s’alzaremo dal letto un po’ più presto
incomincio a tremar come una foglia.
In casa, nel cortile e nel giardino,
il diavolo si sente col tamburo.
in questa casa a far il tamburino.
l’anima del padrone. Il poverino
son quattro mesi che morì alla guerra;
doppo ch’è morto a ritrovar ci viene.
un grande, grande, nero, nero porco,
Cecco mio, Cecco mio, quell’era l’orco.
col collo lungo, lungo che arrivava
del palazzo al secondo appartamento.
Quell’era certamente la beffana,
Ghitta mia, Ghitta mia, che cosa strana?
(Io rido e me la godo). Ed il tamburo
senza gridar o far alcun schiamazzo,
caccio la testa sotto il mattarazzo.
Senti, senti. (S’ode il tamburo)
Per timor dello spirto, fuge via
con un uomo di carne in compagnia.
che bizarra invenzion! Che bel pensiero!
ascoltare il marchese. Egli procura
tener tutti lontan da questa casa
col pretesto dei spirti e restar solo.
la vedova fedele al suo marito
vuol piuttosto morir dall’appetito.
ha promesso il marchese; a me cinquanta
della padrona mia, barbaro e duro,
cinquanta a voi per battere il tamburo.
colà dentro starei, Dorinda mia,
se tu meco venissi in compagnia.
Credimi ch’egli è asciutto.
doppo che vi sei tu arso e spiantato.
t’amo, ti voglio ben ma non seccarmi.
Basta così; non voglio seccature.
Mi spaventa là dentro il rio demonio.
se di meglio di te non troverò.
dovrei lasciar di migliorar lo stato?
La mia mamma così non m’ha insegnato. (Viene la contessa)
Oimè! Ah siete voi? Deh compatite,
tutto mi fa tremar. Sempre a me pare
allorquando lo sento; e non so come
questo spirto folletto in casa mia.
L’anima del padron ch’è morto in guerra.
L’hanno scritto gli avvisi.
scrivono poche volte i fatti veri.
da dubitar non c’è; qui in questa casa
spiriti non abbiam sentiti mai,
se non doppo l’avviso di sua morte.
amante di tamburi e di trombette,
onde adesso ch’egl’è spirito puro,
vi viene a salutar con il tamburo.
Con quel tarapatà dice così:
«Sposati, sposati, sposati sì».
Taci, Dorina, tu mi tenti invano.
sicurezza maggiore io non ricevo
della destra e del cor dispor non devo.
Oibò non s’usa più. Poche son quelle
che amino quando è vivo il lor consorte,
figuratevi poi doppo la morte.
si va la mia padrona a poco a poco
disponendo a sentire il vostro foco.
ma acciò duri la fiamma e non si spegna,
vi vuol, signor marchese, della legna.
colle dolci parole attento e scaltro
coi pianti, con i vezzi e coi sospiri
una donna obbligar. Per mantenere
di femmina nel cor vivi gl’affetti,
vi voglion padron mio dei regaletti.
per il cuor di colei che m’innamora?
Spargerei dalle vene il sangue ancora.
un dì s’arrenderà. Spero e frattanto
il mio lieto sperar trattiene il pianto.
Ecco le mie campagne, ecco il palazzo
in tempo della pace i giorni miei,
dove, per un tantin di gelosia,
sempre ho tenuta la consorte mia.
prigioniero di guerra, ecco mentito
a spiar gl’andamenti della moglie.
vedrò se lo conosco. (Si ritira)
solo andar non mi piace. Il sol tramonta;
se la notte mi prende e si fa oscura,
temo d’ispiritar dalla paura.
è senza carità. Vuol la insalata
e vuol ch’io la raccolga; tremo tutto.
Per risparmiar la strada e la fatica,
le porterò del fieno e della ortica.
voglio se mi conosce. Galantuomo.
(Ecco lo spirto tamburino).
Anima del padron, da me t’invola.
(Anima del padron?) Che? È forse morto
Ahi mi tremano in corpo le budella.
Il conte Caramella cosa fa?
Dicono che sia morto in verità.
e lo spirto di lui suona il tamburo.
per causa del tarapatà, patà...
la sposasse qualcun per carità.
Aiuto, aiuto. (Si ode il tamburo e lo trattiene)
Non avete sentito? Siete sordo?
Sarà qualche villan di questa terra.
L’anima del padron ch’è morto in guerra.
Qui si sente a suonar e non si vede,
onde la verità fa testimonio
che se non è il padron sarà il demonio.
Il vino del padron avrai bevuto.
spiriti col tamburo? Eh non son io
sciocco da creder ciò. Penso piuttosto
uno spirto là dentro in carne ed ossa.
Ma oimè. Per qual ragion? Per far che sia
oppressa dal timor la moglie mia,
guadagnar la sua grazia ed il suo core.
Oh geloso pensier che mi tormenta!
Che fo? Mi svelo? No, ch’è troppo presto.
dall’ira suggerir mille pensieri
tutti vari fra lor ma tutti fieri.
vuo’ parlar con Brunoro. Ecco la stanza
l’altra parte risponde. Egli dovrebbe,
essere a questa parte rimpiattato.
Chiuder voglio la porta, indi chiamarlo.
Eccomi pronto e lesto ad ascoltarvi.
che ancor più dell’usato in questa notte
della padrona a dir queste parole:
«Moglie mia, moglie mia...» (S’ode picchiare all’uscio)
Oimè! Chi sarà mai? Presto celatevi.
Ammorzerò la lume. (Spegne il lume)
Oh bel pensiero! (Si picchia più forte)
Vedrò che diavol sia. (Apre l’uscio)
con una barba lunga, lunga, lunga,
con in mano un bastone e mi volea...
Via nascondetevi. (Piano a Brunoro)
So che voi siete qui; son qui venuta...
io mi sento morir dalla paura.
Senza di voi di qui non partirò.
al certo nascerà qualche scompiglio. (Piano a Brunoro e parte)
Maledetto! Non trovo il nascondiglio.
Se si move una mosca o soffia il vento
io principio a tremar dallo spavento.
Anche questo periglio è superato. (Entra nel nascondiglio e chiude)
ch’essere non solea molto abitato,
Misericordia. (Si sente il tamburo)
Una donna? Sei tu che va suonando?
io non suono signor ma tremo e ballo.
Chi ha suonato il tamburo?
Voi del tamburo il suonator non siete?
No; quello non son io. Ma tu chi sei?
teco parlar. (Questa è di cuor sincero;
da lei la verità saper io spero).
(Allettarla convien). Cara sappiate
ch’io vi voglio gran bene.
Discacciate il timor, state sicura.
M’è passata un tantino la paura.
ma avvertite a non dire a chi che sia
io dirò a tutti che non so chi siete.
Ma non avete a dir d’aver parlato.
non dovete di ciò formar parola.
Pazienza! Mi verrà tanto di gola.
Questa roba non so che cosa sia.
Pregate il ciel di non saperlo mai.
amando alcun tormento; e se dovessi
per amore provar tantin di pena
benché donna non son, se m’intendete,
colà lo manderei, dove sapete.
Ehi, fermate; sentite. Eh! Se n’è andata
all’oscuro con uno aver parlato.
Io qui non istò bene; sento gente
Sono qui. (Altera la voce)
Ancora no. (Qualche briccon celato). (Da sé)
Eccolo qui. L’ho ritrovato io pure.
Accostatevi a me. (Presso la porta del nascondiglio)
Ecco il lume, ecco il lume. Presto, presto.
Questa porta non s’apre. (Tenta aprire il nascondiglio e non gli riesce)
mi convien fuggir. (Si ritira verso un’altra porta)
Non posso aprir. (Come sopra)
Qui sotto vuo’ celarmi. (Si nasconde sotto una portiera)
Ghitta, Ghitta, sei qui? (Il conte col bordone dalla portiera getta in terra la candela a Cecco)
Son un morto che parla e che cammina.
Ah, che non è Brunoro! Oh me meschina?
Son io ma d’esser vivo ancor non credo.
Di mano il candelier m’hanno gettato.
Mi sento un’altra volta intimorire.
Orsù, basta così. Da queste soglie
partite omai. L’ora al partir v’invita.
oltre al dovere, io parto e voi restate.
Sperar nell’amor mio voi non potete.
lo sposo mio, serbo a lui solo il core.
inutile è la fede ad un estinto.
può tra nemici ancor trovar salvezza,
io della morte sua non ho certezza.
che vi rende sicura di sua morte.
ei mi diria che, dopo morte ancora,
una sposa fedel lo sposo adora.
son io con voi, lo spettro non mirate. (Ripara in modo che non vede Brunoro)
il nostro matrimonio a lui fia caro.
sempre mesta così? Deh serenatevi.
da questo albergo tristo e doloroso;
deh venite a gioir con uno sposo.
rendervi lieta; se la destra mia,
le larve spariran, vivrete in pace.
e una nuova speranza or mi lusinga.
sola così? Con una larva intorno
non temete star sola? Ah se vi piace
la mia fede gradir, da voi, mia bella,
troppo, marchese mio. Dorinda meco
farò venir. Itene pure; a tanto
tosto men vo. Sol di piacervi, o cara,
(Tra il timore e l’amor domani è mia). (Da sé)
Ah, ch’io d’errar pavento e non ho core
d’abbandonarmi a nuovi affetti in preda;
par ch’estinto il consorte ancor non creda.
e mi ha fatto tremar dalla paura
perché son delicata di natura.
Oimè con quella barba ei sembra l’orco;
badate ben non si trasformi in porco.
Se posso gliela ficco. (Vuol chiudere l’uscio)
Olà fermate (S’oppone a Dorina)
o vi faccio restar dure incantate.
vengo per vostro ben che non crediate
al marchese impostor, che non è vero
il conte e capitan, vostro consorte.
Cosa sapete voi? Purtroppo è vero
che il povero padrone se n’è andato,
così pure anche voi foste crepato.
e all’inferno di trotto rimandarlo.
andate voi, che il diavolo vi aspetta.
Se dar piacere al diavolo vi preme,
andiamo tosto a ritrovarlo assieme.
sa il presente, il passato ed il futuro.
che gabba il mondo, astrolicando in piazza.
ch’esser possa il futuro a me svelato
qualche cosa dirovvi del passato.
Basta così, non voglio sentir altro.
queste cose sapere per minuto). (Da sé)
(Questo brutto barbone è molto astuto). (Da sé)
Non gli badate, ch’egli è un ciarlatano.
Io sono un ciarlatano? Sfacciatella,
io ti farò cambiar sensi e favella.
Basta così... (Che tu sia maledetto). (Da sé)
che abbiate la virtù che voi vantate
che mi turba, m’inquieta e mi circonda;
fate ch’egli risponda ai detti vostri;
ed il vero per voi chiaro si mostri.
(Costui mi fa tremar). (Da sé)
finché giunga a svelar la trama tutta). (Da sé)
(S’egli mi scopre, me la veggo brutta). (Da sé)
Ma voi spiritosissima ragazza,
non avete timor di questi spirti
ma fingo intrepidezza e bizzarria,
per tener la padrona in allegria.
Ditemi il ver, di già nessun ci sente,
sarebbe un qualche vostro innamorato?
anzi per dirvi tutti i fatti miei
volentieri all’amore un po’ farei.
voglio tutta adoprar l’industria mia). (Da sé)
Ditemi, il vostro genio a cosa inclina?
a un uomo di sapere e se potessi
un astrologo aver, felice me.
se un astrologo avessi in poter mio,
vorrei imparare a strolicare anch’io.
bella v’insegnerò, se non vi spiace
quest’austero sembiante e questa barba.
quella cara barbetta e se volete
voi sarete padron di comandarmi.
Insegnatemi prima qualche cosa.
Tutto v’insegnerò quel che bramate.
voglio la ricompensa innanzi tratto.
Dunque venite qui, vi vuo’ insegnare
la gente a prima vista a strologare.
dite che ha il cuor fedele.
Purpureo labbro e candido sembiante
è di bella onestà segno chiarissimo.
Bravo, vi torno a dir, bravo, bravissimo.
Aspettate un momento. (Si ritira in disparte e tira fuori di tasca un picciol specchio)
Tutto, tutto saprò col lusingarla). (Da sé)
(Ner’occhio, rosso labbro e bianco viso...) (Guardandosi nel specchio, credendo di non essere veduta dal conte)
Presto ditemi su qualch’altra cosa.
(Io non ho rughe sulla fronte mia). (Da sé guardandosi come sopra)
presto presto vien passa.
son per grazia del cielo un po’ magreta). (Da sé)
per poter francamente astrologare.
Tutto v’insegnerò, tutto mia cara,
se non sarete nell’amarmi avara.
tutta sarò per voi. Ah ch’io già sento
che di questo mio cor voi fate strazio.
(Le parole di già non pagan dazio). (Da sé)
Cecco mio vuo’ narrarti una novella.
in cui poc’anzi ci trovammo uniti,
con un uomo parlai più di mezz’ora.
perché parlato abbiam sempre all’oscuro.
Non ho al buio parlato anche con te?
esserlo anche quell’altro?
Non s’appaga d’un solo il genio mio.
Certo lo so. Lo sposo è un giovinetto
amoreggiando le fanciulle intorno.
E se ne può cambiar più d’uno il giorno.
Dunque sposo ed amante egl’è tutt’uno.
Sarà come tu vuoi. Ma dimmi o Ghitta,
che ti disse quell’uom così all’oscuro?
Oh io non so la gente disgustare.
a pregare qualcun, cuor non avresti
Oh io la gente disgustar non so.
Ghitta, quando è così ti do il buongiorno,
Perché troppo dell’uomo hai compassione.
Se crudele mi vuoi, crudel sarò.
Giuro, non parlerò mai più d’amore;
ma tu non mi privar del tuo bel core.
il mio ben tu sarai. Dammi la mano.
Quest’è la prova del tuo amor fedele?
Per piacerti, son io teco crudele.
Perché fare dovrei tal differenza?
Questa, Cecco, sarebbe un’insolenza.
credo che su due piè m’abbia sposata.
Sposata? E cosa ha detto? E come fu?
Ha detto anch’egli quel che hai detto tu.
ch’io non ti voglio amare in compagnia.
Ma io, perché ho paura a restar sola,
Così quando uno parte, l’altro resta;
e una buona ragion mi sembra questa.
Costei non fa per me. Le voglio bene
ma il matrimonio è certa mercanzia
che farla non sta bene in compagnia.
e con semplicità potria burlarmi,
potria senza malizia rovinarmi.
(Vuo’ Brunoro avvisar... Ma qui costui...)
(Se Dorinda volesse, ora con lei
quando ingannarmi il ciarlatan credesse).
(Parla fra sé e mi guarda).
(Di Dorinda sarò, s’ella mi vuole).
e mi son dalla Ghitta licenziato.
L’ho licenziata e non la voglio più.
(Lusingar anche questo ora mi provo).
la voglio far padrona del cuor mio.
che fosse fatta come siete voi,
che avesse quella fronte e quegli occhietti,
che fosse come siete voi graziosa,
che fosse di giudizio e spiritosa.
che mi piacete... Ma la Ghitta ingrata...
Basta, come dicea, l’ho licenziata.
Se siete in libertà, ne parleremo.
Tutto v’accorderò, con un sol patto,
perché in amor non voglio compagnia.
Eh vi s’intende; io son, quand’ho un amante,
all’amore d’un sol fida e costante.
la Ghitta in mia presenza licenziate.
e la conduco qui. Vedrete, o cara,
Bella cosa in amor è l’esser solo!
tutti quei che ho burlato a’ giorni miei,
un reggimento di mariti avrei.
ma per aver amici all’occasione
che possano tener la mia ragione.
vuo’ parlar con Brunoro. (Batte al nascondiglio) Escite, escite;
che finisce per voi presto anche troppo.
ciarlatan, negromante o farabuto
lo spirito scacciar per ver creduto.
ed io il farò morir dalla paura.
volermi discoprir, si pentirà.
a prendermi piacer del ciarlatano.
e le menzogne mie riescon felici.
più che altrove il tamburo?
e nel vostro saper spero e confido.
Voi sperate a ragione e stupirete,
quando il poter dell’arte mia vedrete.
Tutto vostro son io. Già ve l’ho detto.
Vi credevo alla voce assai più bello.
io mi voglio sposar col mio Cecchino.
e adesso ti rinnovo la licenza
di questi testimoni alla presenza.
Perché la poverella licenziate? (A Cecco)
Eh lasciatelo far, non gli badate. (Al conte)
Ma lasciarmi non puoi; sai che il padrone
ebbe da te parola di sposarmi.
Eh s’egli è morto, non potrà obbligarmi.
forse sarà rinchiuso in questa casa
per obbligarvi a mantener la fede.
(Ch’è un pazzo, un menzogner, chiaro si vede).
Vuole il padrone che tua sposa io sia
o il diavolo verrà a portarti via.
Eh che costui non sa cosa si dica
e il diavol non farà questa fatica.
ora con un incanto si saprà.
Voi dite ch’egli è morto e v’è chi dice
che vive il mio consorte.
E pur la verità m’ha indovinato
per il tempo passato. Egli s’impegna
Infernale lo spirto? Oh che animale!
Io m’impegno balzar da questo mondo
l’audace spirto al baratro profondo.
Fate or di me strapazzo ma fra poco
io pur saprò di voi prendermi gioco.
Olà, così si parla? Io non ti rompo
perché qui sei della contessa in faccia.
proverai tu il mio sdegno e il mio furore.
(Una moglie fedele è un gran tesoro).
Oggi lo sposo vostro vederete.
Quello spirto, vel giuro, anderà via.
A suo tempo vi basti di vederlo.
verrà lieto e contento in questo dì
e alla sposa fedel dirà così:
un incognito affetto e mi consola
e ogni tristo pensier dal cor m’invola.
Parmi già di veder l’amato sposo,
esaudite clementi i voti miei.
Io non so che mi dir; più che ci penso
l’intendo men; veduto ho con quest’occhi
certamente barbetta è uno stregone.
Volete che ad amarci seguitiamo?
Dovete della Ghitta esser marito.
e tre volte da sé m’ha discacciato.
Io non sarei lontana dall’amarvi.
per non perdere invano i giorni miei.
se vi pare ch’io sia degno di voi.
Voglio prima saper che core avete.
Il vostro core non è mai sicuro,
facilmente divien barbaro e duro.
ingannata restar. Andate pure
io non servo a nessun per comodino.
non so che farti, tu non piaci a me.
Perché, vi torno a dir, non mi piacete.
presto presto anche questa mi ha piantato.
non ho coraggio di mirarla in faccia.
(Ella in viso mi pare ancor sdegnata).
(Non lo voglio veder). (Vuol partire)
non vuo’ più ricercarla). (Vuol partire)
(E pur mi piace). (Si ferma)
(E pur d’abbandonarla mi dispiace). (Si ferma)
(Ma se più non mi vuole anderò via). (Vuol partire)
(Ma non posso soffrir la gelosia). (Vuol partire)
e il cuor due passi indietro). (Torna indietro)
(Andar non posso (Si ferma)
e mi convien restare a mio dispetto).
(Che bell’occhietto). (Si guardano sott’occhio)
Il proverbio non falla. (Ella è sdegnata).
(Se mi volesse, ancor lo piglierei).
Che bell’amor? M’avete licenziata.
Io... l’ho fatto per scherzo...
Ti vuo’ tutto il mio ben.
E per te ho pianto anch’io.
Tenera io son ma tu sei di cuor duro.
smentir del ciarlatano l’impostura
e che il fate morir dalla paura.
che mi liberi ormai da un tale imbroglio,
che da diavolo far io più non voglio. (Entra in una camera)
che la cosa abbia a andar tutta al contrario.
Basta, comunque sia questa faccenda,
e se mal vi sarà me n’anderò.
questo spirto malnato e impertinente.
alla presenza mia tosto t’avanza. (S’ode il suono di tamburo)
Non ho paura. (Finge timore. Brunoro toccando il tamburo s’avanza con passo grave)
Oh, che spirito grave! Oh, che andatura!
guadagna per suonar questo tamburo;
ma, signore, vi giuro in verità,
Dorinda ne guadagna la metà.
che mi chiede pietade inginocchiato.
che promettesti a me salvo da morte? (Al conte)
Lo volete veder? Ecco io son quello. (Si leva la finta barba)
Parla, che fai tu qui? Tutto l’inganno,
Difendetemi voi signor marchese.
Morto ognun vi credea. Della contessa
Ella fida e costante al sposo estinto
mi provai colle larve a spaventarla.
e del commesso error chiedo perdono.
A chi chiede perdon non so negarlo.
Anch’io dunque, signor, potrò sperarlo.
una sposa fedele a questo segno
tutta mi fa depor l’ira e lo sdegno.
Parto pien di rossore e vi protesto
che la mia debolezza ora detesto.
Parto pien di vergogna e m’addolora,
perché le cento doppie ho perso ancora.
se il perdono da voi ottenerò.