più bramar dalla sorte; il mio padrone,
invaghito di me, crede ch’io l’ami
conserva solo per Ridolfo amore.
Corallina siam stati allegramente.
Bada bene Moschino a non dir niente.
se ti scuoprissi, tradirei me stesso.
allor che sono dell’istesso umore
la donna di governo e il servitore.
Oh! Che lingua, che lingua!
Qualche cosa di bello io ti direi. (A Moschino)
vedova con due figli e alla mia porta
se non ne porto io, nessun ne porta.
fa un’opra di pietà; ma tu birbone
e la peli ben bene infin sull’osso.
Dica quello che vuole, io non la credo.
Qualche cosa per te saravvi ancora.
No, non mi burla più certo Lindora. (Parte)
voglion sempre mangiare, oh ecco Redolfo.
vostra sorella che da qui veniva,
Lindora è una linguaccia.
qualcun altro di voi lo stesso ha detto.
Sono un uomo da ben, savio e onorato;
e per la mia bontà sono invidiato.
se mi credete un vagabondo, addio.
Qualche cosa ho ancor io da confidarvi.
Prima quel che vi par ditemi voi.
col padron che mi crede e mi vuol bene,
vuo facendo la dote a poco a poco
che cercate di far qualche mestiere.
ma il mal si è che non so far niente.
e mi piace di fare a modo mio.
Campai senza mestiere infino adesso
e ho da temer con una moglie appresso?
Briccon, che cosa credi...
Lasciamo andar. Bisogno ho di monete.
che abbia il conto a tener di quel ch’io spendo.
provedendo la casa. Ho comperato
(Guai s’ella sa che li ho perduti al gioco).
Ma vi prego di far sempre così.
faraon, la bassetta e la primiera.
(Sì, mi voglio rifar di ieri sera).
Eh timore non ho di esser gabbato.
Povero il mio Ridolfo, non è vero
Corallina, il padron si alzò da letto.
e cercando vi va da disperato.
Non lo posso soffrire; ogni momento
ha da fare la fin delle cicale. (Parte)
va rubando al padrone e lo strapazza.
A cercare di me senz’altro è andato.
Se lo vede Rosalba sua nipote
non gli dica l’affar della cantina.
Corallina. Che tu sia malede... (Esce e s’incontra in Corallina)
che ho fatto risvegliar la servitù.
e han fatto queste man pane e bucato.
Casa peggior non vidi in vita mia.
L’ho detto e lo farò; voglio andar via.
(Datti, accopati pur). (Da sé)
qualche volta un padron che vi vuol bene.
sono perseguitata. I servitori,
non mi ponno veder. Vostra nipote,
perché a lei non permetto il far l’amore,
concepì del livore. Ha protestato
volersi vendicar. Sarà capace
per obligar lo zio, ch’è di buon core,
a scacciarmi da lui con mio rossore.
Corallina scacciar? Prima di farlo,
tutti gli amici ed i parenti miei.
io so chi siete e non ho dubbio alcuno.
ma mi posso vantar di fedeltà.
Benedetti quegli occhi e quel bocchino.
Prendi, ti vuo’ donar quest’anellino.
può regalar la serva impunemente
e può far, quando vuol, tacer la gente.
Eh! Per obbedienza il prenderò.
una donna da ben come costei.
Il ciel me l’ha mandata. Guai a me,
s’ella andasse lontan da queste soglie.
Meglio saria ch’io la prendessi in moglie.
se abbastanza finor non ve l’ho detto;
a Corallina s’ha a portar rispetto.
Appartiene ella forse alla famiglia?
Ditemi, è vostra sposa o vostra figlia?
Sì, lo sa la dispensa e la cantina.
questa vostra famosa governante
rubba al padron per regalar l’amante.
la sorella, l’amante e il servitore.
Andate via che non vi credo un fico.
Crede tutto a colei ed io, meschina,
scapito in grazia sua; qui non si parla
di maritarmi ancor; perché lo zio
mi attraversa colei tutti i partiti.
tanto più cercherà la mia rovina.
Qualche cosa ho da dirvi.
verrà colei fra poco, alle mie stanze
oggi vi aspetterò. Non sarò sola.
e potrete parlar liberamente.
di godere con voi pace e contento.
Gran cosa è quest’amor! Ne’ suoi principi
pare che non vi sia vita migliore
oltre la servitù che impone amore.
stanca, annoia, dà pena e sol l’amante
è in soffrire, è in penar saldo e costante.
Io non so che mi far! Son nell’impegno
e vi vuol per uscir arte ed ingegno.
Se volete ch’il lodi, il loderò.
Mi dispiace di me che sto malissimo.
Bella davver. Perché non lavorate?
Cosa ho da lavorar? Che si guadagna
a filare, a cucire, a far calzette?
Voi avete bel dir con un padrone
che si lascia pelar come un cappone.
Ma coll’acqua, vi averto, io non lo vo’!
beverò alla salute del padrone.
al padrone ogni cosa; ha detto tutto,
di Ridolfo, di me, della cantina.
delle cose più belle ho accomodate. (A Lindora)
Ha creduto Fabrizio alla nipote? (A Moschino)
Basta ch’io parli, non la crederà.
(Scommetterei ch’egli ha perduto al gioco).
A farmi disperar siete venuto?
che mi dispiace assai. Vi era un anello
che addattato per voi sarebbe stato;
per non aver denar, non l’ho comprato.
Se nol gettate via vel strapperò.
ho piacer che di me geloso siate;
or mi cavo l’anello e a voi lo dono. (Dà l’anello a Ridolfo)
Dite, avrete di me più gelosia? (A Ridolfo)
Bastami, se qualcosa ei dona a te,
che tu, in segno d’amor, la doni a me.
discapitar nell’interesse mio.
Sono povera anch’io; se Corallina
tutto quel che può far lo fa per te,
da pilucar non resterà per me.
certo che lo farei ma senza dote,
di formarvi la dote innanzi sera.
che subito mi sposi e che mi faccia
padron della sua dote, un regaletto
di duecento zecchini io vi prometto.
e di farvi son pronto un istrumento.
Ma sarete poi buono? A mia sorella
Quand’è dunque così, le parlerrò.
Ma fate presto, che per dirla, ho fretta.
ricordati che voglio il mio danaro.
Per dir la verità, seicento scudi
non li posso sperar neanche in trent’anni.
ma il matrimonio lo potrà cambiare.
di quella impertinente di Rosalba?
di tutto quel ch’è fra di noi passato
e di Ridolfo in camera celato.
voglio con lei rifarmi. Il suo Fulgenzio
ho mandato a chiamar. Da lei verrà
e la vo’ corbellar ma come va.
Brava, così mi piace; e il tuo Ridolfo
credilo, fa pietà. Se di te parla,
lagrime grosse a guisa di gragnuola.
non ti staccare dai consigli miei.
Certo, s’io fossi in te, lo sposarei.
gli piaceva giocar; ma egli è al presente
un uom da bene, un giovane prudente.
d’averne detto male. Or ti consiglio
tutto quello che vuoi. Dimmi, il buon zio
Bene, facciam così. Fa’ che Fabrizio
una stanza ci dia nella sua casa
per Ridolfo e per me creduti sposi.
se sia tuo, se sia mio, non s’avvedrà.
Brava, brava, sorella. Qualche volta
tutte due di una madre. Ad avvisare
vado Ridolfo ed un notar conduco,
per far dei tuoi sponsali l’instrumento.
(E per la somma dei zecchin trecento).
un consiglio mi dà che mi par buono,
secondo il genio mio ma non vorrei
e che il vecchio da lui mi discacciasse.
Di venir mi ha assicurato.
che Rosalba l’inviti. Il tempo e il loco
si è concertato e vi sarà fra poco.
benché vaglia un tesor, non ha un quattrino.
bastami che stassera in certo impegno,
da cui sottrarmi non avrei potuto,
Corallina, mi diate un po’ d’aiuto.
Volentier; di’, che vuoi, che ti abbisogna?
Ve lo direi; ma ho un poco di vergogna.
Una man lava l’altra, già si sa.
S’ha da fare una cena in compagnia.
un capretto, un pasticcio, quattro libbre
di vitella mongana, due fiaschetti
del miglior vin che pel padron serbate
e vorrei due salviette e due posate.
giacché ogniun se la gode e si solazza,
vo’ condurre ancor io la mia ragazza.
di quei che fan l’amor, che di quest’arte
Tutto quello che vuoi ma con giudizio.
Giudizio; ci s’intende. Oh questa è vaga.
Noi pensiamo a sposarci e il padron paga.
che venga sera e che il padron sen vada
sollecito a dormir. Voglio andar subito
a ritrovar la cara mia gioietta.
ve la voglio cantar coll’istrumento.
vo’ passarmela anch’io la parte mia.
Sempre fuori di casa. Ove si va?
Presto in casa vi dico e vo’ sapere
quando siete sortita e come fu... (Con sdegno)
In casa vostra non ci vengo più.
Perché siete un rabbioso indiavolato.
Come! Una bestia? (Con sdegno)
Vi riscaldate e non si sa il perché.
Se sono qui, ci son per voi.
di un certo ser Agapito del Sole,
vecchio con dei denari in quantità,
che bisogno non ha di dote alcuna
e sarebbe per essa una fortuna.
siate meco bonina. (Avvicinandosi)
Ogni momento ci troviamo a queste.
Uh maledetto sia quando parlai.
ma lo sapete quanto ben vi voglio.
Non parla chi vuol ben con tanto orgoglio.
Sarò tanto bonin. Sì lo vedrete.
di parlare con me? Ne dubitate? (Va in collera)
Ora tarroccherei... No, perdonate. (Si cangia)
(Non si può trattener). Dirò, signore,
Li vorrei ricovrar nel vostro tetto.
Non vi ho detto di sì? (Con sdegno amoroso)
Date loro l’alloggio e da mangiare
tutto quel che volete. Oh questa è buona!
E chi è la padrona? (Dolcemente)
Di questi complimenti io ne son sazio.
vo’ trovar per marito un soggettone.
Ah lasciare non voglio il mio padrone.
Ah morirei se ti lasciassi anch’io.
Capir non so chi non si sa spiegare.
Vorrei farmi capir senza parlare.
ho legato il mio cor con altri lacci»,
cosa risponderian que’ brutti occhiacci;
dica quel che sa dir quel vecchio matto,
ha da essere così, chi ha fatto ha fatto.
io gli potrò cantar questa canzone.
fosse da questa femmina stregato.
l’amante in casa della sua signora
e che l’inganni non lo crede ancora.
certo non si ritrova ai giorni nostri.
Io non gliel’ho ordinato.
l’imbasciata Moschino in vostro nome.
Non vorrei che cadesse in vostro danno
ricevermi da voi deste parola.
Lo dissi, è ver, ma tuttavia son sola.
Questa donna chi sia voi non sapete.
nascerà, lo protesto, un precipizio.
Perché venire, se non sei chiamata?
Piano con questo «sei», con sua licenza,
ella non ha con me tal confidenza. (A Fulgenzio)
che mi fate del ben poss’io sperare?
che il vostro signor zio sposar vi vuole
con certo ser Agapito del Sole.
troverebbe la via di liberarvi.
nemica non vi sono. E se l’amore
mi aveste per Fulgenzio confidato,
vostro sposo oramai sarebbe stato.
Si sdegnerà lo zio se qui vi trova. (A Fulgenzio)
Basta che, s’egli vien, vi nascondiate.
Ch’egli qui venga a taroccar mi aspetto.
Andatevi a celar nel gabinetto. (A Fulgenzio)
Ci vogliamo fidar? (Piano a Rosalba)
Sì, vo’ fidarmi. (Piano a Fulgenzio)
Mi raccomando a voi, vado a celarmi. (A Corallina)
che mi siate nemica e che parliate
Vi voglio tanto ben... Ma eccolo qui.
vi ho da dare una nuova assai gustosa.
Con ser Agapito del Sole.
Se dirà: «Non lo voglio», avrà ragione.
Sentite la ragione e poi strillate.
Il perché, la raggion ditemi tosto.
Perché l’amante ha in camera nascosto.
Ditemi chi è costui? (A Corallina)
Fulgenzio è lì. (Accennando la porta)
Fuori di quella stanza. (Verso la porta)
Amo Rosalba e un galantuomo io sono
ma contro te, che corbellato mi hai,
giuro vendetta e me la pagherai. (A Corallina, parte)
Can che abbaia alla luna. Corallina,
sol per tradir la carità si affetta? (A Corallina)
Dice il proverbio: «Chi la fa l’aspetta».
ho saputo provar la mia innocenza
ed ella, se è scoperta, avrà pazienza!
spazzatevi la bocca. Un matrimonio
ho trovato per voi ch’è buono e bello;
non vi voglio più dar né meno quello. (Parte)
ma una grazia, un favor. Fulgenzio io bramo.
Sia l’amor che consigli o sia l’orgoglio,
gli affetti miei sagrificar non voglio.
se ora piango per lei, di me non rida.
e vi aggiunsi di più mezzo presciutto.
sa quella robba dove va portata.
Benedette le donne di governo!
Dirò bene di lor sempre in eterno.
Venga, signor notaro, favorisca.
Delle tue contentezze è giunto il dì.
Si accomodi, signor. (Non lo capisco). (A Lindora)
che son pronto a sposarvi. (A Corallina)
ci potranno servir di testimonio.
Ehi non parlate. (A Moschino e Berto)
Pericolo non c’è. (A Lindora)
Non dubitate. (A Lindora)
Che ha detto? (A Lindora e a Ridolfo)
In verità non gli ho badato. (A Corallina)
I termini saran del notariato. (A Corallina)
Sponsus ac sponsa quomodo vocatur?
Se parlate latin, lasciamo andare.
Ignorantacci; parlerò in volgare.
dell’ingrata famiglia. Ogniun m’insulta,
mi tradisce ciascun. Il zio medemo
mio nemico si è reso e mio tiranno.
Fulgenzio penetrò? Sì, venga pure.
Son nipote e non figlia e posso anch’io
provveder giustamente al caso mio.
Mi rallegro con lei che ha preso stato.
di scherzare non è, se dico il vero.
la spiegazion da lei. Perché sì tosto
scordandosi di me si è fatta sposa?
Mi riesce la burla un po’ noiosa.
coi testimoni e col notaro or ora,
negar vorreste ed ingannarmi ancora?
che vi tocca goder! Vi doni il cielo
Piano, signora mia, non lo nasconda.
questo suo matrimonio ha pubblicato.
Scherzate? Ovver sognate?
non mi parlò lo zio di tal affare
dopo che a tutti due venne a strillare.
Fabrizio che il negozio è bell’e fatto
e nominò il notar che fe’ il contratto.
Scrive male in volgar, peggio in latino.
Mandiamolo a chiamar. Sentiamo un poco
Fulgenzio mio, fidatevi di me.
Sentirem dal notar che cosa è stato,
senza di voi, l’obbligazion non tiene.
nella vostra dolcissima costanza.
persuaso non abbia il zio sdegnato
a un sì bel parentato? Ma peraltro,
e di scernere il ver non veggo l’ora.
La padrona di tutto è Corallina.
vuol far da principessa. Se sapeste,
che assassini con essa il tuo padrone.
Porto una nuova alla padrona mia
e la mancia convien ch’ella mi dia.
Sì sì, te la darò, che nuova è questa?
a dirvi che ad Agapito del Sole...
Basta. Puoi risparmiar le tue parole.
M’ha detto che vi dica...
Per carità, lasciatemi finire.
lo sdegno a raffrenar. Dunque egli è vero
violentar del mio cor la libertà?
Il disegno crudel non riuscirà.
quella dote che dare a lui si aspetta?
Eh non importa, li farò dappoi.
(Risparmiare vorrei la sensaria).
mi darete il bisogno a poco a poco.
(Basta potermi divertire al gioco).
Ridolfo, una parola. (Lo chiama in disparte)
Dite pure. (Forte senza accostarsi)
Ma venite da me. (Lo chiama come sopra)
Favellatemi pur pubblicamente. (Come sopra)
altrimenti, vel dico, è un’insolenza.
perché solo il suo bene ho procurato.
te la voglia rapir? Se avessi voglia
vorrei trovare un’occasion più bella.
ho l’istrumento e ti farò citare). (Piano a Ridolfo)
mi entra un po’ di sospetto; qualche cosa
fra te, Ridolfo, e la sorella mia.
quella donna vorria la libertà.
con noi per colorire il matrimonio.
per star coi suoi figliuoli in compagnia.
Può star qui e può mangiare a sazietà...
Eh lasciatela andar con libertà.
casa mi troverò nel vicinato
e ti verrò a trovar come cognato.
ci ho pensato ben bene e ripensato.
e mi voglio spiegar liberamente.
io me ne vado per i fatti miei. (A Fabrizio)
amici più di prima, anzi parenti.
Voglio che siate ancor parente mio.
Non diventate ancor di me cognato,
tosto che Corallina avrò sposato?
Fra noi sarebbe il parentato stretto.
Venga, venga, signor, che affé l’ho caro.
(Non vorrei ci scoprisse). (A Ridolfo)
raccomandati pure al tuo talento). (A Corallina)
Fra me, suo servitore, e Corallina.
quante volte si sposa una ragazza?
si è maritata con Ridolfo Astuti. (Accenandolo)
Come! Povero me! Che cosa sento?
Itevi a far squartar che vi ringrazio. (Il notaro passeggia con fretta)
(E non si perderà). (A Fulgenzio)
(Non so che dire). (A Ridolfo)
M’inganasti così? Parla, rispondi.
Domandovi perdono. Ah se provate
violenza d’amor nel vostro core,
scusate in me quel tristarel d’amore.
Alzati, via di qua. No ferma, io voglio
vendicar i miei torti. Ah disgraziata,
voglio cavarti il cor... (Uh sei pur bella).
Io mi rallegro con quel bon figliuolo. (Verso Ridolfo)
che si beffa di me cotanto ardita,
la commedia per noi non è finita.
Sì sì, dee finir peggio. In questo punto
che si faccia da lei, che l’ha ingannato,
tutto restituir quel che ha rubato. (Parte)
E tu, che in guisa tal te n’approffitti,
la pena pagherai de’ tuoi delitti. (A Ridolfo e parte)
ma questa affatto non mi preme; io t’amo
vuole che ancora senza dote, o cara,
Si vede ben che sei fedele amante.
brilla quest’alma in seno a te vicina.
giubila il cor quando ti sono allato.
l’unico e sol pensier de’ pensier miei.
La man di sposa dunque mi darai.
Il caro sposo mio sì tu sarai.
E di dolce piacer c’inonda il core.
non mi seccate più. Sposate pure
tremila scudi vi darò di dote.
e mille miglia andatemi lontano.
delle sue grazie raccogliamo il frutto.
Siete mia. (Porge la mano a Rosalba)
Vostra sono. (Dando la mano a Fulgenzio)
È fatto tutto. (A Fabrizio)
Vada in malora. (A Moschino) Aspetta, cosa vuole?
(Ah ch’io son tutto foco).
Non parlate; vuo’ fare a modo mio.
(Prima tu). (A Corallina)
e ciascuno ha da far le parti sue). (A Ridolfo)