Metrica: interrogazione
488 endecasillabi (recitativo) in Tigrane Venezia, Rossetti, 1741 
china l’Asia la fronte e incontro a cui
l’augel del Lazio armò gli artigli invano,
per me vincesti e le nimiche spoglie
calchi fastoso col regal tuo piede,
Nicomede sconfitto omai ti cede.
Da quel chiaro valor, che in te riluce,
ben lo sperai; so che il trionfo è certo,
Per giusto guiderdon de’ pregi tuoi
Apamia ai regi applausi aggiunge i suoi.
Ed io con mio piacer ti vedo, amico,
coronato di lauri a far ritorno.
                                     Argene, il tuo valore
non impegnasti, il sai, per alma ingrata.
per dar giusta mercé, colà ti attendo.
Vanne, Clearte, in ripartir le schiere
mie voci adempi; e ti sovvenga poi
                                      Io volo ai cenni tuoi. (Parte)
qualche parte goder delle tue glorie,
se ti fero i miei voti anco felice.
E forse ancor là fra le straggi e l’armi,
tremoli e caldi udisti i miei sospiri.
attenta io tenea l’alma e la mano
all’oggetto vicin, non al lontano.
hai d’allori e d’ulivi il crin festoso,
di’, piagheratti il cor dardo amoroso?
                                              Io trionfante
sieguo Marte guerrier, non Marte amante.
Eh, che agli assalti di beltà che priega
Apamia il dice a te; pensaci Argene.
ci s’apre, al sen ti stringo, o prence amico.
Quanto mi è caro il rivederti! Or dimmi,
quivi il nostro destin cangiossi mai?
ella mostra d’amarlo e me disprezza;
e col favor della germana, Oronte
Arde per Cleopatra e ardendo spera.
                                      Purtroppo è vero.
                                              E ne paventi?
Mille schiere incontrasti ed ora a fronte
                                          E Cleopatra
                                            Ascosa fiamma
che può sperar? Ardo ad un tempo e gelo.
Amo, tacio e dispero; oh giusto cielo!
sai che Tigrane io son; sai che più volte
M’abborre il padre e Cleopatra è figlia.
Già che tu un nuovo regno a lui recasti,
ardisci, amico; e al tuo destin t’affida.
Hai beltade, hai valor; parla e confida.
il fregio ancor d’una vittoria illustre
non basta a cancellar quest’odio antico,
dai trionfi d’Argene omai che speri?
a lei paleserommi; e s’allor poi
vitima io cadrò de’ sdegni suoi.
se il bell’idolo mio piagne il mio fato.
Tu il sai; qui giunto è Argene ed io pavento.
a cui Oronte aspira e che sol brama,
arde Argene al bel volto. Essa il riama.
                                 I loro accesi sguardi
ben parlarono a me; tu sola puoi
dar pace a me coi saggi vezzi tuoi.
Mitridate sospira e manifesto
t’è l’amor suo; di qui comprendi il resto.
T’intendo, sì; se il tuo destin dipende
dagli occhi miei, di’ pur che tu sei giunto
                                       Eccolo a punto.
In questo lieto dì sperar poss’io
d’esser per te felice, idolo mio.
                                                Mio sire, incerta
io non sarei di sì beata sorte,
se fermo in te scorgessi anco il desio
come del tuo piacer del piacer mio.
di che appagar le più superbe idee.
te riguardi e non me; sai pur che io sono
se divengo regina e servo ei resta?
all’amor mio l’ardir di lui condona.
di Cleopatra la beltade; e quando
che ai detti miei t’affanni; ah no ritorna
disperi Apamia e si distrugga in pianto.
che a me servon di legge i tuoi desiri.
Signor, contro tua voglia io non vorrei
e sì eccelso favor non chiedi a torto.
                             Son le mie brame in porto.
ti destinai. Egli è di sangue illustre,
di quella Apamia che, per lieta sorte,
oggi fia tua regina e mia consorte.
                                   Cor mio, che mai più brami?
                                              Or so che m’ami.
                      Il dissi.
                                      Ah, genitor risveglia
nel magnanimo cor l’eccelse idee.
lusinghiera malia di vago aspetto.
Io sposarmi ad Oronte? Io che per sangue
diritto ho di regnar, che non son rea
porger dovrò la mano ad un vassallo?
Il mio favore eguale a te lo rende.
d’un servo all’ardimento oggi s’attende?
                             Ubbidisci; io così voglio.
                         Così ritrosa?
                                                   Invano
                E tu chi sei?
                                         Un che t’adora.
Meglio puoi dir un che m’oltraggia ancora.
                           L’affetto tuo ricuso.
                       È un ingiusto.
                                                   Oronte...
                                                                      È un servo.
un’anima orgogliosa, un cor superbo.
frenerà il genitor l’ira e l’orgoglio.
io conosco il poter degli occhi tuoi.
Sì; felice sarò, se tu pur vuoi.
Oronte, in me tu non isperi invano;
ad amata beltà nulla si niega,
se forza ha mai beltà che piange e priega.
Non mi ami Cleopatra e mi disprezzi;
basta ch’io stringa la sua destra un giorno.
Mentre fingo sospiri e amante io sono,
piucché la sua beltade, amo il suo trono.
Cleopatra ove sei? Che fai? Che pensi?
soffri gl’insulti e il genitor di padre
ahi si cangia in tiranno. Ah caro Argene,
per cui di fiamma ascosa arde il mio seno,
se al tuo ritorno il primo incontro è questo.
tu nascesti a regnare; egli è un ignoto. (Va a sedere)
la cui leggiadra, maestosa fronte
e de’ cuori e de’ regni agita il fato,
e alla tua fede noi dobbiamo un regno.
quando incontrasti le nemiche schiere?
                                               Ove pugnasti?
                                     (Amore aita).
noto a me solo e d’alto sangue uscito.
                          In Armenia, ove egli impera.
Forse Tigrane, il nostro fier nemico?
                                    Ah fu il tuo amore.
                                           Ove mi vide?
                                          E quando ancora
parlato avesse, che sperar dovea?
è della sorte amica un mero dono.
                                            Basta la lode.
spargi sul cener freddo un sol sospiro.
dir volea: «Per te muoio, idolo mio»;
ma in quel mentre dal sen l’anima uscio.
                                 (Coraggio amore).
Tergi i begli occhi, alta donzella, a’ piedi (S’inginochia)
Come? Argene non sei? Tu sei Tigrane? (Levandosi in piedi)
Donde apprendesti così indegna frode?
                                         Sul labbro affrena
                     Parti.
                                  Deh...
                                                Va’.
                                                          Dove?
                                                                         A morire.
Ei parte oh dio! Che fo? Torna ben mio.
Deh torna a me; più non ti scaccio e, spenta
sarò amante di te, non più nemica.
Quel cieco amore i passi miei consiglia?
Posso Tigrane amar, quando son figlia?
Vinca il dovere e vinca l’odio ancora.
Ed ei morà! Morrà quel dolce e caro
E Cleopatra il soffre? E fia che infida
d’un amante fedel sia l’omicida?
smania, piange, s’adira e si dispera.
tormentosi pensieri; e voi miei lumi,
che lieve e lusinghiero a sé ne invita. (Si ponne a dormire)
Misero, a’ danni miei tutto congiura;
colei che mi vuol morto; ed è mia vita.
Apamia, osserva. (Le si accosta)
                                  Taci.
                                              Argene...
                                                                 Oh cieli!
Essa, dormendo ancor, meco favella.
Udisti che sognando Argene apella?
                                      Sì, son Tigrane.
                                     Giugne opportuno.
Chi turba i miei riposi? (Si sveglia)
                                              Alto monarca (A Mitridate che ariva)
de’ tuoi nemici il più crudel ravvisa;
e ravvisa l’amante anco di lei
che sprezza i tuoi comandi e i voti miei.
Il valor primo in questo cor rimane;
adoro Cleopatra e son Tigrane.
                   Più non reggo alla mia pena.
Sì quello io sono che d’Armenia il soglio
calco con regio piè; sì, quel son io
                                                Non più; ti scopri
in mal punto, o superbo, agli occhi miei;
se Tigrane tu sei, il mio furore
di un tanto ardir la meritata pena;
io torno agli odi antichi e all’ira mia.
                                      Giusto signore.
Altro già far non puoi che darmi morte;
sappi che per colei ch’è la mia vita
emmi caro il morir, lieta è mia sorte.
onora Cleopatra e non l’offende.
del mio fiero nemico il rio sembiante,
che, se lo serbi in mezzo al cuor sepolto,
in mezzo al cuor ti squarcierò quel volto.
Tigrane morirà; giusto è che muoia.
La tua salvezza, il tuo riposo il chiede.
può vaccillar, se lo comandi. Amore
per te a temer m’insegna.
                                                 Il ver tu dici.
a me dona il destino; e quella morte,
sia sol trofeo di femminil vendetta.
Io lascio al tuo voler la di lui sorte;
arbitra della vita e della morte.
Germana, in tuo potere è il mio rivale,
al tuo sodisfa generoso orgoglio.
Muoia Tigrane e Oronte ascenda al soglio.
So quanto ti promisi e so qual deggia
Tigrane e Argene adora in un sembiante).
per me inchiodi la ruota, onde il mio cuore
sposa regale e regio soglio attendo;
null’altro curo; e il mio pensier s’accheta.
glorioso per me dolce soggiorno,
i trionfi incontrar, la morte attendo?
e Mitridate e Cleopatra insieme.
Oh amor tradito! Oh mia tradita speme!
                  Amico.
                                  Per occulto ingresso,
nunzio di Cleopatra, a te qui vengo.
                            Sì; da queste soglie
De’ Messageti miei vientene al campo;
ivi ne avrai sicuro impero e scampo.
a chi morte intimò vita desia?
parlò il labbro di lei, non parlò il core.
                                                 Più che non credi.
Or mi son dolci e cari i ceppi miei.
                                                Fugir non debbo
e lasciare il mio ben quivi in periglio.
Il tempo al resto darà poi consiglio.
No, mio Clearte, a lei ritorna e dille
che a me care per lei son le catene;
e cara è morte ancor, se da lei viene.
Vado, se vuoi; ma inutil prova è questa
se qui, senza profitto, amor ti arresta.
di pietade e d’amor teneri sensi.
di sdegno e d’empietà barbari segni.
                                   Ecco pertanto
che di porre in sicuro oggi tua vita
e di donarti libertà risolvo.
                        E che vuoi?
                                                Ch’io possa amarti.
È già d’altri il mio cor.
                                           Ma sono anch’io
di sangue illustre e di mie luci al lampo
più d’un amante adoratore ascolto.
e tua virtù; ma non adoro il volto.
sta in mia mano; tu sei mio prigioniero;
O viver meco o senza me morire;
e vita e morte; scegli; or che dir sai?
Vuoi ch’io scelga? Vuo’ morte.
                                                        E morte avrai.
di un rio destin. Vanne che già t’aspetta
co’ suoi Clearte, per condurti al campo;
solo a me nota via, t’apro lo scampo.
Non sarà mai che dal tuo fianco io parta
e lasci te del mio periglio erede;
invan, pietosa, affretti il mio partire;
qui, se meco non fuggi, io vo’ morire.
Morire? Io tremo al sol pensier; ti priego
di porti in libertà gloria non vieti.
se comandar tel posso, io tel comando.
                                              E Cleopatra,
quando del genitor si espone all’ire,
Per te piucché per me del padre io temo.
Che tu sei suo nemico ed io son figlia.
                                 Si tronchi ogni dimora.
E in questo, che a te do fedele addio,
ascolta la mia fede e l’amor mio.
Forza è pur ch’io ubbidisca. Oh fier destino!
Tigrane è salvo; e questo cor respira.
Principe, in questo nappo... Ma che miro?
                              Sì, crudo, spietato;
e se cerchi un nemico, in me tu l’hai.
                                         Oimè; che ardisti?
Quel che pur deve un generoso core.
Dunque per l’opra tua salvo è Tigrane?
                                    Ingrata, e quegli affetti
in guiderdon di un puro amore antico,
osi d’oprar così figlia infedele?
la tua gloria, il tuo sangue e il genitore?
Guardami pur, se puoi; parla.
                                                        Signore,
se il mio padre, il mio re io mossi a sdegno;
o tale è almen che non mi so pentire.
Oronte ad ubbidir, non trovo in questo
pregio verun; volgi la sua fortuna;
che men risplenda è la regal sua cuna.
Giudica or tu, se nell’amare errai.
Giudice tu mi vuoi! Tale mi avrai.
Signor, deh per pietà, l’ira sospendi.
E chi sei tu che intercessor ti fai?
Quel che tu sprezzi; e pur sarà tuo sposo.
Pensa e risolvi; o alle tue nozze Oronte
giacché di me non l’hai; rifletti; e cessi
                              Tigrane elessi.
Ti espongo i sensi miei senza mentire.
Oronte, non ti vuo’; voglio morire.
Morire? Tolga il ciel sì tristo evento;
sì, facciasi di me l’ultimo scempio,
se salvo Cleopatra, io son contento.
torni al comando e de’ sofferti oltraggi
compier tu puoi le giuste, alte vendette.
guardar disio la libertà, la vita;
dono al pontico re l’offesa mia.
contro il suo re tanto l’ardir s’avanza.
Argene io più non sono; e in Mitridate
conosco sol di Cleopatra il padre;
ma, se Argene mi sia o pur Tigrane,
lo scorgerà chi vorrà starmi a fronte;
e scorgerallo ancor lo stesso Oronte.
Su dunque amici, al generoso invito
si raddoppino i colpi; e poste a terra,
Or, chi tiene d’onore accesa brama
e su quei sassi orme di gloria imprimo.
argine assai più forte è il nostro petto.
Fuggon già vinti; seguili Clearte,
ch’io vado intanto in traccia di colei,
per cui guerriero amante io combattei. (Quei d’Oronte si pongono in fuga e Clearte li segue con parte de’ suoi)
Ah, Tigrane, ove vai? Ferma; che tenti?
si rispettan le soglie? Oh dio, già leggo
e la memoria de’ sofferti oltraggi.
                              Ah, crudel, veggo il tuo brando
del sangue di mio padre ancor fumante.
                              Perché dentro al mio seno
                                              Odimi almeno.
l’ombra del mio gran padre erando geme;
e a seguitarla già m’invita e chiama;
sento che l’alma già lo segue, oh dei!
che vano è il tuo timor; ma tramortita,
Reggetela, miei fidi; alla mia tenda
tosto si porti; e al suo vigor si renda. (Partono alcuni soldati reggendo Cleopatra)
ognun poi si ritiri e torni al campo,
che tor non voglio a Mitridate il soglio;
gli affronti ch’ei mi fece io più non curo;
purché viva il mio bene, ei sia sicuro.
Signor, col tuo gran nome, ecco abbiam vinto.
è il tuo rival da stretti nodi avvinto.
cedo al destin, non al valor gueriero.
Se non cedi al valor, cedi al mio core.
Io sciolto dalle mie crude ritorte!
E qual merto discopri in un rivale?
Tigrane deve oprar da grande e forte;
va’; libero ritorna a Mitridate;
digli che il brando mio, che a lui più regni
seppe acquistar, non sa rapirgli il trono;
di’ ch’egli è padre e di’ che amante io sono.
Generosa virtude! Il cor t’onora;
ma son amante; e sei rivale ancora.
Vado, che tua virtù ben l’assicura. (Parte)
Io ancor respiro! (Va rivenendo)
                                  Sì caro mio bene.
L’alma mia, che in te vive, e la pietade
ch’ebber del mio dolore in cielo i numi.
Salvo e vivo colà nella sua regia.
Queste non son già le mie stanze!
                                                              Sono
le mie tende e tu sei qui mia regina.
Son le tue tende? E qui son tua regina?
E come ciò! (Prende vigore)
                         Qui tramortita in braccio
ti recaro i miei fidi e in libertade
serbi sovra di me libero impero.
osserva i detti miei, s’è ciò pur vero;
pronto raccogli le tue tende e lascia
                                            Io non gliel tolsi.
opra pur anco da discreto amante;
rendimi tosto a lui, che non consente
tua virtude, il mio onor ch’io qui rimanga.
Dunque tu vuoi lasciarmi in abbandono
Che potran contro questa alma innocente?
D’altri mai non sarò, se tua non sono;
lascia adunque che io parta e tu qui resta;
                                              Io vado; addio,
prova daroti di mia fede anch’io.
fin dentro la città le scorti il passo. (Araspe parte con suoi soldati)
Ahi di me sventurato! E vivo ancora?
da me, con Cleopatra, è la mia vita?
che libera ne andasse al genitore;
v’andò; ma ch’ella poi sola rimanga
nol consente mia fé, mel vieta amore.
Vado; la seguo. (Partendo incontra Clearte)
                               Ove così turbato?
                                      Piansi, pregai;
ma tutto, oimè, fu indarno.
                                                   Or che farai?
per occulto sentier, fia che io mi porti,
qui lascio a te le bellicose schiere;
tu dal monarca otterrai pace, armato;
ed io col petto, ancorché inerme e ignudo,
sarò del caro ben difesa e scudo.
Ferma; egli vola; e qual furor gli svelle
a incontrar della parca il colpo estremo?
Eh, che ad amor mal si resiste, a prova
lo so, che questo cor fido e sincero
di tiranna beltà soffre l’impero.
Rasserena la fronte, o mio signore;
più non c’insulta; e quel Tigrane audace,
che guerra minaccione, or chiede pace.
Pace mi chiede, or che de’ scorni miei
fastoso egli trionfa; indegna figlia,
se l’onor tuo, se l’onor mio calpesti,
non creder già che invendicato io resti.
un giorno calcherà di Ponto il soglio.
Darò principi al regno e a lei nemici
da te miei figli; oggi t’invito al trono.
non rimarrò, se Mitridate io sono.
Signor, libero alfin da mie ritorte
Chi da’ lacci ti sciolse? (Sovraggiunge Cleopatra che sente in disparte)
                                            Il tuo nemico.
Tigrane adunque in libertà ti pose?
slegommi il piè; ma incatenommi il core.
della mia figlia più il rival non teme.
                                           Oh dei?
                                                            Che miro!
signor tu sei; a me la desti; e puoi,
ritortela, se vuoi; ma quell’onore,
ch’io guardo in petto e che guardò fedele
Quella figlia son io che a tua difesa
mossi pronta il mio piede; ed il fumante
temei della tua vita; onde, all’orrore
del sol pensiero, semiviva io caddi
colà fra quelle schiere; egli cortese
mi pone aita; mi guardò discreto;
libera a te mandomi. Or di’ chi reo
amor per te, anco innocente io sono.
La man porgi ad Oronte; e ti perdono.
Dopo i tanti servigi e dopo il grande,
ch’ei mi diè di virtude, ultimo segno,
di mia costanza sol Tigrane è degno.
                      Che stabil fede!
                                                     Al giusto impero
Crudo signore! Genitor severo.
No Cleopatra, no; non ti dia pena
né del padre il rigor né la tua fede.
                                      Eterna fede
Cleopatra giurommi e tu non puoi,
finché in vita rimango, a me ritorla;
di porla in libertade, a te l’aditto
togliendosi il timor della mia spada.
                                               Con tal costanza
lo soffrirò che forse avrai rossore
dell’ingiusta ira tua, del tuo rigore.
                           M’intenerisce.
                                                        Ahi pena!
Men vado, Oronte vieni; io là nel tempio
sposo Oronte, tu estinto, io vendicato.
dove giunsero alfine i tuoi disprezzi!
                                    Lo soffro invitto.
                                      E Apamia, a fronte
di Cleopatra, osa insultar Tigrane?
ei non curommi; e al par di te l’amai.
Or la vendetta mia veggo vicina.
l’infausto punto ove si arresta e muore
il nostro dolce ed infelice amore.
caro oggetto a’ miei lumi! E qual furore,
per cui tutta al dolor io mi abbandono,
qui ti spinse a morir? Oh ria sventura!
fora il vederti in braccio ad altro amante;
il lasciarti ancor mia è quel pensiere
che il tuo penar, che il morir mio conforta.
D’altri non vuoi vedermi e mi vuoi morta?
con sì tristo pensier; vivi e conserva
le tue speranze al soglio, assai di pregio
rammemorando il mio destin crudele:
«Morì per troppo amarmi il mio fedele». (Parte)
alle nozze ferali orrida pompa;
e l’aspra di lui morte e un tanto lutto
soffrirà Cleopatra a ciglio asciuto?
Egli va a morte? Ed io pur vivo? Ahi lassa!
tutta frema d’orrore e si spaventa.
Oh dei! Già veggo sovra il capo illustre
cader la scure; e veggio il labbro amato
palpitante esalar l’ultimo fiato;
già presso a vallicar l’onda di Stige;
odo che a sé mi chiama e dice: «Osserva,
qual sostenni per te sorte proterva».
principessa vezzosa e di voi degna,
del vostro re, di Mitridate è sposa.
accrescerà le vostre gioie; e tutto
coronerà l’onor di questo tempio
dell’armeno nemico il giusto scempio.
Del mio signor l’affetto oggi m’innalza
dove appena il disio d’ergersi ardiva.
qual è dover; ma nella grande e bella
serva io gli sarò del par che sposa.
A che badi, o signor? Lascia le pompe;
noi perduti già siamo, odi il tumulto,
che vicin ne minaccia un grave rischio! (Sentesi strepito d’armi)
nuovo periglio? Di’... Parla.
                                                   Clearte
e col favor che la vittoria ottiene
nimico e vincitore a noi sen viene.
                                           In sì gran male,
                                     Se a tutti manca
fra quell’arme sfidar, solo, la morte.
Fuggi, signor, dell’imminente rischio
                                  Ah figlia indegna,
sola cagion di mie sventure, il primo
sarà la tua; con questa man... (Snuda il ferro, Clearte sopraviene)
                                                       Raffrena
Mitridate il furor, cedi; se’ morto. (Tigrane si presenta contro Clearte con la spada alla mano)
intrepido e costante io qui t’attendo.
Ritirati, Clearte, io lo difendo.
tronca i suoi lauri e mi diffende?
                                                             In questo
di virtù generosa ultimo segno
riconosci Tigrane e il suo gran core.
è sicura per me, pago son io;
al tuo voler più non resisto; in preda
m’abbandono al tuo sdegno e non lo temo,
disarmato, il mio capo al colpo estremo. (Getta la spada)
Par che ignota pietà mi nasca in seno.
incrudelir non dei col proprio sangue
                                          Di questo giorno
che, tua mercé, sì lieto a me risplende,
ombra funesta il bel seren non tolga;
che parte aveste in tranquillar quest’alma,
di reale imeneo doppia la face.
baci sulla tua destra il mio destino.

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