Povero Pandolin! Che gran disgrazia!
M’avessero quell’onde subissato;
ch’ora non proverei sì fiera pena.
a lasciar la sua patria e con la madre
e col fratel meco è venuta in mare;
a far in terra il nostro sposalizio
se n’è andata la nave in precipizio.
M’avevo ritrovato un buon marito
e appena l’ho trovato l’ho smarrito!
aver la madre ed il fratello in mare;
m’è il dolor d’aver perso il caro sposo.
e non li ho più veduti a tornar su.
m’ha condotta del mar in sulla riva.
E tu come sei giunto a salvamento?
Ero quasi del mar andato al fondo,
e dentro della stessa io m’intricai.
m’hanno tirato su per un sturione.
e la fame principia a tormentarmi.
Non si vede una casa, una capanna.
siano ladri, corsari o malandrini,
già nella tasca mia non ho quattrini.
Manca il denaro e cresce l’appetito.
(Sento che quel presciutto il cor mi tocca). (A Pandolino)
(Che bel formaggio! Mi vien l’acqua in bocca). (A Pollastrina)
(Oh che caro presciutto!)
(Domandiamone un po’). (A Pandolino)
Bella coppia gentil, che fate qui?
che per maggior disgrazia si è salvato.
Io signore... son morto... dalla fame.
immersa in una gran malinconia?
Anch’io provo la stessa malatia.
dove sempre si beve, ognor si magna.
Nel paese noi siam della cuccagna.
Signor... non ho coraggio...
perché quello... mi piace... sopra tutto,
regalarmi... una fetta... di presciutto.
mangia e beve a sua voglia e non fa niente.
che prima d’aggregar un forastiero,
pria di dargli da bere e da mangiare,
serbar della cuccagna il bel costume.
nostro governator. Colà vi è il tempio,
dove Cerere, Bacco e Amor si adora.
Perché passar vi lascino alla porta,
due de’ compagni miei vi faran scorta.
di ristorar un poco l’appetito?
Le leggi trasgredir voi non potete.
Ahi, mi porta via il core!
questa volta faresti la frittata.
giurar che non son figlia di mio padre.
partita con tua madre e tuo fratello,
per venirti a sposar al mio paese.
di non darmi tormento e gelosia.
delle più modestine e più ritrose
ma la fame fa far delle gran cose.
M’ho fatto mal, con riverenza, a un piede.
Poverina! M’aspetta e se lo crede.
cosa posson voler da’ fatti miei,
perché prender un granchio non vorrei.
e se occorre farò da menarosto.
ch’io avessi in altre cose a faticare,
che mi condannariano per spergiuro.
nostro governator, il ciel cortese
il più bel dono ch’abbiano i viventi,
buon stomaco, buon gusto e buoni denti.
che ber potiate come un animale,
senza che il troppo vin vi faccia male.
faccia del vostro stomaco un lambicco
vi faccia digerir mentre mangiate.
e in premio dell’amor che mi portate,
parte vi voglio far di mie vivande. (Vengono servi con torte e pasticci)
sulla spiaggia del mar ho ritrovati.
e son meco venuti al dolce invito.
che sian ammessi al nostro trattamento
fategli far l’usato giuramento.
quegli affamati pellegrini erranti.
Le donne fan finezze a un uomo maschio
e gli uomini le fanno ad una femina?
Se farete così, non mangierete.
se state bene voi, sto bene anch’io.
Se ognuno baderà alle cose sue,
godrete la cuccagna tutti due.
Se volete la sposa e voi prendetela. (Lo spinge in mezzo la scena)
Se bramate la sposa e voi tenetela. (Fa passare Pollastrina vicino a Pandolino)
Oimè, sento che il cor mi balza in su!
Pria dovete giurar, poi mangiarete.
vi dico che per ora non si magna. (A Pandolino e Pollastrina, poi parte)
E intanto dalla fame s’ha a morire?
all’uffizio gentil di dispensiera
a pranso, a colazion, merenda e cena,
vi darò da mangiar a pancia piena.
con tutta la sua grande cortesia
nulla m’ha dato e se n’è andata via.
e finora per noi non v’è cuccagna.
Per goder di cuccagna il beneficio,
abili per la nostra istituzione.
vi sono al mondo. L’una è di coloro
che traggono il mangiar dal suo lavoro.
che cerca di mangiar senza far niente.
sono gli altri d’umor lieto ed ingordo.
misti e confusi i desideri suoi
Chi pensa seriamente stia lontano.
Solamente quel che ama la pazzia
degno è di star in nostra compagnia.
quai siano i riti nostri, io sarò pronta
a dar a voi la relazion più vera,
io che Libera son cerimoniera.
della nostra città si leva sempre
vicino al mezzodì. Levati appena,
le prime a bellettarsi e farsi i ricci,
i secondi a ordinar torte e pasticci.
Fra visite, fra giochi ed amoretti,
più di quello che può, di quel che deve.
si può far all’amor liberamente
senza trovar nessun che dica niente.
ciascun sen va colla sua sposa in letto.
Oh che regno felice! Oh che paese
Sempre più me ne sono innamorato.
andiam, se di venir contenta siete.
Io per tutto verrò dove volete.
quella bella regazza è vostra moglie?
Ancor tale non è; ma tale io spero
se il buon governator lo accorderà.
poiché nella città della cuccagna
quelli ch’ha bella donna per consorte
è sicuro goder felice sorte.
noi faremo anche adesso il matrimonio.
Fatelo; io servirò per testimonio.
pane, vino, cappon, manzo e vitello
al mio caro sposin grazioso e bello.
che quel che s’usa qui col protettore
senza difficoltà dobbiate usare.
Alla presenza mia date la mano,
le usanze vi dirò di mano in mano.
È una gran bella cosa il canto e il suono;
tutto mi dà nel genio e mi conforta
ma sono dalla fame mezza morta.
staremo allegramente e goderete.
Venite via con noi, badate a me
e il marito, se vuol, pensi per sé.
Andar con il marito in compagnia
sarebbe una solenne villania.
che le femine son fra noi sicure.
preparate ogni libro, ogni strumento,
per far la gran funzion del giuramento.
Ah, signor protettor, me l’han rubbata.
ed in qualunque luogo sia rimasa
la trovarete questa sera a casa.
o andarvene di qua come un birbone.
non lasciate di dir quel che dich’io.
giurar come dich’io, vi scaccierò.
Povero Pandolino, io giurerò.
Prometto di non essere geloso.
Prometto... di non essere... geloso.
Di mangiar quanto posso e sempre bere.
anco questo di far, partite, andate.
signorsì, signorsì, giuro far tutto.
al popol fortunato di cuccagna,
dove il bere e il mangiar non si sparagna.
sei fatto di cuccagna cittadino.
Puoi saziar quanto brami ogni appetito
ma sei di Pollastrina il bel marito.
Signor no, signor no, pazzia non è;
l’ho presa e l’ho sposata sol per me.
si sopporta e si fa come si può.
Vuo’ più tosto morire. Oh messer no.
Fra l’amore, l’onore e l’appetito,
parlano i miei pensieri ed io rispondo.
tanti cibi ogni dì, tanti licori
senza che alcuno spenda, alcun lavori.
Vi voglio soddisfar. Sappiate, amica,
certe ricche persone e piene d’oro
e un soldo non darian per carità;
liberali saranno e generosi.
che fomentan i vizi e fan che stia
il popol di cuccagna in allegria.
qual’altre deità quivi adorate.
beffeggia nel suo cuor chi gliel’ha dato.
Per dir la verità, pensando anch’io
alla vostra sì strana cortesia,
ho riso nel mio cor la parte mia.
Ridete pur ma poi pregate il fato
ma che quando si trova dura poco.
Come parla costei! Non par che siano
di cuccagna addattati ai cor contenti.
abbiam qualche pensier illuminato
che ci fa vergognar del nostro stato.
scaccio il pensiero e faccio a modo mio.
ch’hanno preso in cuccagna il lor partito
pochissimo si curan del marito.
finché dura il bel fior del vago viso.
e la men scaltra gioventude addestra.
mantenute da sciocchi a proprie spese.
Il nostro di cuccagna è il vero regno
dove senza pensar si beve e magna,
si gode dagli oziosi la cuccagna.
Così dei piacer suoi ciascun si scusa;
basta di poter dir: «Così si usa».
Finor per causa tua son stato in pene.
Credo più bel paese non vi sia.
ma non del tutto ancor. Vi vuole assai,
poiché due giorni intieri digiunai.
Mi sarei data alla disperazione.
vinto fu dalla fame anco l’amore.
dei cibi al buon odor cedé l’affetto.
vieni che ci abbracciamo un pochettino.
Vieni che sei il mio caro Pandolino. (Si abbracciano)
La sua moglie abbracciar non è vergogna.
Lo faremo in segreto. (Piano a Pollastrina)
lo farem che nessun potrà vedere. (Piano a Pandolino)
voglio mostrarvi il vostro appartamento.
Dunque non posso andar colla mia moglie?
Non intendo, signor, tal complimento.
Ricordatevi il vostro giuramento.
sai che donna ch’io son e tanto basta.
Questo poco mangiar mi costa caro.
a me che son alfine suo marito?
dell’uso nostro, onde per dirla, amico,
vado e di voi non me n’importa un fico.
due abiti e le loro forniture.
Signor quand’è così si serva pure.
voi sarete ogni giorno più contento. (Entra in camera con i doni)
Non so cosa si dica di contento;
quel ch’io faccio lo fo per complimento.
Pandolino, dov’è la moglie vostra?
Posso andar quando voglio e voi tacete.
e ancor vorreste far il bell’umore?
cosa v’è in quei bacili e in quei cestoni.
li reca di sua mano il buon Lardone.
Meraviglio, signor, vada, è padrone.
ma commettere temo un’increanza
che sia contro l’usanza. Mi ramento
della cuccagna la ceremoniera,
la moglie in casa troverò stassera.
Tutta vostra bontà. (A Lardone)
Vedete a vostra moglie quanti onori. (A Pandollino)
Son obligato a tutti lor signori.
Andiamo a cena nel giardino mio.
Grazie di tanto onor. Consorte, addio. (Partono Pollastrina, Lardone e Compagnone)
Oh questa poi mi spiace sopra tutte.
Come? La moglie mia vogliono a cena
s’ha da dar da mangiar anco ai mariti.
se mangia lei, voglio mangiar anch’io. (Parte)
come presto ogni scrupolo ha scacciato!
quando l’uomo ha dei vizi e non guadagna,
presto, presto si addatta alla cuccagna.
Levatevi di qui, non mi seccate.
so che non parla lui ma parla il vino. (Parte)
se vagliono con voi di donna i prieghi.
A tanto intercessor nulla si neghi.
Vi ringrazio, signor. (Ma me ne vado,
ei s’avesse a rifar co’ fatti miei). (Parte)
che avete mai che andate traballando?
Fermati; vuo’ che stiamo in allegria. (Prende una bottiglia e vuole che tutti bevano)
che ci addittar gli esploratori nostri.
che d’ozio vive e mangia all’altrui spese
e cuccagna si chiama il suo paese.
saccheggiam la città de vizi piena;
conducciamoli tutti alla catena.
Ecco, signori miei, la cioccolata. (Servi portano tre cioccolate)
(Io piuttosto un cappon mi mangierei). (Da sé)
Siedete ancor voi. (A Pandolino)
ma, non dubiti, so la convenienza. (Tira la sedia lontana da loro e siede in modo che poco li vede)
a imparar i costumi è stato lesto.
Queste usanze, signor, s’imparan presto. (I servi portano la cioccolata a Pandolino)
Date qua, date qua; la bevo io.
Ehi! Mi date licenza? (A Pandolino)
che porti a Pandolin la colazione
intantoché facciam conversazione. (Siede presso Pollastrina. Parte un servo)
Avete riposato? (Bevendo la cioccolata)
colla zuppa, il piccion, il pane e il vino.
Questa, questa è la vera cioccolata. (Frattantoché le due donne fanno scena con Pandolino, Pollastrina e gli altri due mostrano di discorrer assieme)
Lasciatevi servir. (A Pandolino)
Con pulizia. (Gli mettono la salvietta al collo e siedono con lui)
Questo grasso piccion par di botiro.
Lei badi a’ fatti suoi, ch’io bado ai miei.
L’esempio è una lezion che insegna tutto. (A Lardone)
Noi gli uomini rendiam accorti e scaltri. (A Pollastrina)
Facilmente si fa quel che fan gli altri. (A Compagnone)
mi ricordo la cotta di iersera.
Vorrei, se si potesse, un po’ ballare.
si fa quel che si vuol, sia notte o dì.
a ballare venir dove andiam noi?
Lasciatemi mangiar, che verrò poi.
E poi vengo in giardin a divertirmi. (Entra nella sua camera)
di qualcheduno che gli allacci il busto.
Questo della cuccagna è il nuovo gusto.
perché il governatore ha preso il posto.
Ognun de’ aver le convenienze sue.
Eh non importa, andate tutti due.
Quando si tratta poi di compiacervi,
ne avesse di bisogno; già le donne
si prendono di noi divertimento
e c’impiegan se fossimo anche cento.
vi son, signore mie, tant’obligato.
così sono le donne di buon core.
né si cura d’andar in precipizio.
tanto gusto a ballar voialtre donne.
Siete voi veramente un pandolino.
dal gran piacer, quando a ballar andate?
Vi dirò io perché; perché si trova,
perché si può parlar con questo e quello,
perché nel far le controdanze in tanti
si può far qualche scherzo con gli amanti.
Adesso l’ho capita. Dunque vanno
non per ballar... Ma vanno... Brave, brave.
le lasciano ballar? Ed ai festini
datemi man, guidatemi al festino.
prendermi per la moglie un tal imbroglio.
o a qualche lauto generoso invito,
la conduce sovente il buon marito.
se ne va per la via dond’è venuto.
Una volta sapevo il minuetto,
se la figura almen vi ricordate.
ove verran fra poco i sfacendati.
mentre fra questi grassi cuccagnoni
vi sono per lo più mezzani e spioni.
Ritiriamoci dietro alla cantina
immersi nel piacer, li assaliremo. (Tutti si ritirano)
Animo, vuo’ che stiamo allegramente
Viva, viva il bel tempo e l’allegria.
a ballar, a goder assieme a voi.
nei quai ballando in molti, come i matti,
si puon far di quei scherzi così fatti.
una bella e graziosa controdanza. (Si dispongono in figura di ballare la controdanza. I suonatori la suonano e li personaggi principiano a ballarla)
Oimè per carità. Poveri noi!
sotto di mille spade caderete.
Ma da noi che cercate? E chi voi siete?
Io son Oronte; capitan io sono
del nostro re voi tutti condurremo
alla spada, al cannon e forse al remo.
Il buon tempo per me poco è durato.
se vorrete mangiar, lavorerete.
Pollastrina infelice e sventurata!
La cuccagna per me poco è durata.
conduciamoli tutti ai nostri legni.
Le donne all’ospital si manderanno;
gli uomini serviranno; e vedrà il mondo
ch’è bella la cuccagna in ogni loco
ma per proprio destin suol durar poco.
su la mia fé, su l’amor mio lo giuro.