Metrica: interrogazione
581 endecasillabi (recitativo) in L'amante cabala Venezia, Valvasense, 1736 
Ma fra di noi che siam promessi sposi
son superflue cotante cerimonie;
al marito non già ma al cicisbeo.
dal fu signor Anselmo mio consorte.
Ahi memoria fatale, ahi cruda morte!
trattass’in complimento; e allora quando
la maggior confidenza era dovuta,
                             Quello era un buon consorte.
Ahi memoria fatale! Ahi cruda morte!
delle vedove donne; ogni momento
non vedevano l’ora che morisse.
quando prendo ad amar, amo da vero
mi passa un sentimento odioso e rio;
(basta che possi fare a modo mio).
                                       Io mi ricordo
di quel gran ben che mi voleva, oh sorte!
Ahi memoria fatale! Ahi cruda morte!
lasci questo dolor troppo eccessivo;
si scordi ’l morto e la consoli ’l vivo.
nobile, ricco, manieroso e saggio.
Oh quante... (che da me furon gabbate!)
non si debba scordar l’altro marito.
che un chiodo per lo più discaccia l’altro.
sia malignazo pur la suggizion.
Siora madre me tien... Veh là perdiana
la siora squincia con un cicisbeo.
Xe un mese che gh’è morto so mario
e ai omeni cusì la corre drio!
Oh che volto gentil! (Guardando Cattina) Via facciam presto. (A Lilla)
perda la gioventù, vivendo in ozio.
la parola è già data, ai nostri patti...
                                        Far che preceda
                                      Mi meraviglio;
e all’interesse l’amor mio prevale.
fra di noi stabilito fu il contratto.
                                         (Ella mi sembra (Guardando Cattina)
                                            Ehi, signor sposo,
cosa vuol dir? Quelle finestre han forse
più della casa mia dolce attrattiva?
Dirò la verità, parmi quel volto
altre volte aver visto e tutta tutta
a una parente mia nobile figlia.
Certo i parla de mi, forsi culia
me sento proprio che me creppa el gosso.
È forse qualche dama? (A Lilla)
                                            Oh oh che dama!
smania la madre sua per maritarla;
ma un pretesto vorria per non dotarla.
                                        Il mio costume
non è di mormorar ma ben vi giuro
che se volessi dir... Basta non voglio
                                          È forse questa
                                     In che maniera!
in casa di costei chi va, chi viene;
l’altro giorno... Ma no, tacer conviene.
certo ghe digo de chi l’ha nania. (Si ritira)
né mi degno né men di salutarla.
v’erano più di dieci giovinotti.
                                                   E pur è brutta
altrimenti, signora, io me la batto.
cui parlò dal balcone una sol volta,
ha avuto tanto ardir questa sfacciata
Oh se volessi dir ma son prudente,
e le cose degli altri osservo e taccio.
parlan male di lei tutti d’intorno...
Vado a prender le doppie e presto torno.
Sia ringraziato il ciel che se n’è andata.
Ma vengano le doppie e parli poi
e de’ fatti degli altri e delli suoi.
che io la voglia in consorte, il mio pensiero
bramo la dote sua; questo è il mio voto.
vuoi tornar al balcon, per chiappar aria.
la giovine garbata, eh già non credo
tutto il mal che di lei Lilla m’ha detto;
delle femine è questo; altro non fanno
che dir quello che sanno e che non sanno.
vi fosse da far bene; io già non cerco
non mi curo d’amor, cerco denari.
Io mi voglio introdur ma per poterla
maggiormente adescar, finger conviene
cangiar nome, paese ed il linguaggio.
Servitor riverente alla patrona.
                                       No seguro.
all’insegna del gambaro da mar?
Che m’ha vendù quei merli?...
                                                         Giusto quello...
                                                         No son quello.
Mo via no la se fazza dalla villa,
son amigo de casa e so sior pare
me voleva un gran ben, quando el viveva:
«te vogio maridar; mi gh’ho una fia
                                    Cattina?
                                                      Sì, Cattina,
Siorsì, siorsì, xe vero e mi son quella.
per so sior pare e per la fia l’affetto.
Grazie alla so bontà, se la commanda
vegnir de su, ghe xe mia siora mare;
la parlerà con ella e se la vuol
la prudente intenzion de mio sior pare.
ch’ella vegnisse zoso? In do parole
s’aggiustaremo presto tra de nu;
i vuol esser trattadi a tu per tu.
che la ventola zo me sia cascada,
onde con sta finzion vegnirò in strada. (Via)
mi saprò aproffittar de’ beni suoi;
farò presto svanir le sue speranze.
non vorrei s’incontrasse con quest’altra;
eh no mancan pretesti a mente scaltra.
parte della mia dote a lei promessa.
questa somma cred’io che sia bastante
e nel dì delle nozze avrà il restante.
si potiamo imbrogliar, meglio sarebbe
Se tutte in una volta ella le vuole,
dunque mi renda queste e avrà l’intero,
quando delli sponsali il dì fia gionto.
Voglio facilitar; le tengo a conto.
penso la notte e il giorno a tal negozio.
ch’ella mi voglia ben con amor forte,
se mi devo scordar l’altro consorte.
di mantenerle ognor lo stesso affetto.
dolci parole sue parto contenta,
ma ecco qui la veneziana, or via
tosto si cangi Filiberto in Toni,
in un punto si cangi in veneziano.
m’hala forsi chiamà per testimonio?
                                          Dei so amori
che interessi gh’aveu donca con ella?
Gh’ho venduo della robba de bottega,
un andriè de veludo e altre cossette,
co ste doppie de Spagna che xe qua.
Come diavolo fala a far ste spese?
intrade no ghe vien, da so mario
no l’ha fatto sta grand’eredità;
come donca tant’oro hall’acquistà?
Dota? Sì ben. La xe vegnua a Venezia
con un strazzo d’andriè de tela indiana
Sì ma tutto int’el ziogo el consumava.
                                     Mi nol so
e po anca se ’l so, nol voi saver.
che sa far con maniera i fatti soi.
ricco ma ricco... Orsù no vuoi dir gnente.
ancor questa è prudente come quella).
de che taggia la xe cognosceressi.
sia color natural? Oh poveretto!
                                           Cossa?
                                                          El sbeletto.
E po la xe cattiva com’el diavolo,
ogni otto dì la scambia el servitor.
la s’ha taccà a parole e lu el gh’ha ditto:
«Tasi, che ti è una brutta...»
                                                     Zitto, zitto.
Lassemo andar custia, tendemo a nu.
                                         El barcariol
ghe ne sa dir de belle; el me ne conta
tante che fa paura; el dixe un zorno:
«Sì ben; la mia parona fa la casta
                                           Basta, basta.
Sì sì, la gh’ha rason, donca per questo
el so viso genial za m’ha piaxesto.
cara siora Cattina halla acquistà
                                          (E sono assai).
Non abbié tanta pressa, adasio un poco,
no me voggio fidar. Voggio saver
Voi veder che negozio che gh’avé.
Sì sì, la gh’ha rason ma za gh’ho ditto
all’insegna del gambaro da mar.
a veder la bottega e el capital.
(Ora sì che vi vuol arte ed ingegno).
(Il geloso amor mio tacer non può).
                                    Oe, cosa dixela?
La se n’abuo per mal perché mi subito
no gh’ho portao el so veludo a casa
Quali interessi avete con costei?
Cossa xe sta costei? Me maravegio,
colle mie man ve strazzerò i cavei.
                                     No no, tacete. (Piano a Lilla)
si facea maltrattar dalle persone,
ond’io la soccorrea per compassione.
Me despiase da perder l’avventora.
disinvolti marciari? In questa guisa
per prendermi piacere e finger voglio
della vostra bottega esser padrone.
le vostre robbe e s’elle ne voranno
con i propri denar le pagaranno.
voglio mentir linguaggio e finger voglio
eh non m’inganno affé; questa è Cattina).
fate che pronti sian i vostri gioveni;
se qualche danno a mio riguardo avrete,
ricompensato molto più sarete. (Tiritofolo parte)
accreditar il mio tessuto inganno).
(Vogio veder se Toni me cognosse).
(Fingerò non conoscerla). Patrona
                                   Cossa vendeu?
drappi d’oro, d’arzento e recamai.
lassé veder quei panni d’Inghilterra,
La se lassa servir, colle aventore
mi no stiracchio e fazzo quel che posso.
(Per quel che vedo el capital xe grosso).
No tiré zoso altro; uh, caro fio,
questa qua no xe robba da par mio.
Mo perché? Cossa vorla? La domanda,
che li ho tagiai in scondon de donna mare
                                           Una vestina
de mia cugnà che stava a Pelestrina,
(Oh che gusto che gh’ho, nol me cognosse!)
Questa è una cossa alfin de poco prezzo.
Mare de Diana, m’ho scordà el cavezzo.
ghe fiderò la mezza lana intanto,
perché ho da render conto a un mio fradello
la me lassarà in pegno un qualche anello.
l’è un putto de giudizio; ma voi veder
anca se ’l xe fedel). Vu sé paron
le mie verze, i fenocchi e le mie rave.
che se tu fingi, io voglio far da vero).
(Eh nol casca, el sta sodo). Donna mare
con paron Tranquillin; gh’è bara Nane,
gh’è Titta scoazzer che me vorria
ma se no trovo un’occasion più bella
no me voi maridar; voi star donzella.
tentar convien di rossicar quest’osso).
perché ghe dixe ognun che i xe dindiotti.
diese mesi dell’anno i dorme in mare.
Zucca, polenta, sugoli e maggiotti,
anguelle o brussoi su le bronze cotti.
(Oh che putto dabben, certo nol casca!)
ma de quelli però che no me fazza
voi ch’el me tratta ben, ch’el me carezza;
a manizar la vanga e zappar l’orto,
no voggio che nissun me varda storto.
d’esser uomo dabbene). Orsù patrona,
se no la vuol comprar, la fazza grazia
(Co rustego ch’el xe). Cusì rogante
                                       La perdona,
che tende zorno e notte al so mistier;
che consuma in le donne el capital;
perché chi vuol badar a questa e quella
presto impara a cantar la falilella.
no se puol far de più; l’è un putto d’oro).
che a zonta a quel ch’avé no staré mal.
                                           Sé promesso?
                      Con chi?
                                         Con una tal
siora Cattina... Oimè no m’arrecordo
                        La xe mia cara amiga.
Oh che putta da ben! Oh che tocchetto!
no lasserave andar siora Cattina,
Ella gh’ha bezzi e robba e se la fusse
tanto el ben che ghe voi mi ghe vorria.
                                        La m’ha promesso
de vegnirme a trovar; volesse ’l cielo
che la vegnisse almanco stamatina!
Son qua, viscere mie, mi son Cattina.
Oh cossa vedio mai! Vu sé Cattina?
ho fatto sta finzion per descoverzer
adesso stago col mio cuor contento.
                                      (Or voglio darle
un bel segno d’affetto). Orsù sentì,
vu avé provà el mio amor; l’avé trovà
costante e pentual; voggio anca mi
                                          In che maniera?
int’el fuogo per vu me buttaria.
Ho da comprar una partia de panni
de seicento ducati; per comprarli
darme un poco d’agiuto, poderessi.
                                    Eh no gh’è tempo;
se stasera no fazzo sto negozio,
agiutarme in sto ponto vu podé.
                                                      Quei manini,
Compatime, no fazzo sto sproposito.
che ben che me volé; povero gramo
                                      No, no xe vero,
ve voi tutto el mio ben ma certo, certo,
no se varda ste cosse; adesso vedo;
dixé quel che volé, più no ve credo.
                                     Lasseme star.
                                    Tireve in là.
                             Sì.
                                     Via femo pase.
Oh questa, questa sì, la me despiase.
E no ghe xe remedio de giustarla?
Tutto te voggio dar quel che ti vol.
Tiò, caro, sti manini... (Oimè che tremo
                            Via demeli, presto.
Te dago l’oro e ti è paron del resto.
varda se ti è il mio caro Tonin bello.
(Guarda fin dove arriva il mio cervello).
se contenta saré dell’amor mio.
misero me! Coraggio aver conviene).
                                      Quella ch’è là
xe la vedua che sta vicina a vu.
                                                   Oh questa
Via Cattina soffrì per amor mio.
Senteve qua; tasé; vegnirà el zorno
questo el tempo no xe de vendicarve.
(In un gran labarinto ora mi trovo).
Filiberto non già, Toni mi chiamo;
                                              Eh non fa caso,
                                        In questo loco
che state a far? Così perdete il tempo?
per regalarvi un abito; ho piacere
che siate giunta a tempo, ora voi stessa
                                     Io son tenuta
                                   Anemo putti (Viene un giovine)
mostreghe quelle stoffe; (no l’hoi ditto? (Piano a Cattina)
Mostreme quella con i fiori sguardi.
per aver avantaggio nelle spese,
Secondatemi pure e non temete. (Piano a Lilla)
(Ecco prese due quaglie in una rete).
la diga se ’l ghe piase. El xe de Franza
(Anema mia, debotto son da vu). (Piano a Cattina)
(Lo contrattai col suo padrone e vuole
ventidue lire al braccio). (Piano a Lilla)
                                               Oh questo è troppo! (Forte)
(Lasciate fare a me). Nol costa manco
de venti lire al brazzo. Cossa dixela?
                                          Sedeci lire.
La se remetta in mi. Mettelo via,
(Dal suo padron io l’averò a buon patto). (Piano a Lilla)
(In poco tempo un bel negozio ho fatto). (Piano a Cattina)
                                   (E non è luogo
questo per tal discorso). (Piano)
                                              Oe, vegnì qua,
cossa quella scacchia parla de nozze?
La xe per maridarse, onde la vuol
(tremo da capo a piè per la paura).
                                              Ella credeva
che io fossi il principal della bottega...
Del panno padovan m’ha dimandato.
(Oh cielo! Più che mai son imbrogliato).
                                     Se voi volete,
                                           In che maniera?
Con quattro paroline che io gli dica,
con un po’ di cervel che ponga in opra,
io m’impegno di far ch’ella si scopra.
                                    Non dubitate,
                                         Via, dunque andate.
Anema mia son qua, no vedo l’ora
                                       Caro Tonin,
quando ve vedo arente a quella smorfia,
me sento dal velen tremar le gambe.
(Oh come ben sono ingannate entrambe!)
Aspettate, signora, ancora un poco.
Son qua cara Cattina. (Piano a Cattina) (Oh che bel gioco).
no la vuoi disgustar, perché la spende.
E ben scopriste ancora chi ella sia?
ella il suo grado vuol tener coperto.
per quel che io vedo, ben la conoscete;
Che io sia di vista corta? V’ingannate;
vedo assai più di quel che vi pensate.
(Misero se mi scopre!) Anima mia
cara, che vi professo; il forte impegno
sapete con cui v’amo. (Adesso vegno). (Piano a Cattina)
                                           Dunque mio bene,
venite meco, andiamo a stabilire
il matrimonio; io d’abbracciarvi, o caro,
                                                 (Or viene il buono).
Dal sartor colla robba. (Piano a Cattina)
                                           E che pretende
Mi dimandò se ancora è mezzogiorno.
Dunque con voi ha qualche confidenza.
che io non la conosco. (Ohimè che imbroglio?)
                                                   Io prima voglio
saper chi è quella maschera. (Forte)
                                                      Patrona, (Si avvanza)
                                        Eccom’in mezzo.
Fursi la ’l saverà per el so pezzo.
Per amor mio sté zitta e mascherada. (Piano a Cattina)
Se mi volete ben dissimulate. (Piano a Lilla)
                                      Per vu sopporto.
(Filiberto meschin! Son mezzo morto).
Sì sì ma tremo ancora dalla rabbia.
No me posso quietar, se no me vendico
                                         El più bel modo
Quando la saverà che vu sé sposa
crepperà dal velen quella invidiosa.
Corro donca a mostrarghe la scrittura.
                                            Perché?
                                                             Ghe manca
                                           Manca la dota.
xe la prima fonzion che far dovemo;
per el resto tra nu se giusteremo.
l’è una donna sutila come l’oggio,
sempre la gh’ha paura che i la bara.
(Quand’ho presto i denar vado a Ferrara).
vago a tor el nodaro e adesso vegno.
(Io cercherò un nodar di bell’ingegno).
                                      Mi no me parto,
(Faccio in un giorno sol due belle botte). (Va)
Doppo tanto aspettar, son arrivada
più no se sa de chi fidarse; tutti,
o el ziogo o l’osteria o quel servizio.
Quando una putta gh’ha un poco de dota
Ma mi so el fatto mio, no gh’ho paura
che i me trapola certo e benché sia
son accorta anca mi la parte mia.
sì ben, l’è giusto ella, voggio andar...
procurarò schivar ogni contrasto
ma se la prima la sarà a taccarme
Filiberto non vien, questa lentezza
segno è di poco amor; rimproverarlo
voglio allor che verrà... Ma qui Cattina?
e periglio il restar. Con una pazza
taccar lite non è mia convenienza;
resterò dunque ed usarò prudenza.
(Non voglio esser la prima a salutarla).
(Voi farghe un repeton per minchionarla).
precipiti nel mar dell’allegria.
le so felicità sempre interrotte.
(Che ti possi creppar la prima notte).
con cui possa goder buone giornate
(e che ti rompa il collo a bastonate).
la sapia che, si ben no gh’ho i so meriti,
si ben che no son ricca come ella,
e ch’el viso no gh’ho tutto impiastrà,
un strazzo de mario m’ho za trovà.
(Temeraria mi sembra anzi che pazza).
sarà senz’altro un cavaglier di vaglia
(o più tosto sarà qualche canaglia).
dama co la xe ella (trui, va’ là).
ma che gh’ha delle doppie in quantitae.
solita di noi donne, il di lei sposo
                                 Toni e ’l gh’ha bottega
all’insegna del gambaro da mar,
d’averla vista gieri, se no fallo,
                                              È vero e meco
                                                 Come! El so amante?
(No ghe giera nissun fora che Toni,
                             Volentieri; ha nome
(Respira anema mia, che no l’è Toni).
no gh’è del capital? Non hoi trovà
degna appunto di lei ch’è sì garbata.
compatisca l’ardir, parlo per zelo.
                                          Potrebbe darsi
che questo matrimonio andasse in nulla.
della fé dello sposo è poi sicura?
No gh’è da dubitar, gh’ho la scrittura;
e po l’è un venezian, se cognossemo;
nol me pol trappolar; la varda ella
che no la sia dal forestier piantada.
fatta colle so man; ghe xe parole
proprio che fa da pianzer. (Creppa, schioppa;
                                               (Cieli, che veggo!
                          (La sborisce i occhi
(È sottoscritto: «Toni Canareggio».
Ma il carattere è suo senza alcun fallo).
(Vuo’ confrontarla colla mia scrittura.
e le parole ancor sono le stesse:
«A Cattina, mio ben, ho donà il cuor»;
«A Lilla, anima mia, donat’ho el core»;
«Zuro». «Giuro». Che giuri? Ah traditore!)
Cossa ghe xe saltà che la va in bestia?
                                       (Oh amica cara!) (Ironico)
Il vostro Toni ed il mio Filiberto
questo impostor colle menzogne sue
se la gh’ha caldo la se fazza fresco.
Come fala a insuniarse cusì presto?
                                               Oh gh’ho credesto.
                                          (Me despiase
quell’o de Filiberto xe larghetto;
ma quello del mio Toni el xe più stretto.
(La me mette in suspetto). La me daga
State a sentir; il suo ritratto è questo.
che ho paura ch’el sia... (Ma velo là
                                              L’è appunto quello.
                                       Venite meco,
di scoprir il suo inganno e vendicarci.
ma me vogio chiarir; oh se xe vero,
povere le mie doppie, sono andate!
sarà fatto il negozio; è un uomo appunto
non ha difficoltà di render nullo
e dir: «Non m’arricordo averlo fatto».
legge coi denti stretti e parla in gola,
sicch’essi non intendono parola.
Ma Cattina non v’è; stancata forse
di soverchio aspettar, tornata è a casa.
indi seco n’andrò per terminare
è mestiero alla moda; ogni nazione,
procura d’ingannar e tutti sanno
dar il nome d’industria al loro inganno. (Vengono Lilla e Cattina, tutte due mascherate, e vanno una per parte a Filiberto)
per sortir facilmente ogni arduo impegno
non la cede d’ingegno a chi si sia;
so far il mio mestier con pulizia. (Lilla lo tira per una manica e lo saluta)
in che posso servirla? Ella disponga
di già libero son da ogn’altro affetto.
(Che mentitor!) (Cattina lo tira dall’altra parte e lo saluta)
                                 Oh oh, signora maschera,
riverente m’inchino. (A due alla volta?
Fortuna ti ringrazio). Ella commandi,
di già libero son da ogn’altro amore.
                                 Signora mia garbata (A Lilla)
della mia fedeltà può star sicura.
(Questa non vuol parlar, sentiamo quella).
non negarmi un favor; già non v’è alcuno,
della mia fedeltà temer non puole.
tutta del mio valor l’arte più fina;
son più accorte di Lilla e di Cattina).
                                             Eh non v’è dubio.
Temo che il vostro cor sia già impegnato.
sempre libero il cor ho riserbato.
                              Oibò, che cosa dite?
Che non ha civiltà, che non sa il tratto?
Figuratevi voi, non son sì matto.
                           Eh feci per burlarmi
                                      In simil guisa
burlarete me ancora, io lo prevedo.
                              Tacete, io non vi credo.
qui non v’è da far ben, è troppo scaltra.
vuol lasciarsi servir? Se va cercando
non la cedo ad alcuno in fedeltà.
Donca, si sé fedel, per cossa aveu
Dirò la verità; pensai che quella
per un uomo non è grande e gentile.
Fabrizio Roccabianca è il nome mio.
(Buon per me che il mio nome a loro è ignoto).
                                    Oh, non signora.
avete fatto error; ditemi in grazia,
queste due donne, che nomate avete,
che ho conosciuto un dì; peraltro queste,
non so se siano belle o se sian brute,
da galantuomo non le ho mai vedute.
                                   (Oh oh, che bell’inzegno!)
                                   Voi la mia cara.
                                       Son tutto vostro
perché io non voglio disgustar alcuna,
Son contenta ma voglio esser distinta.
Un pocchettin de più mi ghe ne vogio.
io vi veda in la faccia e che conosca,
                                Sì, lo saprete.
Riverente m’inchino al sior Fabrizio. (Si smascherano e Filiberto resta attonito senza parlare)

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