che sempre intorno al mesto cor t’aggiri
bel desio di vendetta in sen m’inspiri,
non temer di mia fé, riposa in pace;
dalla man d’una figlia in brieve aspetta
di tua barbara morte aspra vendetta.
Ma vien Pericle. Idolo mio che rechi?
Giace estinto il tiranno? Hai tu saputo
meritar l’amor mio col giusto colpo?
Non s’intraprese mai contro un tiranno
che facesse sperar più lieto fine.
facilmente disposi al gran cimento.
desio di libertà l’antica patria?
scuoter anela il peso; e neghittosa
quando meglio il potea vile nol fece?
Non si conosce il mal se non si prova.
È il miglior de’ miei fidi e in lui riserbo
il segreto più grande. Io veggo un messo.
Noi lo saprem dal foglio. (Un paggio presenta un biglietto a Pericle. Legge il foglio)
a me vieni Pericle; e teco sia
alte cose svelar del mio pensiero.
Pisistrato signor di questo impero».
Cielo. Di’ che verrò. (Al messo che parte)
de’ congiurati i primi capi è segno
Vano è il timor. Se penetrò il disegno,
non per questo il tiran potrà sfuggirlo.
Scoprami suo nemico; e tal mi tema.
Ahi, che del tuo periglio ancor pavento.
Se a te servo morendo, io son contento.
Proteggetelo voi numi sovrani
Pisistrato di noi chiede sdegnoso.
Aggiunge messi a messi; io già pavento
Pieno di bello ardire, andò cred’io
vo’ che fra noi si parli.
il periglio maggior dell’alma mia.
Ho la morte nel seno e pur non moro.
Parta ciascun fuorché Pericle e Oronte. (Partono le guardie)
Sedete amici e se fia ver ch’Atene
vanti ne’ cittadini alme sincere
meco non simulate il vostro sdegno.
frutto del mio valor, cinsi il diadema,
mille labbra mordaci ascolto e miro;
né la pace bramata ancor respiro.
difensori o custodi. Io non ti celo
contro te l’odio mio, se tu mel chiedi,
il più fiero nemico in me tu vedi.
che impose alla sua patria empie catene.
Così favella un cittadin d’Atene.
Figli, basta così; voi mi sdegnate,
vostro re, vostro duce altro non chiedo
questo nome tiran libera patria.
questa parte di Grecia e nacque e visse.
Senza re, senza impero e senza legge
visse Atene finor ma qual n’è il frutto?
fasto ne’ grandi e negli abietti invidia,
guerre civili e quotidiane straggi.
questo vostro terren del vostro sangue.
siede un monarca a moderar l’orgoglio
respirò questa patria. Oh voi felici
se un regnante pietoso... Eh ben m’aveggo
e che più d’una eterna amica pace
la sventurata libertà vi piace.
che pongon freno alla volgar licenza,
che son vostra difesa avete in odio.
Via, sarete contenti; ecco mi spoglio
l’aurea corona e vi ridono il soglio. (Si cava la corona)
(Quasi lo sdegno è vinto).
Magnanimo signor quest’atto illustre
memorabil sarà. Questa corona
Pria di depor questo real diadema
che cotanto mi costa e sangue ed oro,
voglio ancora una volta usarne almeno
ma solo in vostro pro; indi vedrete
qual era il re che ricusato avete. (S’alza e si ripone la corona)
sia primo duce Oronte, in le sue mani
stia il destino d’Atene e la mia vita.
O degno eroe, tu mi vincesti alfine.
né temer che t’insidi Oronte il trono.
a te già destinai. Tu sai che adoro
Invaghito di lei te pure io vedo.
Onde vinco me stesso e te la cedo.
superar l’odio mio con tua virtude.
Troppo ingiusto saria togliere un regno
a chi regnar nel mondo tutto è degno.
del mio folle disegno il fine incauto;
a Pisistrato re la fede io giuro.
Così ciascun di voi siegua il mio esempio.
La catena d’un re giusto e clemente
è soave così che non si sente.
questo del tuo valor frutto ben degno.
(Ho perduto il mio bene, ardo di sdegno).
per te sono, o signor (a miglior tempo
amici io regnerò, poiché ricevo
questo scettro da voi; non è felice
chi coronata ha la cervice altera
ma chi sul cor de’ cittadini impera.
nel suo folle pensier l’uomo s’inganna.
del tiranno nel sen tanta pietade?
d’un labbro infido i simulati accenti.
e di Nicia bastante il solo nome
fu nel tuo seno a moderar lo sdegno.
Come bastò nel tuo l’illustre incarco
ed ad uopo miglior la riserbai.
Finga chi può. Chiudo nel petto un core
non t’avesse proposto il dolce nodo,
parlaresti Pericle in altro modo.
s’io non sono la rea, penare io deggio?
seco ho il sangue commun ma non il core.
Torna lieta Rosmiri, il tuo germano
con maggiore costanza io non t’odiai.
Così disprezzi chi fedel t’adora!
Della tua fedeltà nulla mi cale.
Per te piango crudel, per te mi struggo.
Per non guardarti io fuggo. (Parte)
Tu che amico gli sei, dimmi Pericle,
perché Oronte mi sprezza?
la cagion del suo sdegno.
qualche rara beltà? Deh non celarmi
il mio crudo destin se tu lo sai.
Ciò palese non m’è. Senti Rosmiri,
soffri senza lagnarti il fier rigore.
onde avrà la sua pace anche il tuo core.
è il solito velen che l’alme inganna;
speriamo il bene e intanto il mal ci affanna.
compatisco Rosmiri il tuo dolore.
trafiggesti Pericle? Idolo mio
così tosto eseguisti il mio comando?
Dov’è del padre mio l’empio uccisore?
Vuo’ aprirgli il sen, vuo’ lacerargli il core.
Nicia, frena lo sdegno; io non uccisi
e di regno e di vita oggi più degno.
prove mi diè; ceder voleva il trono;
si levò la corona e a me la porse.
Vinse la sua passion, vinse sé stesso.
Nicia dell’alma sua parte più cara.
La sua virtù per sì grand’atto è chiara.
Va’, che un vile tu sei. Ti fe’ spavento
prima di meritarmi; io penso adesso
di punir col mio sdegno un tanto eccesso.
senza sangue versar stringer assieme,
prima si deve, al padre mio dovuto;
il mio povero cor solo tributo.
siegui la sua virtù, lascia d’amarmi;
incomincia crudele oggi ad odiarmi.
Ch’io t’odia? Ch’io non t’ami? Ah di’ più tosto
del viver tuo né la tua morte io bramo.
Ma più grato al mio core io ti sperai.
Fuggi dagli occhi miei; se a vendicarmi
vile così non comparirmi innante.
Tu mi vuoi traditor. Per compiacerti
esserlo ancor dovrò. Bella tiranna,
altra ragion che il tuo voler non vedo.
M’ingannasti una volta, io non ti credo.
tutelari di Grecia, il tuo nemico
meco saran mallevadori i dei.
degnami almeno; all’amor mio costante
dona, bella crudel, qualche mercede.
Pensa per ora a mantener la fede.
sperami all’amor tuo; ma se m’inganni,
saranno gli odii miei sempre tiranni. (Parte)
Infelice Pericle a che t’astringe
dura legge d’amor! Come potrai
ingannarlo, tradirlo! Ah no, più tosto...
Ma il giuramento mio? Che fo? Che tento?
Eh Pisistrato! Oh Nicia! Oh giuramento!
da cotanti nemici e s’abbandoni
quella donna crudel che reo mi vuole.
Volgasi il piè... Ma dove? Ah che non posso
muovere il piè, se mi trattiene il core.
Ma restar non si può se non si svena
un monarca, un amico; eterni dei
deh porgete consiglio a’ pensier miei.
il dovere d’amico e quel d’amante.
ch’esser doveva il barbaro stromento
d’una morte più ingiusta, entro il mio seno
passi con più ragion. (In atto di ferirsi)
t’imposi lacerar. Vile, codardo,
per la giurata impresa. Il tuo rossore
tempo non è; se manca nel tuo seno
l’opportuno coraggio, io già t’assolvo.
alla vendetta mia braccio più forte.
deggio usare il valore e non l’inganno,
cimentarmi saprò. Con questa spada
sfiderò il tuo nemico, andrò io solo
contro l’armate squadre; allor saprai
s’era vile il mio core e s’io t’amai.
No no. T’arresta pur; d’un disperato
non mi giova il furore, andar tu solo
contro il forte nemico a sen scoperto
è un volere morir, non vendicarmi.
passati pur il sen, ch’io già t’obblio.
Deh se deggio morir, fa’ almen ch’io speri
Se spergiuro ed ingrato a morte passi
t’abborrirò dopo la morte ancora.
Fiero destin! Che far degg’io?
o vendicarmi il padre o t’abbandono.
Vendicarti saprò ma qual conviene
in aperta tenzon col brando in mano.
Ma se deggio tradir lo speri invano.
è virtute mancare e non delitto.
M’ingannasti fellon... (Ma viene Oronte.
l’affetto di costui contra l’infido).
comprendo, Oronte, il tuo celato arcano.
So che m’ami tacendo ed io preparo
una giusta mercede all’amor tuo.
del tiranno crudel trafiggi il petto
e la destra di sposa io ti prometto.
l’oltraggio tolerar. Nicia t’intendo.
Vuoi punirmi così, tutto soffrire
saprei, fuor che vederti ad altri in braccio.
ancor questo farò; per le mie mani
oggi cadrà Pisistrato svenato.
Ed io sarò per compiacerti ingrato. (Parte)
Prevenirlo vogl’io... (In atto di partire)
per soverchio furor scoprir le trame.
d’uccidere il tiranno, avranne il premio?
E vuoi ch’io soffra adunque
ch’ei mi preceda! Nol farò... (In atto di partire come sopra)
d’uopo non ho di te; ma se codardo
nel cimento si mostra, allora poi
la promessa mercé sperar tu puoi.
Nicia crudel, gl’inganni tuoi previdi.
Ma se pianger degg’io, non vo’ che goda
il felice rival di mie sventure.
svelar saprò il disegno; invendicato
Tu mi sprezzi a ragion, poiché di Nicia
del pungente tuo labbro i falsi accenti.
che vuo’ Nicia adorar, benché crudele,
che abborisco il tuo cor, benché fedele.
Infelice Rosmiri, a quale stato
giunsi per il rigor d’un core ingrato!
Ma non dispero ancor. Chi sa. Potrebbe
vincer d’Oronte il pertinace orgoglio.
Vuo’ serbar fede e lusingarmi io voglio.
E sarà ver ciò che mi narri?
udii Pericle a sollevar la plebe;
celar sotto la veste acuto ferro,
per strumento crudel della tua morte.
come sperar potrei giorni felici
se tradito son io da’ miei più cari?
che far di più potea? Ma dimmi Oronte,
qual ira lo trasporta e qual ragione
adduce altrui del tradimento enorme?
Zelo di libertà finge l’ingrato;
ma desio di regnare a ciò lo sprona.
Regni pure felice, io volentieri
se il popolo d’Atene a ciò consente.
questa saria; se un tradimento indegno
non punisci, signor, qual tema avranno
nell’impugnar lo scettro, io m’acquistai
il nome di tiranno, ora m’è d’uopo
che mi credono tal. Va’, di Pericle
cauto ricerca e a me ne venga.
trattenerlo farà. Ma che rimiro!
Vedi signor; quegli è Pericle, osserva (Additando dentro una porta)
(Soccorso amore). (Parte Oronte)
(Eccolo. Morirà...) (Entra in scena risoluto)
sì confuso e turbato! Il bel sereno
della fronte sincera onde smarristi?
(Che rimprovero è questo?)
Fissi a terra le luci e ti confondi!
sai per prova s’io t’amo; e sangue e vita
tutto darei per te; tu, che sincero
ti vanti, non celarmi il tuo pensiero.
ahi Pericle, comprendo il chiuso arcano.
giurata la tua fé; mediti adesso
forse ancor di tradirmi! Orsù. Vogl’io
risparmiarti il rossor d’un tradimento.
Vieni, passami il sen, ch’io son contento.
(Più resister non posso). Ah sire, io sono
l’uom più vil della terra. Io meditai
scellerato tradirti. Ecco quel ferro
con cui darti volea barbara morte. (Getta lo stile)
meco la tua clemenza, usa lo sdegno
con chi di tua pietà si rese indegno.
le tue brame appagar; desio del trono
so che a ciò ti consiglia.
non è superba avidità di regno
che mi nieghi Pericle un lieve dono?
So che ingrato ti son; purtroppo il veggio;
ma l’arcano svelar, sire, non deggio.
non fidarti cotanto; egli destina
solo per conseguir Nicia in consorte.
ricusa il dono tuo; sol di lei degno
crede colui che ti trafigge il petto.
l’innocenza salvò nel tuo bel seno, (S’inginocchia)
sire pietà; non già per me la chiedo
ma per Nicia; perdona in una figlia
l’acceso ardor di vendicare un padre.
(Stelle che veggo mai?) Che fa Pericle
la mia virtù; chieder perdon non soglio
per un giusto desio di vendicarmi.
Sì vogl’io la tua morte; ei la doveva
eseguir per mio cenno; ora codardo
si spaventò; ebbe fellone il core
ma timida la destra; e se pentito
egli è tal per viltade e non per fede.
in te Nicia il furor che ti fa cieca.
meco ingiusto vedrai cotanto sdegno.
uccisi il padre tuo ma dove anch’io
potea sparger pugnando il sangue mio.
Nicia quanta pietà, quanta virtude
vanta mendace il tuo scoperto inganno.
Eh punisci german nell’empia donna
per ora il suo dolor. Femina ingrata
chi di noi è più reo. T’uccisi il padre
ma da guerrier; tu il mio morir tentasti
per tradimento. Io ti perdono il fallo.
Tu siegui ad ingiuriarmi; or veder puoi
il barbaro, il crudel chi fia di noi.
e tu pure cadrai col tuo germano.
Dell’innocenza è protettore il cielo.
di quest’idolo tuo rapirti il core.
Ah Nicia, che dicesti?...
soffrirò, penerò ma Oronte alfine
l’incostanza di Nicia e la mia fede. (Parte Rosmiri)
Fuggi dagli occhi miei. Scordati ingrato
dell’amor mio, ch’io già del tuo mi scordo.
Di’ più tosto ch’io mora.
stile de’ falsi amanti. Assai mendace
ch’io per te morir sappia, eccoti il seno,
con mendaci sospiri e il finto pianto.
No no la frode tua non giunge a tanto.
tanto in odio vi son che mi negate
tutti i mezzi opportuni alla vendetta?
Il nemico trionfa. Oh destin rio.
Tutto tutto congiura a danno mio.
Ma se impedito ho di Pericle il colpo
io vibrarlo saprò più cauto e certo.
vivo non troverà l’empio tiranno.
Odimi. Ho già risolto. Io vuo’ che mora
l’usurpator di questo regno, il crudo
uccisor di mio padre. In questo loco
so ch’ei verrà. D’acuto ferro armata
sarà la destra mia. Saprò io stessa,
quel barbaro svenar; ma se il tuo braccio
non andrà l’opra tua senza mercede.
Bella, tanto mi basta; io mi nascondo
fra quest’ombre fiorite e il tuo nemico
al varco attenderò; ma dammi almeno
per accrescer valore al braccio mio
Oronte addio. (In atto di partire)
Nicia così crudel con chi l’adora?
Uno sguardo non sol ma il core istesso
fora scarsa mercé d’Oronte al merto.
Egli è l’idolo mio, soavi amplessi
la destra mia; pegno d’eterno affetto
(Ma voglio prima il traditor svenato). (Piano ad Oronte)
dell’arcano svelato al tuo germano.
Donna crudel, farà le mie vendette
il cielo e amor; in quella guisa istessa
disprezzata sarai, sarai delusa.
sei sprezzata, delusa e invan sospiri.
L’onta e lo scherno io sofferir non posso.
contro la mia nemica; io sento il core
ardermi in sen d’insolito furore.
Fra queste vaghe amenità fiorite
quella quiete aver spero che invano
Difenditi, signor, che sei tradito. (Sopragiugne e lo difende)
Traditori così... (Pericle si pone contra Nicia)
(Numi crudeli!) (Pisistrato contro Oronte)
Nicia ancor non sei paga? Oronte indegno
tu pur col ferro in man? Tu vuoi svenarmi?
per ucciderti poi venni a salvarti.
Essa chiede il tuo sangue; io per piacergli
trema dell’ira mia, finché tu vivi
insensato a tal segno? È tempo ormai
s’io punirti saprò; vedrai fellone (Ad Oronte)
s’io saprò vendicarmi. A te Pericle
Per l’amor del tuo re passami il seno.
ecco german le guardie tue condussi.
Io vidi il tuo periglio, onde v’accorsi
qual più potei sollecita e veloce.
Opportuna giungesti. A voi consegno (Alle guardie)
Nicia ed Oronte. Il loro piè cingete
d’aspre catene e riserbati siano
Crudel non mi spaventi; io più di morte
abborro il volto tuo; e se non posso
trapassarti quel sen, più volentieri
che vederti regnar morte m’eleggo.
viver con Nicia, almeno avrò la sorte
d’esser compagno alla mia bella in morte.
M’offendi se più parli. Al regio trono
siano condotti i rei; fra brevi istanti
ora che lieta sei negl’amor tuoi.
spero veder le mie vendette ancora. (Parte con Oronte fra guardie)
non ti sdegnare, Oronte è l’idol mio,
se me lo togli, puoi levarmi ancora
la vita, senza lui penosa e amara.
vive amante il mio cor, se tu mi privi
del conforto maggior del viver mio,
sventurato dovrò morire anch’io.
il sangue mio che pure è sangue tuo.
merta che mi sii grato, altro non chiedo
è inclinato il mio cor; se stimolate
colle lagrime vostre il mio costume,
diveneria nel seno mio viltade.
onde si fanno venerar li dei.
mentre in virtù più t’assomigli a loro.
Non più; partite; io voglio
che la vita o la morte a me dar puoi. (Parte)
l’arbitro tu, signor, de’ giorni miei.
Mio cor che mi consigli? E voi che dite
miei fastosi pensieri! Ah se comincio
usar la crudeltà, tutti gli amici
perdo ad un punto e mi vacilla il trono.
che m’insidian la vita i rei superbi
l’odio destar ne’ miei fedeli ancora.
fin che Nicia crudel libera vive.
che provocare alla vendetta un regno.
Morte non mi spaventi; il mio tormento
è che senza vendetta io morir deggio.
giunsi per tua cagion, rendi felice
il mio morir con un tuo sguardo almeno.
O liberarti o morir teco.
o liberarti o ver morirti a lato.
Rosmiri, l’opra tua; mira che giunge
a pronunziar la barbara sentenza.
il pietoso tuo re venne a salvarti.
Contro di me sfoga lo sdegno.
Sì lo dovrei, poiché l’offeso io sono;
e vita e sposo e libertà ti dono.
signor, lo sdegno mio; tanta pietade
in ricompensa un solo dono Oronte.
potrò sperar da te grata mercede?
Ecco il premio dovuto alla tua fede.
Ma quai grazie signor?...
del vostro amor, se le vostr’alme unite
son felici per me, bastami solo
che il sincero mio cor più non tradite.