Metrica: interrogazione
578 endecasillabi (recitativo) in Il conte Caramella Venezia, Bettinelli, 1751 
s’alzaremo dal letto un po’ più presto
incomincio a tremar come una foglia.
                                      Non lo sapete?
In casa, nel cortile e nel giardino,
in questa casa a far il tamburino.
l’anima del padrone. Il poverino
son quattro mesi che morì alla guerra;
doppo ch’è morto a ritrovar ci viene.
                      Dimmelo, Ghitta mia.
un grande, grande, nero, nero porco,
Cecco mio, Cecco mio, quell’era l’orco.
col collo lungo, lungo che arrivava
del palazzo al secondo appartamento.
Quell’era certamente la beffana,
Ghitta mia, Ghitta mia, che cosa strana?
(Io rido e me la godo). Ed il tamburo
                                    Ahi, che mi pare
                                      Quando il sento
senza gridar o far alcun schiamazzo,
caccio la testa sotto il mattarazzo.
                                             Né men io.
                                          Sollecitare...
Senti, senti. (S’ode il tamburo)
                         Ecco l’orco. (Parte)
                                                Ecco il demonio. (Parte)
con un uomo di carne in compagnia.
che bizarra invenzion! Che bel pensiero!
                                    Siete sicuro.
                                              La padrona
ascoltare il marchese. Egli procura
col pretesto dei spirti e restar solo.
vuol piuttosto morir dall’appetito.
                                         Rammentate
ha promesso il marchese; a me cinquanta
della padrona mia, barbaro e duro,
cinquanta a voi per battere il tamburo.
                                     Per qual ragione?
                                                 Sarà dunque
doppo che vi sei tu arso e spiantato.
                             Sì sì, non annoiarmi;
t’amo, ti voglio ben ma non seccarmi.
                                 Sì, non te l’ho detto?
Mi spaventa là dentro il rio demonio.
dovrei lasciar di migliorar lo stato?
La mia mamma così non m’ha insegnato. (Viene la contessa)
Oimè! Ah siete voi? Deh compatite,
tutto mi fa tremar. Sempre a me pare
                                       Anch’io pavento
allorquando lo sento; e non so come
questo spirto folletto in casa mia.
                                       E che sarà?
L’anima del padron ch’è morto in guerra.
                                               I gazettieri
da dubitar non c’è; qui in questa casa
se non doppo l’avviso di sua morte.
onde adesso ch’egl’è spirito puro,
                                        Non l’intendete?
della destra e del cor dispor non devo.
Oibò non s’usa più. Poche son quelle
che amino quando è vivo il lor consorte,
disponendo a sentire il vostro foco.
                                         Oh me felice,
                                            È di già accesa
ma acciò duri la fiamma e non si spegna,
vi vuol, signor marchese, della legna.
colle dolci parole attento e scaltro
                                      Eh vi vuol altro.
coi pianti, con i vezzi e coi sospiri
di femmina nel cor vivi gl’affetti,
vi voglion padron mio dei regaletti.
per il cuor di colei che m’innamora?
Spargerei dalle vene il sangue ancora.
un dì s’arrenderà. Spero e frattanto
il mio lieto sperar trattiene il pianto.
Ecco le mie campagne, ecco il palazzo
prigioniero di guerra, ecco mentito
a spiar gl’andamenti della moglie.
                                      Ma a quest’ora
solo andar non mi piace. Il sol tramonta;
se la notte mi prende e si fa oscura,
e vuol ch’io la raccolga; tremo tutto.
Per risparmiar la strada e la fatica,
le porterò del fieno e della ortica.
                       (Ecco lo spirto tamburino).
Anima del padron, da me t’invola.
(Anima del padron?) Che? È forse morto
Ahi mi tremano in corpo le budella.
e lo spirto di lui suona il tamburo.
                                         La vedovina...
                                       Vi dirò;
                                            Aiuto, aiuto. (Si ode il tamburo e lo trattiene)
                                    Non posso più.
Sarà qualche villan di questa terra.
L’anima del padron ch’è morto in guerra.
Qui si sente a suonar e non si vede,
che se non è il padron sarà il demonio.
sciocco da creder ciò. Penso piuttosto
uno spirto là dentro in carne ed ossa.
Ma oimè. Per qual ragion? Per far che sia
guadagnar la sua grazia ed il suo core.
Che fo? Mi svelo? No, ch’è troppo presto.
vuo’ parlar con Brunoro. Ecco la stanza
l’altra parte risponde. Egli dovrebbe,
Chiuder voglio la porta, indi chiamarlo.
Eccomi pronto e lesto ad ascoltarvi.
che ancor più dell’usato in questa notte
«Moglie mia, moglie mia...» (S’ode picchiare all’uscio)
                                                      Zitto; vien gente.
Oimè! Chi sarà mai? Presto celatevi.
                                     È vero, è vero.
Ammorzerò la lume. (Spegne il lume)
                                        Oh bel pensiero! (Si picchia più forte)
Vedrò che diavol sia. (Apre l’uscio)
                                         Oh, che disgrazia
                                         Oimè! Son mezza morta.
con in mano un bastone e mi volea...
                                        Via nascondetevi. (Piano a Brunoro)
So che voi siete qui; son qui venuta...
                                     Oh questo no.
                                     Ma fate presto.
al certo nascerà qualche scompiglio. (Piano a Brunoro e parte)
Maledetto! Non trovo il nascondiglio.
Se si move una mosca o soffia il vento
io principio a tremar dallo spavento.
Anche questo periglio è superato. (Entra nel nascondiglio e chiude)
                                      In questo quarto,
ch’essere non solea molto abitato,
                               Ma qui v’è qualcheduno,
                                      Misericordia. (Si sente il tamburo)
                                                 Ah che ci sono?
io non suono signor ma tremo e ballo.
                                                   A me il chiedete?
Voi del tamburo il suonator non siete?
No; quello non son io. Ma tu chi sei?
teco parlar. (Questa è di cuor sincero;
                                                  Oh signor no.
                                               Oh! Cosa dite?
                                     Per me?
                                                       Senz’altro.
                                       Adesso no;
ma avvertite a non dire a chi che sia
                                       Oh non temete;
io dirò a tutti che non so chi siete.
Ma non avete a dir d’aver parlato.
                                       Non lo direte
                                        Ci s’intende.
                                Non v’è dubbio.
                                      Cotesto Cecco
                                           Egli è mio sposo.
                                   Cosa dite?
benché donna non son, se m’intendete,
Ehi, fermate; sentite. Eh! Se n’è andata
                                      Ehi Brunoro?
                     Sono qui. (Altera la voce)
                                         Non siete ancora
Ancora no. (Qualche briccon celato). (Da sé)
Eccolo qui. L’ho ritrovato io pure.
Accostatevi a me. (Presso la porta del nascondiglio)
                                   Son qui da voi.
Ecco il lume, ecco il lume. Presto, presto.
Questa porta non s’apre. (Tenta aprire il nascondiglio e non gli riesce)
                                               In ogni guisa
mi convien fuggir. (Si ritira verso un’altra porta)
                                     Oh che veleno,
                                 Qui sotto vuo’ celarmi. (Si nasconde sotto una portiera)
Ghitta, Ghitta, sei qui? (Il conte col bordone dalla portiera getta in terra la candela a Cecco)
                                             Oimè! Son morto.
                                        Chi mi chiama?
                                        Come?
                                                        La voce...
Son un morto che parla e che cammina.
Ah, che non è Brunoro! Oh me meschina?
Son io ma d’esser vivo ancor non credo.
                                   Con te ho parlato?
Di mano il candelier m’hanno gettato.
                                       Non so che dire.
Mi sento un’altra volta intimorire.
Orsù, basta così. Da queste soglie
partite omai. L’ora al partir v’invita.
oltre al dovere, io parto e voi restate.
                                            E voi non siate
                                  Io soffrirò ogni pena
Sperar nell’amor mio voi non potete.
                                      No, ma se vive
lo sposo mio, serbo a lui solo il core.
può tra nemici ancor trovar salvezza,
son io con voi, lo spettro non mirate. (Ripara in modo che non vede Brunoro)
il nostro matrimonio a lui fia caro.
                                          Viver volete
da questo albergo tristo e doloroso;
                                       (Già va cedendo).
                                         Avrei bisogno
                      E riposar vorrete
non temete star sola? Ah se vi piace
la mia fede gradir, da voi, mia bella,
                                       Troppo gentile,
                                         Per obbedirvi
tosto men vo. Sol di piacervi, o cara,
(Tra il timore e l’amor domani è mia). (Da sé)
Ah, ch’io d’errar pavento e non ho core
d’abbandonarmi a nuovi affetti in preda;
par ch’estinto il consorte ancor non creda.
                                       Da dove viene?
                                           Eccolo, eccolo.
Oimè con quella barba ei sembra l’orco;
badate ben non si trasformi in porco.
Se posso gliela ficco. (Vuol chiudere l’uscio)
                                        Olà fermate (S’oppone a Dorina)
                                            Ad avvisarvi
vengo per vostro ben che non crediate
al marchese impostor, che non è vero
il conte e capitan, vostro consorte.
che il povero padrone se n’è andato,
e all’inferno di trotto rimandarlo.
andate voi, che il diavolo vi aspetta.
sa il presente, il passato ed il futuro.
che gabba il mondo, astrolicando in piazza.
ch’esser possa il futuro a me svelato
Basta così, non voglio sentir altro.
queste cose sapere per minuto). (Da sé)
(Questo brutto barbone è molto astuto). (Da sé)
Non gli badate, ch’egli è un ciarlatano.
Io sono un ciarlatano? Sfacciatella,
io ti farò cambiar sensi e favella.
Basta così... (Che tu sia maledetto). (Da sé)
che abbiate la virtù che voi vantate
che mi turba, m’inquieta e mi circonda;
fate ch’egli risponda ai detti vostri;
ed il vero per voi chiaro si mostri.
                                            (Finger conviene
finché giunga a svelar la trama tutta). (Da sé)
(S’egli mi scopre, me la veggo brutta). (Da sé)
                                            Eh sì signore,
Ditemi il ver, di già nessun ci sente,
sarebbe un qualche vostro innamorato?
volentieri all’amore un po’ farei.
voglio tutta adoprar l’industria mia). (Da sé)
Ditemi, il vostro genio a cosa inclina?
se un astrologo avessi in poter mio,
vorrei imparare a strolicare anch’io.
bella v’insegnerò, se non vi spiace
quest’austero sembiante e questa barba.
                                    Oh è troppo presto.
Tutto v’insegnerò quel che bramate.
voglio la ricompensa innanzi tratto.
Dunque venite qui, vi vuo’ insegnare
la gente a prima vista a strologare.
                                               È vero, è vero.
                                         Bravo, bravo.
è di bella onestà segno chiarissimo.
Bravo, vi torno a dir, bravo, bravissimo.
Aspettate un momento. (Si ritira in disparte e tira fuori di tasca un picciol specchio)
                                              (A poco a poco
Tutto, tutto saprò col lusingarla). (Da sé)
(Ner’occhio, rosso labbro e bianco viso...) (Guardandosi nel specchio, credendo di non essere veduta dal conte)
Presto ditemi su qualch’altra cosa.
(Io non ho rughe sulla fronte mia). (Da sé guardandosi come sopra)
                                               (Oh non v’è dubbio
son per grazia del cielo un po’ magreta). (Da sé)
Tutto v’insegnerò, tutto mia cara,
tutta sarò per voi. Ah ch’io già sento
che di questo mio cor voi fate strazio.
(Le parole di già non pagan dazio). (Da sé)
Cecco mio vuo’ narrarti una novella.
in cui poc’anzi ci trovammo uniti,
con un uomo parlai più di mezz’ora.
                                Non lo conosco.
                                 No, te lo giuro,
perché parlato abbiam sempre all’oscuro.
Non ho al buio parlato anche con te?
                                            E non potrebbe
                                               O questa è bella!
                                          Che so io.
Non s’appaga d’un solo il genio mio.
                                             Oh che domande!
Certo lo so. Lo sposo è un giovinetto
E se ne può cambiar più d’uno il giorno.
                                             Ma lo sposo
Dunque sposo ed amante egl’è tutt’uno.
Sarà come tu vuoi. Ma dimmi o Ghitta,
che ti disse quell’uom così all’oscuro?
Ghitta, quando è così ti do il buongiorno,
                                          Per qual ragione?
Perché troppo dell’uomo hai compassione.
Giuro, non parlerò mai più d’amore;
ma tu non mi privar del tuo bel core.
                                          Mi discacci?
Quest’è la prova del tuo amor fedele?
                               Oh questa è bella affé.
Questa, Cecco, sarebbe un’insolenza.
                                            E quello ancora
credo che su due piè m’abbia sposata.
Sposata? E cosa ha detto? E come fu?
Ha detto anch’egli quel che hai detto tu.
                                       E dove vai?
ch’io non ti voglio amare in compagnia.
Ma io, perché ho paura a restar sola,
Così quando uno parte, l’altro resta;
e una buona ragion mi sembra questa.
Costei non fa per me. Le voglio bene
che farla non sta bene in compagnia.
(Vuo’ Brunoro avvisar... Ma qui costui...)
                                         (Sarebbe bene
quando ingannarmi il ciarlatan credesse).
                                                  (Poco costa
(Di Dorinda sarò, s’ella mi vuole).
                                     Sono arrabbiato
L’ho licenziata e non la voglio più.
(Lusingar anche questo ora mi provo).
                                         Per esempio
che avesse quella fronte e quegli occhietti,
                                      Eh... basta... È tanto
che mi piacete... Ma la Ghitta ingrata...
Basta, come dicea, l’ho licenziata.
Tutto v’accorderò, con un sol patto,
perché in amor non voglio compagnia.
Eh vi s’intende; io son, quand’ho un amante,
all’amore d’un sol fida e costante.
                                                 Io voglio prima
la Ghitta in mia presenza licenziate.
Bella cosa in amor è l’esser solo!
tutti quei che ho burlato a’ giorni miei,
vuo’ parlar con Brunoro. (Batte al nascondiglio) Escite, escite;
                             Eccomi, e quando mai
                                            Io non vorrei
che finisce per voi presto anche troppo.
lo spirito scacciar per ver creduto.
                                     Se proverà
                                                   Appunto è questo.
                                     Io non pavento,
quando il poter dell’arte mia vedrete.
                                              (Quant’è balorda!)
Tutto vostro son io. Già ve l’ho detto.
                               (Barbone maledetto).
                                            Vengo... Ma oimè?
                                     Non mi conosci?
                                 Voi siete quello?
Vi credevo alla voce assai più bello.
io mi voglio sposar col mio Cecchino.
                                      Per qual ragione?
Perché la poverella licenziate? (A Cecco)
Eh lasciatelo far, non gli badate. (Al conte)
Ma lasciarmi non puoi; sai che il padrone
Eh s’egli è morto, non potrà obbligarmi.
forse sarà rinchiuso in questa casa
(Ch’è un pazzo, un menzogner, chiaro si vede).
Vuole il padrone che tua sposa io sia
e il diavol non farà questa fatica.
                                          (Qualche freddura).
Voi dite ch’egli è morto e v’è chi dice
                                              E chi è costui
                                        È un indovino
                                  Un impostore
per il tempo passato. Egli s’impegna
Io m’impegno balzar da questo mondo
l’audace spirto al baratro profondo.
                                     Ve ne ridete?
io pur saprò di voi prendermi gioco.
Olà, così si parla? Io non ti rompo
perché qui sei della contessa in faccia.
proverai tu il mio sdegno e il mio furore.
                                          Dite, madama,
                                      Contentissima.
                                      Fedelissima.
                                Pensate voi
(Una moglie fedele è un gran tesoro).
                                 Non andrà molto
             Forte e robusto.
                                            E quello spirto
Quello spirto, vel giuro, anderà via.
verrà lieto e contento in questo dì
e ogni tristo pensier dal cor m’invola.
Io non so che mi dir; più che ci penso
l’intendo men; veduto ho con quest’occhi
e tre volte da sé m’ha discacciato.
per non perdere invano i giorni miei.
                                          Ma che carne?
                                            Eh non mi fido.
                              No no, non voglio
                                     Ma non mi vuole.
                                        S’io piaccio a te,
Perché, vi torno a dir, non mi piacete.
presto presto anche questa mi ha piantato.
non ho coraggio di mirarla in faccia.
(Ella in viso mi pare ancor sdegnata).
(Non lo voglio veder). (Vuol partire)
                                          (Meglio è lasciarla,
non vuo’ più ricercarla). (Vuol partire)
                                               (E pur mi piace). (Si ferma)
(E pur d’abbandonarla mi dispiace). (Si ferma)
(Ma se più non mi vuole anderò via). (Vuol partire)
(Ma non posso soffrir la gelosia). (Vuol partire)
e il cuor due passi indietro). (Torna indietro)
                                                      (Andar non posso (Si ferma)
e mi convien restare a mio dispetto).
                                             (Che bell’occhietto). (Si guardano sott’occhio)
                                       (Quasi quasi...)
                                     (Parlar vorrei).
                                          Serva di lei.
                                 È meglio sola
Il proverbio non falla. (Ella è sdegnata).
                                            Oh non son degna.
Che bell’amor? M’avete licenziata.
                                                  Oh non vi credo.
                                           Via, disgraziato.
                                             Sei un ingrato.
                                        Per te briccone,
                               E per te ho pianto anch’io.
Tenera io son ma tu sei di cuor duro.
che mi liberi ormai da un tale imbroglio,
che da diavolo far io più non voglio. (Entra in una camera)
che la cosa abbia a andar tutta al contrario.
questo spirto malnato e impertinente.
                                     Non ho paura.
alla presenza mia tosto t’avanza. (S’ode il suono di tamburo)
                                     Non ho paura.
                                     Non ho paura. (Finge timore. Brunoro toccando il tamburo s’avanza con passo grave)
Oh, che spirito grave! Oh, che andatura!
                                     Non ho paura.
                                     Non ho paura.
                                           Ecco lo spirto
                                              Ov’è il consorte
che promettesti a me salvo da morte? (Al conte)
Lo volete veder? Ecco io son quello. (Si leva la finta barba)
                                            Oh che spavento!
Parla, che fai tu qui? Tutto l’inganno,
Morto ognun vi credea. Della contessa
Ella fida e costante al sposo estinto
                                   Pentito io sono
Anch’io dunque, signor, potrò sperarlo.
tutta mi fa depor l’ira e lo sdegno.
Parto pien di vergogna e m’addolora,
perché le cento doppie ho perso ancora.

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