio demonio
mi vorria trappolar col matrimonio.
frenar procuro e m’affatico invano.
invitò in propria casa un nettapanni;
«Io verrò sporco e tu non verrai bello».
dal cattivo guastare il buon s’ha visto,
anzi che il buon faccia migliore un tristo.
lasciate far a me che vi prometto
far che resti umiliata a suo dispetto.
ma voglio in premio la mia libertà.
Se tu cambi una donna affé sei bravo;
ma per questa ragion resterai schiavo. (Parte)
Egli teme a ragion, perché non sa
qual sia del mio cervel l’abilità.
                                    Leonzio qui?
da’ genitori suoi venduta a Xanto,
lasciai la patria e mi condussi alfine
schiava infelice a rintracciare in Samo.
quella per cui sospiro è Cloridea.
                                Credo lo sappia;
strano desio di Menalippe ardita.
or mi tenta, or m’insulta ed or minaccia.
ch’io m’impegno di farvi un dì contento.
quando tempo sarà, ve lo dirò.
                                       Sì, lo farò.
so che meco comun la patria avete.
Di voi, amico mio, di voi mi fido
e col vostro favor la sorte io sfido.
Questa è cosa opportuna al caso nostro.
serva di mezzo... Basta... Si può dare...
Eccola appunto. Vuo’ dissimulare.
se mi riesce ingannar questo volpone).
bella padrona mia gentil, garbata.
Sì, caro, al tuo buon cor sono obbligata.
                                         (Eh furfantone!)
Posso in nulla servirvi? Comandate.
                                       Voi mi obbligate.
d’uno schiavo sì bel la leggiadria.
Non ho veduta più tanta bellezza.
Tu sei proprio la stessa gentilezza.
(S’ella mi burla la corbello anch’io).
il bello interno corrisponde ancora.
Non si può dir di lei che ha un sì bel core
come la volpe al lupo del scultore:
Bravo, vorresti dir dunque perciò
ch’io son bellina ma cervel non ho?
Non signora, non son tanto incivile.
ma non vorrei che gli venisse fatto,
come fece col sorcio astuto gatto.
a far male a nessun non sono avvezze
e se posso ho piacer di far carezze.
se fossi in libertà, discreto amante
La fede in una donna è cosa rara,
come da questa favola s’impara.
ad onta ancor della malizia usata
che ancora voi le favolette amando
vi andate cogli apologhi spiegando.
E sentirmi da voi perciò m’è caro,
con pelle di leon, chiamar somaro.
sentirmi dir da quella bocca esperta
lupa da pelle d’agnellin coperta.
Onde sia per virtù, sia per malizia
ci potressimo unire in amicizia.
qualche cosa ottener segretamente
il padrone da me non saprà niente.
vedo che mi vuoi ben; ma per costume
cosa che dispiacer possa al mio sposo.
                      (Non ci casco).
                                                   Perdonate;
una sposa infedel; ma... che so io?
vi nascesse nel cor qualche amoretto,
segretezza ed aiuto io vi prometto.
(Eh forca ti ho capito). In vita mia
altro amor non m’intesi ardere il petto.
                                         Oh non è vero.
la schiava Cloridea sposar potrà.
                                    Vi riscaldate?
Fra lo sdegno e l’amor non v’imbrogliate.
                                        Perché una schiava
                                                      Oh brava.
della vostra virtù stupito io resto.
Ma sono al par di lui pronta ed accorta
e so fare ancor io la gatta morta.
                                      Niente, signora...
Che mi gridaste mi ricordo ancora.
                       Obbedisco.
                                              Le bugie
non le voglio soffrir. Quando vi parlo
Non vuo’ sentirmi a contradir così.
(Oh in avvenir sempre dirò di sì).
                                           Sì signora.
                                               Io non lo so.
                                Dirò così...
                            Signora sì. (Tremando)
                                       Sì signora.
                                     Signora sì.
                 Signora sì.
                                       Eh vi conosco;
per schernir chi v’ascolta; e che? Pensate
                                           Signora sì.
                                        Per carità...
(Compatisco la sua semplicità).
vi cerca e vi domanda. (A Menalippe)
                                            (Vo’ provare
qual si finge è innocente, o se Leonzio
                                        Aspetti pure;
quando a me parerà. (Tu dimmi intanto,
prenderesti una sposa?) (A Rapa)
                                               (E perché no?) (A Menalippe)
(Se Merlina ti piace, io te la do).
(Convien prima saper s’io piaccio a lei).
(Ella deve obbedire ai cenni miei.
(Di Corina così farei vendetta). (Da sé)
Dimmi tu, s’io ti dessi uno sposino
accettarlo vorresti? (A Merlina)
                                      (Ora non so
se risponder degg’io di sì o di no). (Da sé)
                                             Non saprei.
Gnora no, gnora sì, come vuol lei.
                            Ed or cosa ho da dire?
che Rapa non è brutto e quando ancora
orrido fosse, obbediente al cenno
dar gli devi la mano in questo dì.
                                    Dirò di sì.
l’ha detto in faccia mia. (A Rapa)
                                             Son contentissimo.
E queste nozze si han da far prestissimo.
ma io col vecchio ho da passar dei guai. (Parte)
voi sarete mia sposa a quel ch’io sento. (Merlina guarda per la scena)
                             S’io vedo la padrona.
ritornatemi a dir se voi mi amate. (Merlina come sopra)
                                Quand’è così,
quel che dissi stamane a voi ridico,
del vostro amor non me n’importa un fico.
Ecco qui, siam da capo. Io facilmente
e mi trovo alla fin poco contento.
soffrir qualche rimprovero da lei,
viver senza un’amante io non potrei.
                                            Riverisco.
                                   Non la capisco.
le sue nozze vicine ha publicato.
vi dia tutto quel ben che m’intend’io.
Comprendo la bontà del vostro cuore
ma per le nozze mie siete in errore.
                                        Oibò; pensate!
Menalippe volea... Ma non vi è caso,
sol l’amor di Corina è il mio conforto
e a quel caro visin non faccio un torto.
Mi sentiva morir. Se voi mi amate
fida v’adorerò, lieta e contenta.
(Finché meglio non trovi o non mi penta).
sarò lieto e felice, io vel protesto.
(Ma mi posso pentir se non fa presto).
Fingetevi ammalato. In su la sedia
e lasciate operare alla mia testa.
trovar quel che mi spiace. Finch’io dubito
fra speranza e timor mi serbo in vita;
se la scopro infedel, per me è finita.
lo sapete voi pure, insegna e dice:
meglio è morir che vivere infelice.
sprezzar la vita vo insegnando anch’io
ma vorrei prolungare il viver mio.
che il vino buono proibisce altrui
ed il vino miglior cerca per lui.
sussistere procura; e il scioglimento
deve all’umanità recar tormento.
ma che viviate più felice intendo.
                                     Oh via tacete,
la donna amate fino a un certo segno
ma l’amore non sia di Xanto indegno.
Tu mi sgridi a ragion. Son qui, farò
tutto quello che vuoi; non mi opporò.
                                   Ecco mi siedo.
                                       Ed un filosofo
la sua fama maggior coll’impostura.
                                         Zitto, vien gente;
e vedrete fra poco il buon effetto.
                                Cos’è accaduto?
Povero Xanto mio. (Fosse crepato).
(Consigliatel ch’ei faccia testamento). (Ad Esopo)
                                         Per me non parlo.
che mi par di sentirmi a venir male.
(Spero d’esser l’erede universale).
Oh non lo farò mai. (L’avrei pur caro).
                                 Come potrei
che per voi nutro in petto? Ahi m’addolora
un sì tristo pensier. (Non vedo l’ora).
                                       Voi non c’entrate. (A Cloridea)
                                       E voi tacete.
                                           Uh cosa dite?
senza un poco di dote. Via testate
e una dote discreta a lei lasciate.
mi fa pianger davver per tenerezza.
(Rido dentro al cor mio per l’allegrezza).
                                       Eh via insolente,
Non parlate con tanta inciviltà.
ma voglio a modo mio dispor del core
e la schiava sposar, quand’egli more. (Parte)
                                               Io mi lusingo
che Xanto viverà, mandate presto
un medico a cercar che lo guarrisca.
(Spero far che Leonzio si pentisca).
                                       Non capisco. (S’alza)
brami la morte mia dubbio mi viene
non è ancora finita. Andiamo innanzi
e vedrete quel cor se è simulato.
Sta meglio, è ver; ma v’è del dubbio ancora.
che un’altra cosa mi è venuta in mente).
movetevi a pietà d’un’infelice,
se grazia dal padron sperar mi lice.
                                         Eh via tacete,
non scaldate la testa a un moribondo. (A Cloridea)
parmi dubbioso ancor. Ma il duol ch’io sento
purtroppo è nel mio sen certo e verace.
Non è sol di viltà centro il cor mio;
son schiava, è ver, ma ho del coraggio anch’io.
a quel che mi dà il pane e far prometto
se una donna si tratta di burlare. (Via)
sia burlata e scoperta in questo dì
                                          Donne piangete.
Sì signore, lo dico e lo mantengo.
d’Atene è cittadina. Il padre è morto
per non farle le spese l’ha venduta.
tutto ciò mi fu detto e poi si vede
ch’ella è gentil ma il suo padron nol crede.
fa che Xanto commetta un’ingiustizia.
e il riscatto il padron non può negarvi.
di Cloridea lo stato; Esopo ancora
l’ha detto alla signora ed ho sentito
che Xanto a Cloridea vuol dar marito.
                                    No padron mio.
                                          La voglio io.
sarò tua, non temer, Leonzio, è vero,
sposo mio diverrà; ma nel mio petto
sempre avrà l’amor tuo la preferenza. (A Merlina)
(Compatire convien la sua innocenza). (A Leonzio)
che tu segua ad amarla. (A Merlina)
                                              Se è così
ch’io sia contenta delle gioie sue,
se il bene ch’io godrò goder ti preme
trova uno sposo e viveremo insieme.
Sì sì, lo troverò, Rapa mi ha detto
Se me lo torna a dire, oggi lo sposo.
forse per far dispetto a Menalippe,
che alla presenza mia vi maritiate.
Fatelo ed il padron l’approverà.
Ecco la destra. (Dà la mano a Cloridea)
                             È fatto il matrimonio.
                                            Oh dì beato!
                                            Fermati.
                                                               Oh bella!
                                            Ferma. Sei pazza?
Non dee andare alle nozze una ragazza.
Dunque come ho da far per star con lei?
                                  Con chi?
                                                     Con Rapa.
Sì sì, lo sposerò, s’ei mi vuol bene.
Bravo Esopo davvero; il tuo cervello
che di donna all’amor si crede invano.
voglio tutto l’amor della mia sposa.
                                    D’amare un altro
dopo che questa giovine ha prodotto,
per disgrazia del mondo, il stampo ha rotto.
                                             Sì, lo vedo,
pecchi un po’ troppo di semplicità.
                       E in che modo? (Esce Corina e sente)
                                                      Vostra sposa
e quando il mio costume non vi piace,
ditemi allor ch’io me ne vada in pace.
Dica, signor, che bella moda è questa? (A Rapa)
                                             Che pretende
Rapa per questa volta lo vogl’io.
veder per mia cagione io non son uso
e le finezze lor mi hanno confuso.
                                   Con me venite.
prenderò quella che mi par migliore.
che fui finor nell’amor mio schernito
                                       Guaritissimo.
                                       Te lo protesto.
                                     Sì, presto, presto.
Ma se cedete alla passione il cuore
sarà filosofia vinta d’amore. (Parte)
Vada l’ingrata; io non la voglio più;
Son filosofo, è ver, ma innamorato.
Non facciam più parole. Ella sen vada
Menalippe sen vien. Per guadagnarvi
in uso metterà l’ingegno e l’arte,
io, se vaglio per voi, sarò in disparte.
Ma no, voglio mostrare il mio valore.
non so quello ch’io pensi o quel ch’io faccia).
e mi sdegna in un tempo e m’innamora).
che tentar nuovamente il cor di Xanto.
ma di vincerlo poi chi m’assicura?)
(Discacciarla vorrei ma se le parlo,
l’aflitto cor di quelle luci al raggio).
(Via coraggio padrone). (A Xanto non veduto da Menalippe)
                                              (Sì coraggio).
una donna che rese un uom vigliacco

Notice: Undefined index: metrica in /home/apostolo/domains/carlogoldoni.it/public_html/library/opera/controllers/Metrica/queryAction.php on line 8

Notice: Trying to access array offset on value of type null in /home/apostolo/domains/carlogoldoni.it/public_html/library/opera/controllers/Metrica/queryAction.php on line 8