Metrica: interrogazione
433 endecasillabi (recitativo) in Le virtuose ridicole Venezia, Bettinelli, 1752 
e sostegno che il vacuo non si dia.
perch’io la provo nella mia scarsella.
si trovan della Persia in un giardino.
non gli alberi del sol ma della luna.
coll’opinion di genti buone e brave,
che si possa cantar senza la chiave.
Io non vuo’ disputar delle nazioni
ma il Tasso sarà figlio del Tassoni.
che variamente l’opinion si prova,
ergo il vacuo si trova o non si trova.
                                           Voi che siete
saprete il Tasso di qual patria sia. (A ser Saccente)
nacque in Bergamo, altrove originato.
e quando voglio ricavar più frutto,
leggo l’indice ancora e imparo tutto.
l’amor per cui morì Paris e Vienna.
                                     Se mi amate,
voi non avete a contradirmi. Io sono
che parla ognor coll’istoria alla mano.
                                        Oh se sapeste
sol per cagion di questo libro io sento!
                                              Sì; qualora
mi sento intenerir, piango a drittura.
                             E se v’intenerite...
                                                   Cos’è stato?
È morta Vienna ed è Paris svenato.
quant’ella è scritta coll’ottava rima.
La storia è scritta da sincera penna.
Sono due grandi eroi Paris e Vienna.
ammazza uno di loro e l’altro poi...
una istoria più bella a’ giorni miei.
ascoltate il suo pianto e poi piangete.
e or piangerò con questa bella grazia?
ma sol, come far sogliono i scolari,
de’ suoi termini ognor m’ho fatto beffe
che per troppo studiar han fatto il callo,
Sì, perché all’apparenza il mondo crede.
quando qualche passion li porta via,
Qualche cosa dirò... Ma qui si appressa
                                     No, mia signora;
Sol per scherzar con voi dissi il contrario.
L’ho studiata. (Non so che cosa sia).
                                        Io sosterrò
che nasce a poco a poco in mezzo al core,
ch’or ci reca diletto, ora dolore.
come introdur si può nel nostro cuore?
                                       Bravo assai.
filosofia più bella. In voi diffuse
dagli occhi vostri uscito è il dolce ardore
che nel mio seno è diventato amore.
ch’or la filosofia mi dà tormento.
                                           No, non v’è dubio.
Non contradite a quello che dich’io.
Saran tutt’uno il vostro labro e il mio.
che non han pane e fan gl’innamorati.
che sono brutte e fanno le graziose.
E pur le donne a me piacciono assai.
Sì ma fate anche voi per noi lo stesso.
Ecco In lode degl’uomini, sonetto.
e i miei versi coi vostri intreccierò.
                                   È l’uso inveterato;
questo e quello a pregar segretamente
il terror nascerà di tutto il mondo.
la più bella raccolta è pane e vino,
una moglie di genio e andar bel bello.
non voglio esser unita in matrimonio
                                            Oh, mulier docta!
Fate il pedante e non sapete niente.
Io ne so più di voi. Che? Nol credete?
Perbacco vi vuo’ far meravigliare;
vi voglio in più linguaggi improvvisare.
(Anche questa non ha cattiva faccia).
                                        Sì signora,
mi resta d’imparar qualche cosetta.
per penetrar del canto in le midolle,
che cosa sia il bequadro ed il bemolle.
                                            Oh cosa dite?
                                         Volentieri.
                                      Ho due ariette,
                                Basta l’allegra.
                                              Signor no.
                              Leggere non so.
Oh questa è bella! E l’arie voi cantate?
ed ognun mi fa applauso, ognun mi loda.
Il bemolle non so che cosa sia. (Ser Saccente suona il ritornello su la spinetta)
Ma quei son tre bemoli agli occhi miei.
Che importa a me, se fossero anche sei?
Andate via, che non sapete niente. (Gli leva le carte dal cembalo)
basta che siate ardita ed arrogante. (Parte)
si sa che a’ nostri dì non vi vuol tanto.
                                          Ma vorrei
che per la stessa ho qualche amor anch’io.
e lei scelga chi vuol per suo consorte.
                                      Ma ci dobbiamo
                                       Volentieri
E poi farò lo stesso anch’io per voi. (Si ritirano)
Son due belle virtù, due bei diletti
Non so a quale di lor dar preminenza.
l’uno istorico e l’altro buon poeta,
eccovi a’ piedi vostri don Chisciotte.
venite alle mie braccia! E voi chi siete? (A Pegasino)
compagno a don Chisciotte, Sancio Panza.
dunque i precetti suoi cauta osservate.
In che credete voi ch’io sia mancante?
L’uomo e la donna col conubio uniti
                                   Egli è Erideno.
                                         Ma cosa importa?
E convien ch’Erideno e studi e impari.
arde il mio cor che vi sospira ed ama.
Siete giovine ancor; studiate. Addio.
filosofico ardor m’infiamma il seno.
se la fede a serbar non hai imparato.
d’Affrodisia tacciar vuoi l’incostanza?
Crediate a me che parlovi per pratica,
Ciascun ne’ studi suoi trova ragione
d’adular, di seguir la sua passione.
allorch’apre coi studi l’intelletto
colla bella invenzion del don Chisciotte
Un ritratto mi pone in gelosia. (Si ritira)
ha fatto un non so che su questo gusto.
(Parla di Cleopatra. Non vi è male).
fatti sul stil del Tasso e dell’Ariosto,
Smorfia pastor? Oh sarà un bravo autore!
se non lo fai, no me n’importa... un corno».
                          Che dite? (Malinconica)
                                              Eh non vi è male.
Questo per nozze è un brutto madrigale.
dell’Arcadia dell’isole Canarie».
del caval pegaseo figlio diletto...»
Oh quel «bella e gentil» ci sta pur bene!
I nostri amici, ognun coi versi suoi,
                                         Ma... vogl’io,
con qualche idea poetica sposarmi. (Parte)
Pensate pria d’esporvi a un tal cimento.
non vuo’ la virtù mia resti sepolta.
Basta andar in cadenza qualche volta.
Già per lo più meno ne sa chi ascolta.
                                               Nell’azione
                                 Ma sopra tutto
riportatevi a quei che più ne sanno,
perché il troppo voler fa poi del danno.
A me preme cantar, non bado al resto.
giacché senza di me non si fa niente.
e tutto quel che vi può far del bene,
tutto quel vi dirò che dir poss’io.
All’armi, all’armi, anch’io voglio provarmi
entro d’un elmo imprigionar il crine,
Presto all’armi, alle stragi, alla vendetta.
                                            Chi è colui
certamente dovrebbe. All’armi, all’armi;
voglio seco provarmi. (Tira fuori la spada)
                                          Con licenza, (Osservando la spada)
perché la vostra spada est sine puncta.
                           (Tancredi). (Da sé)
                                                  «E guerra e morte».
«Guerra e morte averai, io non rifiuto
                                        Aiuto, aiuto. (Parte)
«Nostra sventura è ben che qui s’impieghi
Ma poiché sorte rea vien che ci nieghi
pregoti, se fra l’armi han luogo i preghi,
ch’il tuo nome, il tuo stato a me tu scopra,
acciò ch’io sapia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o la vittoria onore».
quel ch’ho per uso di non far palese
un di que’ duo che la gran torre accese».
«Il tuo dir e il tacer al par mi alletta,
barbaro, discortese, alla vendetta». (Si battono e Melibea cade)
«Amico, hai vinto, io ti perdon, perdona».
passa la bella donna e par che dorma». (Parte)
delle bellezze tue gl’incendi miei».
«Sarò, qual più vorrai, scudiero o scudo».
                                      «Non più battaglia.
Vattene, passa il mar, pugna e travaglia».
                                          Ah ch’io mi sento
e l’ho perduto anch’io; ma mi consola
sempre divien più bella. È questa casa,
coll’istorico stile e i dolci carmi.
che vi sia stata un’alma più infedele
Non siete, figliol mio, buono per lei.
                                         E che bramate?
                                       Ora vedrete
                                   Pazzo voi siete. (A Pegasino)
s’io son fra’ vati un inventor valente.
(Spero farà da uomo ser Saccente). (Da sé)
(Ser Saccente gentil farà per me). (Da sé)
Farò con l’uno e l’altro il matrimonio.
che non sa che i principi e fa da maestro.
                                                 Eccomi a voi;
ora ritorno a voi mediante l’optica.
Io non vuo’ essaminar per qual ragione
e che del vostro amor m’assicuriate.
                                             Ed io l’accetto.
                                   Fé vi prometto.
siccome il sol cambia sovente aspetto,
il destin che sovrasta all’amor mio,
                                             Poverino!
facciam prova di noi chi ha più potere.
(No; questa volta vuo’ principiar io). (A Gazzetta)
                                         Zitto, non voglio
                                   (Eh cosa dite? (Piano a Gazzetta)
che non hanno a che far niente con noi.
                                  A monte le pazzie.
Oh Eliconia schernito! Oh Apollo offeso!
                                  M’avete inteso? (A Melibea)
delle bestie d’allor più bestia siete.
                                                Orsù già vedo
che rimedio non c’è. Vi lascio. Addio.
Io non curo gli amori o i sdegni suoi,
                                            Ecco la nota
Vi sarà biancheria, vestiti, argenti,
                                    Dunque?
                                                        Leggete. (Gli dà un foglio)
                                       Certo, sicuro.
                                           È vero, è vero.
conviene aver quando si prende moglie.
di fare a modo vostro ognor m’impegno.
(D’averla ora mi par tirata a segno).

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