su queste arene sconosciuta ancora
a me concedi di sua destra il dono,
che fra gli amanti il più costante io sono.
Amor, me la concedi colle buone
o me la prendo con un cospettone.
esser de’ qual son io, bello e vezzoso.
all’amor mio non negherà mercede.
S’ella fa conto della leggiadria,
Bellarosa senz’altro sarà mia.
accendere, incantar l’isola tutta;
ella sola è la bella, ogn’altra è brutta.
della straniera è divenuto amante.
ch’era il più fido degli amanti miei,
mi lascia e m’abbandona per colei.
tant’altre, come noi, femine offese.
Rivoltiam contro lei tutto il paese.
e s’altr’armi non ho che mi distingua,
posso vantarmi che sto ben di lingua.
Dura cosa è l’amar, quando si prova
in amor crudeltà. Comprendo adesso
quella felicità, che mal conobbi
e son del mio rigor quasi pentita.
languiva e sospirava; ed io solea
delli sospiri suoi prendermi gioco.
spense con nuovo foco il primo ardore
ed io tardi per lui piango d’amore.
del mio duol, del mio pianto, è quella indegna.
procurar de’ miei torti aspra vendetta.
In verità, quando ci penso io rido.
tutti vogliono me. M’amano tutti;
non mi servo di studio artificiale,
tutto quel ch’ho di buono è naturale.
di dar nel genio a chi trattar mi vuole.
o da vero o da scherzo, io lodo tutti.
a far ch’io sia stimata e ben veduta
dove son forastiera e sconosciuta.
(Ecco la mia diletta!) (Da sé)
(Amo, adoro costei quanto il denaro). (Da sé)
fan le spese minute in capo all’anno.
Il tabacco, il caffè, la cioccolata
e altre piccole spese quotidiane
forman a poco a poco il precipizio.
E son dello scialaquo inimicissima.
è questa per Pignone!) (Da sé)
sedeci in mesi tre n’ho guadagnati.
Sedeci in mesi tre sopra cinquanta?
quattro via trentadue fa centoeotto.
Più del cento per cento? Oh che bel vanto!
Io non son giunto a guadagnar mai tanto.
Credetemi che ho testa...
ma lo fa parer bello il suo contante.
Ah Bellarosa mia, son arrabbiato.
se non rompo le braccia a più di cento.
Fatevi rispettar senza paura;
a me piace il coraggio e la bravura.
ebbe l’ardir, mi fremon le budella,
di dir che Bellarosa non è bella.
voglio tagliar la faccia a quel briccone.
Che fierezza gentil degna d’amore!
faccia il suo conto d’esser bello e morto.
La fierezza m’alletta ed il valore...
Armidoro gentil, mio dolce amore. (Vedendo Armidoro si cambia tutta in un tratto)
Alle morti, alle stragi, alla vendetta.
In questo petto il vostro cuor risiede.
Così a me si risponde? Oh cospettone!
Vi fo in terra cader, se caccio mano.
Già per prova lo so, siete un baggiano.
ch’io vi voglio infilzar con questa spada. (Caccia mano alla spada)
Sulla strada m’inviti e poni mano?
giustamente pavento e mi difendo.
Ehi portate rispetto a questa stanza. (Si ritira timoroso)
che ti ha difeso da una brutta botta.
Quella vittima dono a tua beltate.
che cangiato nel seno abbiate il core?
Che più per me voi non proviate amore?
qual premura, qual pro? Prendeste a gioco
per tant’anni il mio foco; ed or che sono
tardi mi fate il generoso invito?
Di colei, che mi usurpa il vostro core,
Contro voi, contro tutti io la difendo.
perché vi riscaldate? (Ad Albina)
sì che v’amo e v’amai ma non vel dissi,
ma finsi non gradire il vostro affetto,
per provar se costanza avete in petto.
troppo a lungo durò. Senza il conforto
langue l’affetto e scema la costanza.
difensor generale; e col mio brando
Armidoro, che a voi mancò di fede,
getterò con un colpo al vostro piede.
che se torna ad amarmi io son contenta.
ma sofro i torti della sorte ingrata.
non lascierei per un million di scudi.
Ho in materia d’onor fatti i miei studi.
ho donate alla morte tante teste
quante in Levante ne suol dar la peste.
È tanto il mio dolor che non ascolto
(Ecco una mia rival). (Da sé)
(Vien Bellarosa). (Da sé)
Questo nome d’amica or non vi giova.
Levarlo ad un’amica non conviene.
(Or mi vien voglia di volergli bene). (Da sé)
Armidoro vi cedo. Io n’ho degl’altri;
(Armidoro mi par ora il più bello). (Da sé)
Spero, vostra mercé, con Armidoro
(Se di meglio non trovo, ei sarà mio). (Da sé)
Queste donne, lo so, m’odiano tutte
di vincerle procuro ed obbligarle;
è difficile assai, per dire il vero.
Avanzar, inoltrar l’ardito piede?
Avanzi il piede colla gamba ancora.
e la rosa e il giacinto... Oh bella cosa!
Che subblime pensar! Che bel concetto!
Madama... portentosa... e prelibata.
Ella ha termini scelti ed eleganti.
sì signoria, il tenor delle mie pene.
Domandatelo, o bella, ai vostri rai.
Ora vi servirò. Signori occhi,
Abbiamo il di lui cor punto e ferito. (Alterando la voce, come se parlassero gl’occhi di Bellarosa)
Da voi... da voi... la medicina attende.
Qual rimedio da me Cupido aspetta?
Ecco della pozione la ricetta.
che si rende piacevole e gustoso.
Lo voglio coltivar... Ma qui sen viene
da cui per mia cagion fu abbandonata.
so che per rovinarmi userà ogni arte;
vuo’, se posso, ascoltar tutto in disparte. (Si ritira)
Così lasciarmi? Ingannarmi così?
degl’eroi formidabili nel petto.
Che tu sia bastonato e maledetto.
Vanne, vil feminuccia, io ti perdono.
per una che si spaccia per signora
e sarà forse una villana ancora.
ed io me l’ho cacciata nell’idea
ch’ella sia di natali una plebea.
scommetto dieci scudi e li deposito.
Giuro al cielo, farò qualche sproposito.
Non si puon numerar quattro testoni.
Io non posso finir le mie canzoni.
Ecco; Belinda mi fa andar in furia.
ch’io dica Bellarosa esser plebea.
Dimostra il suo valor coi detti e i fatti.
Con voi non parlo più. Siete tre matti. (Parte)
Manca sol che si sappia il suo paese.
Eccola; il vero si saprà da lei.
Si disputa di voi patria e natali.
Non vi ho trovata scritta negl’annali.
dunque la patria mia? Non la nascondo.
La mia patria, signori, è in questo mondo.
e a quel che la indovina ora prometto
far di qualche finezza un regaletto.
Ho inteso, ho inteso; ho letto a chiare note
di Bellarosa il nobile desio
e di darle piacer l’impegno è mio.
Armidoro fedel si darà il vanto
di ricrearla con il suono e il canto. (Parte il servo)
è donna capricciosa. In questa carta,
un certo non so che maggior del sesso. (Legge il viglietto)
una prova mi dia d’esser amante
con un divertimento stravagante».
Parlerà, spiegherà la pena mia
e di canto e di suon dolce armonia.
benché siate ver me stato incostante,
assicurarvi che vi sono amante.
or che ad altra beltà giurai la fede.
Bellarosa non v’ama e a me vi cede.
Malagevol sarà forse l’impegno.
Bellarosa medesma or or lo disse.
A me il contrario in questo foglio scrisse.
le dia un divertimento stravagante. (Mostrando il foglio ad Albina)
di sperar l’amor mio. Volgete in mente
che faceste di me tenero amante,
tanto meco crudel quant’io costante.
Poss’io soffrir di più? La mia rivale
l’amante per amor scherni mi rende?
In lei sola il mio cor giubila e spera.
Nel suo cor non v’è fé, non v’è costanza.
Voi gettate l’amore e la speranza.
Non lo credo, non è, non sarà mai,
son di fé testimonio i suoi bei rai.
Armidoro di lei mostra un invito
e si vanta il più caro e il più gradito.
il più caro alla bella sono io. (Mostra ad Albina un foglio)
Ebbe un foglio simil anco Armidoro
per supperar tutti i rivali amanti,
offrirle un’armonia di suoni e canti.
Cantin, suonino pur, ballino ancora,
e il mio spirito grande e i miei talenti,
per piacere al mio ben, faran portenti.
siate ciechi così che non vedete
che il tempo dietro lei, pazzi, perdete?
non vi cura nessun, di tutti ride
poter coi scaltri simulati amori
sfidar Cupido e trionfar de’ cuori.
d’oltraggiar argomento il sesso nostro,
che più infedele il vostro e più scortese
suol l’affetto pagar con onte e offese.
egli si farà onore. E tu, Giacinto,
tu ti darai per vinto? Signor no.
Qualche cosa di bello anch’io farò.
per dimani v’invito ad una giostra,
dove del vostro cor farete mostra.
per provare chi sia di lei più degno.
Ma questa sera anch’io v’invito al ballo.
A vedermi ballar con leggiadria.
ma temo vi facciate corbellare.
Mi avete mai veduto? Non sapete
Che del canto e del ballo io son maestro?
Dir a lui si potrebbe: «Al ballo, al canto,
caricatura mia, sei un incanto».
non li posso veder. Io colle donne
io fo l’amor da uom, non da ragazzo;
spendo, son di buon cor ma le strapazzo.
vuole al fresco esalar i propri ardori.
Aure che favellaste a lui tornate;
dite che le sue voci a me son grate;
e dategli per me la buonasera. (Si ritira)
o lasciar l’avarizia ovver l’amore,
o cedere la bella o farsi onore.
che alla famosa Bellarosa ha fatto
Armidoro gentil la serenata
e che Giacinto al ballo l’ha invitata?
a questa nuova dea dell’età nostra
ha preparata una famosa giostra.
e senza tanto strepito e rumore
colla donna gentil mi farò onore.
Ha mille qualità perfette in lei.
Ma fra l’altre n’ha una ch’è un portento,
che l’amore sa far con più di cento.
che questa ninfa con i vezzi suoi
corbellerà cogl’altri ancora voi.
e voglio certo vendicarmi anch’io.
Bellarosa senz’altro sarà mia
e dal capo v’andrà la gelosia.
dite quel che volete, io vi rispondo:
«Vuol Saracca, vuol voi, vuol tutto il mondo».
Chi è che d’innamorati ha tanta sete?
usurpando li andate a questa e a quella.
Di lui no me n’importa una patacca.
ecco qui l’amor mio. (Accennando Pignone)
Ora dite così ma poi direte
in atto di notaro a rinunciarvi
ma s’egli non vi vuol non so che farvi.
perché dei vostri vezzi innamorato
adorarvi vorrà, benché sprezzato.
vincerlo con amore e cortesia,
la colpa sarà vostra e non è mia.
chi vuol incatenare un cuore amante
amorosa esser de’, non arrogante.
Non favelli d’amor chi è nato avaro.
che far pretende la dottora a noi,
farà meglio badare a’ fatti suoi.
se continuava ancor, non stavo saldo.
Io rido di costoro e lor non bado.
che Armidoro col canto e con il suono
testé mi fece di letizia un dono?
questa sera alla festa m’ha invitata?
È quest’ancora un’altra ragazzata.
qual mi date d’amor verace segno?
Oibò, la destra, il core.
Ma la destra ed il cor me l’offerisce
Ma niun, come son io, sarà costante.
soglio fede prestar sol quando vedo.
Voi m’avete a mostrar il vostro scrigno.
Non vi prendo, se scrigno non avete.
Mi verrebbero presto i crini bianchi.
Armidoro gentil, grata vi sono.
di conseguir la sua mercede è certo.
Siete un bel ragazzotto e mi gradite.
con chi a genio mi va son amorosa
e con altri son io rustica, odiosa.
Motivo ho di sperar ma non ancora
m’assicura del cor né della mano.
Ah temo alfin di lusingarmi invano.
chieder di più. Temo che mi discacci,
se parlo troppo ardito, e mi contento
per conforto al mio cor, della speranza.
Nessuna sa ballare altro che lei?
Se non fo ben la prego compatire. (Si suona il minuetto e lo ballano; e terminato ch’egl’è il ballerino rimette Bellarosa al suo posto)
se non rendo per ora il minuetto;
ho assai ballato e riposarmi aspetto.
farete di ballar. (S’alza dal suo posto e va da Bellarosa)
al padrone di casa. (S’alza per ballare)
Oh cospettaccio! (S’alza infuriata)
Dunque solo per lei si fa la festa?
che per star a seder ho fatto il callo
e sempre vedo la graziosa in ballo.
Or ora nasce qualche precipizio.
Non avete creanza. (A Giacinto)
Se volete ballare e voi ballate. (A Belinda)
Ne sapiam quanto basta ancora noi.
Ho un veleno, ho una rabbia maledetta.
E dopo vi prometto... (A Belinda)
quando non ballo adesso me ne vo.
Maledetto!... Direi... Basta... Non voglio
che succeda... che accada... un qualche imbroglio.
che fate un simil torto a una par mia,
per una tal che non si sa chi sia.
che non fosse di voi noto il natale.
Una che starmi a fronte non è degna.
son nobile, lo dico e lo sostegno,
ed i titoli miei mostrar m’impegno.
quanto dir si potea. L’ho strappazzata,
l’ho fatta vergognar; mi son sfogata.
ma credo che non sia né men pedina.
Lo fan gl’uomini ancor per quel che veggio.
Alla piazza, alla piazza, allo steccato.
maggior, che a Bellarosa è riservato,
è Saracca veder tristo e burlato.
che avete voi di bello preparato?
La giostra s’ha da far. Chi è valoroso
al cimento verrà. Per dar piacere
che l’impresa farà più bella e buona,
cento scudi, un cavallo e una corona.
(Ma già il più valoroso sarò io
e l’onor ed il premio sarà mio). (Da sé)
Avrei piacere che nello steccato
rimanesse Saracca almen stroppiato.
E noi vogliam intervenir coll’altre?
Certamente che sì. Dobbiam noi pure
finger di non pensarvi e aver pazienza.
di quella ch’ha le trentatré bellezze.
Vorrà farle veder le sue prodeze.
o per questo o per quel determinarsi,
liberar tutti gl’altri e maritarsi.
Dubito ch’a ciò far vi sia l’intoppo,
perché la libertà le piace troppo.
Armidoro pentito al primo foco.
volgerò il core ad un amor più grato.
il piacer di cambiar la fiamma in petto
e l’occasion di riprovarlo aspetto.
Dite se in questo loco sia venuta.
Signorsì, ma è di già ben proveduta.
s’altro non vi mancasse che il cervello.
le donne ad eguagliar di questa taglia.
Voglio mostrar anch’io la mia bravura,
benché un poco in età, non ho paura.
a voi che di quest’alma il nume siete,
a voi che del mio cor l’arbitrio avete.
ed io m’impegno al più valente e prode
ricco premio donar d’applausi e lode.
Di questa cosa parleremo poi.
e il vostro nome in mio soccorso invoco.
vi porrete cogl’altri al paragone?
che in premio al vincitor oggi si dona
cento scudi, un cavallo e una corona?
che per vincer coteste bagatelle
un po’ mi lascierei romper la pelle.
l’avesse scritto nelle carte sue,
mi consolo che gl’occhi sono due.
cotanto l’interesse l’innamora,
un occhio in pace perderebbe ancora.
ed Armidoro non mi piace un’acca.
Piuttosto, se volessi maritarmi,
Giacinto, perch’è semplice e amoroso,
che lascia fare e che non è geloso.
Eccolo in verità; l’ho nominato
e tosto egli è comparso. Ciò vuol dire
che qualcosa fra noi dovrà seguire.
sarò col braccio mio, sarò terribile.
Pugno per due bei labri di corallo.
Ma parlino in mia vece gl’occhi miei.
Ditemi il vostro sentimento espresso
e anch’io farò con voi poscia lo stesso.
Fatemi grazia di principiar voi.
Compatite, signor, non tocca a me.
Mi vergogno davvero e vengo rosso.
Ho parlato signor; basta così.
A dir seguiterò... che una tal fiamma...
Basta così. Non posso andar avanti.
Vorrei che il resto continuaste a dire.
resister non potria lo stesso Marte.
Per sventura cadei, non per viltade,
che a cimenti maggior mia destra è usa.
Di chi vinto riman solita scusa.
a combatter con me vent’anni sono,
E mio saria dei cento scudi il dono.
non gl’incresce la gloria ma il denaro.
arda di gloria il bellico desio? (Scende dall’alto Giacinto)
amor destina a voi, caro Giacinto;
combatteste il mio cor, l’avete vinto.
Io son vostra, Giacinto, e voi mio sposo.
a Belinda lasciando il suo Saracca,
e all’avaro Pignone il suo tesoro.
Giacinto non ha impegni ed è amoroso;
non fo torto a nessun, se ’l fo mio sposo.
che Bellarosa ha nobili pensieri.
Ella è nata di dame e cavalieri.
partita per piacer dal suol natio...
Queste son cose ch’ho da saper io.
ch’altri le sapia e le direte a me.
Senza moglie, così spenderò meno.
più non sperate in me, che preso è il loco.
Son pronta, se volete, anco a sposarvi. (A Saracca)