Metrica: interrogazione
624 endecasillabi (recitativo) in Il finto principe Venezia, Fenzo, 1749 
Rosmira, addio. (In atto di partire)
                                Fermati, oh dio! Crudele.
                                        Da me che brami?
e se mia più non sei, più tuo non sono.
Legge fatal del genitor crudele
lega altrui la mia fé, non il mio core.
sempre t’adorerò qual t’adorai.
forzati, o bella, a discacciar dal seno,
che a te destina il padre tuo in consorte;
a me più non pensar; lascia ch’io mora.
mal conosci il mio cor, se così parli.
Pria ch’esser d’altri che di te consorte,
sposa, lo giuro al ciel, sarò di morte.
                             Ma il genitor, che giace
sulle piume languente, egro ed antico,
                                          Ma il tuo germano?
questa germana tua può far ch’ei voglia
                                    Ma se già date
son le fedi tra voi, che dirà il mondo
                                      Io non ascolto
                                   Ferrante stesso
giugner qui dee pria che tramont’il sole.
Giungavi. Tornerà là donde ei viene.
per un debole amor tradir l’onore.
barbaro, tu per me, che un bel pretesto
prendi da ciò, per colorire, ingrato,
la nera infedeltà. Vanne, se brami
dello sposo novel già corro in braccio.
                  Da me che vuoi?
                                                   Pietà.
                                                                Il tuo core,
che a me nega pietà, pietà non chiede.
Quest’è un dolor ch’ogni dolore eccede.
Eccellenza, eccellenza, oh che disgrazia!
                                          Oh peggio, peggio.
forse a caccia restò da belva offeso?
Peggio, vi dico, mille volte peggio.
             Presto, che fu?
                                          Quando il saprete
Ma tu mi fai penar. Ma tu mi sdegni,
se parlar differisci anche un istante.
Morto è per viaggio il principe Ferrante.
                                         Quello, quello.
                         Purtroppo; e quel ch’è peggio,
sarà indietro senz’altro ritornato.
                       Non m’inganni?
                                                       In questo punto
che la nuova portò, purtroppo vera,
al vostro genitor che si dispera.
                                     (Sembra che il fato
arrida all’amor mio). (Da sé)
                                         (Non vuo’ svelare
a Lesbina il mio cor). (Da sé)
                                          (Costei non sapia
a una nuova sì trista e dolorosa,
io non vi veggo lagrimar gran cosa.
perché meco il tuo labro è menzognero.
Morto lo sposo mio? No, non è vero. (Parte)
non so mai d’aver detta una bugia?
spera ognor quel che brama e si lusinga
che sia falso di fama il tristo annuncio.
Ma come mai la principessa ha tanto
amor per un che non ha mai veduto?
ella il capo menava per dispetto.
Non so come sia nato un tale affetto.
                                              Oh, signor caro,
questa virtù d’amar per complimento
conosco il di lei core e giocherei
ora che non v’è più le dà conforto
e a lei non è piaciuto altro che morto.
Ma perché dici questo? E di chi credi
                                            Io non lo so
ma aspettate un pocchino e lo saprò.
Lasciate ch’io vi miri. Oh come rosse
vi vengono le guancie! Oh come sbatte
tremula di quegli occhi la pupilla!
su quella fronte il ver scritto e spiegato;
Roberto di Rosmira è amante amato.
Oh amor, amor, tu non puoi star celato
                                        Amico, è morto
il principe Ferrante. Il passo avea
ver Sorrento addrizzato. Audace turba
l’assalì, pose in fuga i servi amanti,
e con colpi crudei lo stese al suolo.
Misero prence, il suo destin mi spreme
                                       Il suo destin dovrebbe
                                        Perché!
                                                         Tu sei
                                      E puoi, se brami,
posso seco sperar d’esser felice.
                                     Deh me l’addita.
                                Tu ami Rosmira
Con Rosmira godrai tu lieta sorte,
se Dorinda di me sarà consorte.
Dorinda all’amor tuo darà ristoro,
quando io stringa al mio seno il bel che adoro.
che il principe Ferrante al mondo invola,
quattr’alme innamorate oggi consola.
                                          Se il nostro affetto
egli vien a scoprir, darà il congedo
a noi ch’ospiti siam da sì gran tempo.
Non temer; io son figlio, io tutto posso
sul di lui cor; morto Ferrante, invano
agl’imenei col tuo german Roberto;
applaudirà delle due suore al cambio.
Congiunti diverran due prenci amici
e noi lieti sarem, sarem felici.
già mi rende felice e già mi scordo
d’ogni passato doloroso affanno.
                Eccellenza.
                                      Bravo; che ti pare?
una faccia non ho da gentiluomo?
al povero padron ch’è stato ucciso;
avete il suo parlar, la sua statura.
E quest’abito poi, ch’è uno di quelli
ch’egli portar solea, questa perucca,
ch’era fatta per lui, più facilmente
il principe farà ch’io sia stimato.
È Ferrante, diran, ressuscitato.
andar di dietro a tutti ci toccò
e la vita e la robba si salvò.
Ma che pensate far, caro fratello?
dal padron ch’era pazzo ispiritato.
Vuo’ veder se mi riesce un colpo bello.
venia a sposar la principessa ed io
sposar dovea Lesbina. Or se mi riesce
la padrona ingannar, la vuo’ per me;
e la serva, se vuoi, sarà per te.
Commettere volete un sì gran fallo!
Quest’è un spropositaccio da cavallo.
mi ha fatto aver il viso la mia sorte,
voglio una principessa per consorte.
con cento principesche bastonate.
Basta che non bastonino ancor me.
a parte tu sarai di mie fortune.
pigliaremo la dote e se n’andremo.
che della principessa esser marito.
il principe da ognun di vita privo,
che Floro è il morto e che Ferrante è vivo.
che se vien brutto tempo io me la batto.
Seguimi e non temer, che anderà bene;
spirito in questo mondo aver conviene.
Cappari, la sa lunga. Io vo alla buona,
incontrar non vorrei qualche malanno.
s’acquista la galera ed io, che sono
degno campion del valoroso Marte,
avrò della galera la mia parte.
si veston oggidì da pellegrine.
                               Eh la sbagliate.
Non ho un soldo, sorella, e se ne avessi,
che non vorrei con voi buttarlo via.
                                Son forastiero.
Il paese ch’è vostro è ancora il mio.
                                  No certamente.
ch’esser sposa dovea di certo Floro
che del prence Ferrante è cameriere.
ond’io, che lo pretendo per marito,
con il bordone in man l’ho qui seguito.
siete venuta in pessima occasione.
                                   Ma cos’è stato?
                                Floro...
                                               Mo via.
Floro... Se lo dirò, voi piangerete.
                                     L’hanno ammazzato.
                         Purtroppo.
                                               Oh me meschina!
mi fate compassion. Se voi volete
                                       No, non fia vero.
voglio morir anch’io. Deh chi mi porge
un ferro per pietà? Chi mi dà morte?
Chi mi toglie da un duol sì crudo e forte?
(Vuo’ veder se costei dice da vero).
che non posso veder penar nessuno.
voi volete morir, voi domandate
la morte per pietà? Su via prendete;
ammazzatevi pur quanto volete. (Gli dà un stilo)
                                     Non siete disperata?
di vibrar di mia man il colpo fiero.
Colle mie proprie man v’ammazzerò. (Finge ferirla)
Il vostro gran dolore inver si vede.
Quanto è pazzo quell’uom che a donna crede.
Dica ciò che ei vol dir! Poco m’importa
del gracchiar di costui, sarei ben pazza,
L’ho amato e l’amarei, se fosse vivo,
ma di vita per lui no, non mi privo.
sarai mio sposo. Il genitor approva
                                   Oh me felice
per sì lieta fortuna! E tu, Cleante,
di Dorinda potrai stringer la mano.
                                         E che sarà?
Qualch’altro caso inaspettato e strano?
Il principe Ferrante è vivo e sano.
                                    Lo vidi io stessa
ora smontar dalla carrozza e poi
                                     Ma, se fu ucciso,
come vuoi ch’egli vivo a creder s’abbia?
Eccolo ch’egli vien per farvi rabbia. (Parte)
Sarà qualche impostor. (A Roberto)
                                             Purtroppo è desso,
lo conosco purtroppo agli atti, al viso,
ah che m’opprime il cor duolo improviso!
                                   Dir non saprei.
Interrotti fra noi son gl’imenei.
eccomi alfin per grazia della sorte
fugito dalle sgrinfe della morte.
                   Mi rallegro.
                                           Mi consolo.
Grazie a vostra bontà. Ma chi è la bella
ditemi, siete voi? Non rispondete?
sarà quest’altra, è ver? Voi siete, o bella,
la cara mia consorte. Oh questa è vaga!
pel grand’amor son diventate mute.
Ditemi, cosa sono? Un mamalucco?
(Non lo posso soffrir. Meglio è che io parta). (Parte)
meglio è di qui partir). (Parte)
                                             Buon viaggio a lei.
                                      Si serva pure,
                                        (Ed io qui resto?
                                     Vuol anche lei
giacché ritrovo in lei più cortesia,
di saper chi son io. Se qui sperate
trovar pace ed amor, siete in errore.
Questa è terra del pianto e del furore.
Ed io, se ben rifletto ai visi e agl’atti,
credo che questi siano quattro matti.
                                          Bella ragazza,
                       Che mi commanda lei?
la principessa, la mia sposa sia.
È l’ultima, signor, che se n’è andata.
Quella che disse d’esser disperata?
Oh mi vuole un gran ben, se a prima vista
                                    Ma favorisca,
                                         No no, parlate.
Dirò, se sua eccellenza mi perdona.
Dite; un principe son fatto alla buona.
Floro, suo camerier, non è venuto?
                                  Non lo conosco
per causa del mio finto principato,
perdere un bocconcin sì delicato).
                         Mi spiace darvi, o bella,
Forse Floro infedel m’ha fatto torto?
No, che Floro è fedel ma Floro è morto.
                                           Fu preso in fallo
per la persona mia. Era il suo viso
che fu preso ed ucciso per Ferrante.
                                                    Tutto, tutto.
                                        Oh cosa dice.
                                        E come.
                                                         Udite;
                                  E come mai!
Se Floro al vostro cor saria piaciuto,
fate conto, mio ben, che Floro io sia.
                                        No davvero.
Da principe ch’io son, vi voglio bene.
Anch’io m’esibirei... Ma non conviene.
venisti sul più bello a disturbarmi.
Voi vorreste, padron, tutto per voi?
piacemi assai la cameriera e quasi
il titolo aver finto ed il vestito.
quanto prima verran le bastonate.
                                         E chi v’è mai?
che vi segue e che vuol esser sposata.
                                Lindora.
                                                  Oh maledetta!
                                            Stamattina,
col capello e il bordon da pellegrina.
per fugir l’insolenza di costei,
mentir il nome e li natali miei.
                                      Lasciami solo.
che in sta sorte d’imbrogli io non ci sto.
Ora vi vuol franchezza e faccia tosta.
                                        Men confidenza.
                                       Morto non sei?
Quando morto foss’io non parlerei.
                                    E che pretendi
e forse per gabbar altre persone,
esser di camerier fingi il padrone?
vanne, vil feminuccia, io ti perdono.
                                    Floro? Or m’avvedo,
pellegrina gentil, del vostro inganno.
Floro mi somigliava e Floro è morto.
So che somigli al principe Ferrante
che nel principe certo non si trova;
io, che ti praticai, lo so per prova.
un principe mio pari non ti ascolta.
Signor principe caro, ecco la carta
sottoscritta da lei d’esser mio sposo.
Se non mi vorrà far giusta ragione,
con il suo principato andrà prigione.
E se a finger tu segui con malizia,
or vado ad accusarti alla giustizia.
mutoli e mesti innanzi voi ci rese.
del genitor, ch’è pur suocero vostro,
è l’estrema cagion del dolor nostro.
Che fa la principessa mia consorte?
Oppressa è dal dolor barbaro e fiero.
(Costui è dunque il principe da vero).
lieta sarà quando vedrà lo sposo
sì bello, sì compito e sì grazioso.
Tutto Floro rassembra e non è Floro).
certe genti volgari ancor chi sono.
                                        È ver.
                                                      Non venni
                                 È ver.
                                               Dunque il mio nome,
sapia chi non lo crede a suo dispetto.
                                              Venite, amico,
per me v’invita il genitor languente.
Venite a riveder la vostra sposa.
Principi e cavaglieri vi saranno
è quel che a questi stati or reca onore.
(Quel che invola la pace al vostro core).
Non meriti perdon, vuo’ castigarti.
non son un cavalier sì malcreato.
quando ha burlato lei burlato ho anch’io.
ch’io sia il prence Ferrante e non sia Floro?
ma se in viso vi guardo ancor nol credo.
Purtroppo è vero, il genitor impone
che al principe Ferrante io dia la mano.
che per Dorinda tua langue d’amore,
antepone l’amor al proprio affetto
ed affretta le nozze a mio dispetto.
                                     No, non mi perdi,
per or della mia destra, il suo rigore
usurparti già mai potrà il mio core.
cara m’è la tua fede, alle mie pene
Ahi a un tale pensier sudo ed agghiaccio.
                                  L’avrei, se tu rapito,
                                         È questo il tempo
di mostrar se tu m’ami ed hai valore
                                           Come?
                                                           Il rivale,
vanne, chiama al cimento, abbatti, uccidi.
                                 Con quella ch’or ti diede
T’obbedirò. Mia principessa, addio.
                         A pugnar.
                                              Fermati, oh dio!
e già del cenno mio quasi mi pento.
Non paventar, proteggeran le stelle
la causa del mio cor. Per altra via
conseguirti non posso. E tu, Rosmira,
d’acquistarti o morir. Del tuo consiglio
con timor importuno. Avrò in difesa
dell’ardito rival contro il valore
il tuo cor, la tua fede, il nostro amore.
che lo spinse al cimento? Ah principessa,
corri, vola, raggiungi il tuo germano.
va in traccia di Ferrante e la sua vita
In difesa di lui vanne, se puoi.
insolita costanza usar il brando.
Colle fiere pugnai, minor periglio
sia pugnar con Ferrante; e se Roberto
per vincer non avrà poter che basti,
invano al mio valor fia che contrasti.
di te, dell’idol mio la giusta impresa;
sia preghiera divota in ciel dai numi,
i vostri colpi e i miei sospiri ardenti.
o la mia morte o la commun vittoria.
Felice lei che avezza a trattar l’armi
può far onta al destin col suo valore.
Ma ohimè! Che veggo? Ecco l’odioso oggetto,
ecco il mio fier nemico, ecco Ferrante.
una donna trovar di cor sincero.
ma pria che divenir di voi consorte
volontieri sarei sposa di morte.
Grazie del buon amor che mi portate;
perché avete voi meco antipatia!
perché bramo ed adoro un altro oggetto.
è la sincerità quel che si stima.
Perché d’esser sincera avete il vanto,
io risolvo sposarvi tanto e tanto.
                                              E che m’importa?
Una virtù di più voi possedete;
aborrite il marito e non fingete.
                                       Del vostro core
Di donna il core è un’ideal mercede.
Mi basta posseder quel che si vede.
Impazzir per la moglie non vogl’io;
altri pensi a suo modo, io penso al mio.
con voi quest’alma mia non legherà.
Così ognuno godrà la libertà.
volete che di noi dal mondo si oda?
Matrimonio che dicesi alla moda.
dal mio cor che di fé solo è invaghito.
niente servir mi puole il principato.
Quant’era meglio ch’io restassi Floro!
passati dolcemente i giorni miei.
e scoprir mi vorrà per vagabondo,
andrà a pellegrinar all’altro mondo.
son tanto di quel viso innamorato
che or or mando in malora il principato.
due Flori, l’uno morto e l’altro vivo.
il morto piacerebbe agli occhi miei,
quando nel viso somigliasse a lei.
che Floro esser vorrei e non Ferrante.
                                    Oh se volesse,
                                          E come?
                                                            Oh cara,
se volete, vi dono il principato.
                                        Siete bella,
vi vuo’ ben, mi piacete e tanto basta,
le donne sono tutte d’una pasta.
è venuto a sposar la principessa.
Bella, se mi volete, io vostro sono;
il mio cor, la mia man, tutto vi dono.
Oh signore, da vero mi vergogno.
                                         Vostra eccellenza...
voglio che in confidenza mi trattate.
                                         Non voglio il lei.
                         Confidente ancor più.
                                         Datemi il tu.
Datemi della bestia e del somaro;
piucché mi strappazzate e più l’ho caro.
Lo voglio contentar). Ehi bestia matta,
che facciamo? Mi sposi o non mi sposi?
sentirsi strappazzar! Tirate avanti.
principe di favette e bruto grugno,
se non mi sposi, io ti rifilo un pugno.
Ah ressista chi può! Questi bei vezzi
                                           Son qui, ti sposo.
                                             (Che stil grazioso!)
S’egli dice da vero e se mi sposa
sarà facile questo il contentarlo.
niente niente che siamo stuzzicate,
diamo delle solenni strappazzate.
Io son fra l’ancudine e il martello.
Penso, risolvo e poi torno a pentirmi.
                     Padron mio.
                                              Voi di Rosmira
                                     Per servirla.
                                        Buon pro vi faccia.
o estinto per mia man voi caderete.
ch’io non son un ranocchio da infilzare.
Ho core, ho trippa, ho fegato e polmone.
Eccom’in guardia, a voi. (Tira mano)
                                               Rosmira amata,
consacro questa vittima al tuo bello.
In due colpi di quarta io ti sbudello. (Si battono e Roberto resta disarmato)
più bravo di Ruggier, più fier d’Orlando.
La pugna terminar si dee tra noi.
Vattene e non temer della mia sorte.
(So che il braccio di lei del mio è più forte). (Parte)
Si vedrà chi è più bravo al paragone. (Si battono e casca di mano la spada a Floro)
                                      A me la spada.
                                      Vieni al cimento. (Si battono e Lindora ferisce Dorinda in un braccio)
Donna, vincesti e tu ringrazia il fato
che una femina alfin di te più forte
per or t’abbia sottratto a giusta morte. (Parte)
purché libero sia da questa noia,
che m’avesse difeso ancora il boia?)
per esser la di lei liberatrice.
qualche cosa di buono io vi darò.
                                         Adagio un poco,
vuo’ che i conti facciamo tra di noi;
m’avete a confessar chi siete voi.
                                        Non è vero,
                                               E chi son io?
Tu sei Floro, crudel, l’idolo mio.
                                         Indietro, indietro;
o confessate a me che Floro siete
o vi do una stoccata e morirete.
                                         Chi non è Floro
                                       Pian, piano, io sono...
                            Ferrante.
                                                Ebben Ferrante
                             No, che son Floro.
Io ti voglio ammazzar Floro o Ferrante.
Adunque in ogni guisa ho da morire?
Più tosto che morir vi sposerò.
(Fingerò di sposarla e me n’andrò!)
                                             Ecco la mano.
Ora sono tuo sposo e ciò ti basti.
C’entro, perché cotesto è sposo mio.
In questo punto l’ho da sposar io.
                                         Andiam.
                                                            Venite.
con questo ferro vi trapasso il core. (Cava lo stile)
Se m’inganni t’amazzo, o traditore. (Lo minaccia colla spada)
la povera Lindora. Un certo Floro,
Questa carta mi fece, indi il briccone
mi piantò, poverina, e se n’è andato.
ha simile la voce ed il sembiante,
esser ei finge il principe Ferrante.
quel che tale si dice e qui è venuto
                                              Io certamente
                                       Può ingannarvi
Ingannarmi non puote il core amante.
Testimonio fallace è il nostro core;
spesso fan traveder l’ira ed amore.
Dunque a me non si crede? Ah fuor di tempo
voi scoprirete del briccon l’inganno.
di dubitar. Lasciatemi quel foglio.
Eccolo. A voi, signor, mi raccomando.
Ah se ciò fosse ver, vorria... Ma viene
il principe non so o finto o vero.
Quel vostro signor principe Roberto
mi faceva cader morto a drittura.
Perdonate all’amor che lo fa cieco.
Egli è di già pentito ed ha promesso
chiedervi scusa al giovanil trascorso.
a Roberto vuo’ far segretamente
un certo camerier che Floro ha nome?
                                      Sapete voi
                                           Il so benissimo;
sposar più non la vuole. È innamorato
della vostra Lesbina; ed io, che sono
principe ch’ama il giusto e la ragione,
vuo’ che sposi Lindora il mascalzone.
(Eh Lindora s’inganna). Adunque fate
e che sposi Lindora a suo dispetto.
Floro la sposerà, ve lo prometto.
scoprir chi dice il falso e dice il vero). (Parte)
ma, se mi riesce il colpo meditato,
con tutta pulizzia sarò sbrogliato.
Ogni trista memoria ormai si taccia
e pongansi in oblio le andate cose.
                                       Ah che per lei
smanio, peno, deliro e son furente.
E a me di lei non me n’importa niente.
Vuo’ che facciam tra noi un negozietto.
onde così senz’altri complimenti
saremo tutti due lieti e contenti.
per poter conseguir il bel che adoro.
La scrittura facciam che parli chiaro,
a voi resti la donna, a me il denaro.
Quest’è quel che il mio cor brama e sospira;
vostra sarà la dote e mia Rosmira.
Il negozio più bel non fu mai fatto.
la donna nel dinar, per quel che sento,
si chiama guadagnar cento per cento.
chi vilmente la cede e l’abbandona.
                                      Ah non è questo
l’unico né il maggior dono de’ numi.
                      La tua mano. A me la cesse
delle richezze tue, non di te amante.
                                      Miglior consiglio
da chi pubblico rese il suo disprezzo
vendendo l’amor suo per un vil prezzo.
Tutt’i tesor darei, darei la vita
per l’amor di Roberto. Ah se fia vero
stringer dell’idol mio, di me più lieta
donna non fu né si darà nel mondo.
Né veduto fia mai cor più giocondo.
quell’aria di piacer che nel tuo volto
                                      Nuova speranza
lieta più dell’usato. Io di Roberto
spero stringer la destra e tu potrai,
se il desir mio non mi lusinga invano,
a Cleante, al tuo ben porger la mano.
Volesse il ciel che il mio diletto e caro
fosse mio sposo alfin. Dal primo giorno
vinta rimasi e priggioniera e amante.
                                              Via, carina,
tra quella pellegrina e voi e tu.
Ma, caro padron mio, chi m’assicura
Vi farò, se il bramate, una scrittura.
Attendete un momento e ve la fo. (Va al tavolino a scrivere)
dirò la mia ragion. La principessa
non lo sa strappazzar come fo io,
onde senz’altro il principato è mio).
Eccomi, la scrittura bella e fatta.
Ora principio a credervi un pocchino.
a questo cor. Per voi languisco e moro.
                                            È ancora presto.
Vi vuole un po’ di tempo e di modestia,
altrimenti sarebbe amor da bestia.
                                             Noi questa sera
e sposati e contenti alfin saremo.
Ed ogn’ora, mio ben, mi par un anno.
sempre il core mi dice: «Eccolo, eccolo»
ed un’ora, mio ben, mi par un secolo.
vagliono più di cento principati.
Ma che fia di Lindora? Ecc’opportuno
                                                  Amico, io sento
a mormorar di noi, meglio è che andiamo,
pria che scoperti e bastonati siamo.
Tutt’andrà ben, tutto sarà aggiustato,
oltre alcuni diamanti e ricche spoglie,
duemille scudi ed una bella moglie.
Un gran pazzo sarei, se ricusassi
Ma ditemi di grazia, chi è la sposa?
                                   Oh questa è bella!
conoscerla, vederla e contemplarla.
pensa ai duemille scudi e a tutto il resto
che sposandola avrai, se non sei stolto.
Andiamola a sposar, ch’ho già risolto.
                                               Eh lo dirò.
                                        La sposerò.
un uomo di bon cor sempre si loda. (Parte)
la moglie bella ed i duemille scudi
andranno in fumo e in premio dell’inganno
di offerire le spalle ad un bastone.
penso ridurlo e risparmiar la forza.
Itene in quella stanza. Ivi soffrite
per poco rimaner sola all’oscuro,
Floro vi sposerà, ve l’assicuro.
Grazie a vostra buontà; s’egli mi sposa,
sia di voi per comando o per consiglio,
vi prometto donarvi il primo figlio. (Entra nella camera)
                                       Servo, eccellenza.
                  Floro son io per obbedirla.
                                   Così si dice.
(Se Lesbina è la sposa, io son felice).
e all’oscuro se vuoi la sposerai.
Vado, signor; di lume io non mi curo,
si potiamo sposar anco all’oscuro.
                                   Principe, è questi
                                      Osservo in questo
co’ quai promise di sposar Lindora.
e che un qualche impostor tal siasi finto.
                                 Anch’io son eccellenza.
                                 Il principe Ferrante,
giacché la principessa l’ha scartato,
per non star senza moglie, m’ha sposato.
vedete se di lui la sposa sono. (Gli dà il foglio)
ecco soscritto dalla mano istessa.
la finzione, l’inganno e l’imposture.
                                        Chi mi vuole?
                                           Signorsì.
Mentitor, il carattere è lo stesso.
che siete un impostor, che Floro siete.
io non son impostor, Floro non sono.
Pagherai colla morte il folle ardire.
difendermi saprà dal vostro sdegno.
Il patto adempio e a voi, Cleante, io chiedo
cessa in tempo Rosmira e non averci,
qual era in suo poter, resi infelici;
abbia da me, se stringo il mio tesoro,
il premio non vulgar di gemme e d’oro.
un delitto premiar, premiar la frode.
Ho promesso, ho giurato e chiedo a voi
grazia, o signor, per i delitti suoi. (Escono Rosmira e Dorinda)

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