Sei amor, sei timor tu che mi guidi
nell’empia reggia a riveder la sposa?
prove mi diè. Ma prigioniera oppressa,
temo che la sua fé non sia la stessa.
Scoprasi dunque... Ma che miro! Al suolo
prosteso il servo mio riposa in pace!
Chi mi sveglia? Il demonio! O me meschino!
l’anima distillar per lo spavento.
Non mi conosci ancor? Son io pur quello...
Vatene per pietà demonio fello.
Son pur quel tuo padron...
è Aristide di Grecia e non Plutone.
che meglio vi contempli. Agl’occhi, al naso,
alle spalle, alla vita, ai piedi, al tergo,
alla voce senz’altro io vi discerno.
e lo spirito vostro andò all’inferno.
Vi ponete padrone a un gran cimento.
Chi sapere e veder troppo desia
spesso discopre quel che non vorria.
Guarda non mi scoprir, con la tua morte
Non temete signor, ch’io starò zitto.
Se il bel volto d’Arsinoe io mi rammento,
ardo d’amor. Ma se sovvienmi ch’ella
moglie è di quel per cui vacilla il regno,
s’accende nel mio cor l’ira e lo sdegno.
bearmi in lei pria che tramonti il giorno.
a me sia di piacere, a lei di scorno.
che mi venghi sul dorso un qualche imbroglio.
Prendilo temerario. Io vuo’ che tosto
o incontrerai nel mio furor la morte.
ora sei fra l’incudine e il martello. (A parte)
è l’uso familiar del cortigiano.
pensa dal mio volere, invan lo spera,
ch’io son re vincitor, lei prigioniera.
Servo indegno, infedel, con questo ferro
Per pietade la vita, eccovi il foglio.
Ama la sposa mia Xerse crudele
violentarla il superbo! Eterni dei
giuro di vendicar gl’oltraggi miei.
Il padron da una parte ed io dall’altra,
punto non si confà col suo furore.
Quel giovine garbato, ehi dove andate?
ma con lei restarò se mel comanda.
(Questo appunto sarebbe il mio bisogno).
(Vorrei dirli che l’amo e mi vergogno).
Se il genio mio non fosse troppo ardito
che indegna non foss’io di tanto onore
ma temo che di me prendiate gioco.
Io signora per voi son tutto foco.
tutto concederò quel che volete.
Ma non vorrei che queste vostre viscere
che furono per me tanto amorose
fossero in simil guisa altrui pietose.
Mi meraviglio. Non son io di quelle
per goder libertà. Son donna onesta,
porterete il mio onor sopra la testa.
e tu lo speri invan crudo ministro.
Numi, che veggo! (A parte)
ad Aristide mio, sarò di morte.
Oh bella fedeltà, cara consorte. (A parte)
Superba, al braccio mio...
Numi del cielo a voi mi raccomando. (Si ritira)
Chi provoca Cireno abbia la morte.
Ma la donna dov’è? Fuggì, disparve,
rinvenirla saprò. Xerse l’adora
al suo core servir, dar pace al mio.
Partì l’indegno ed il meschino al suolo
cadde per mia cagion; chi mai l’indusse
all’opra generosa? Ecco opportuna
Bellide a me sen vien. Fida compagna
delle sventure mie, soccorri questo
Zitto padrona mia, gettò un sospiro.
aspergi il volto suo. Chi sa? Potrebbe
donna di me più pronta non si dà.
Volesse il ciel che ritornasse in vita
nel mirarlo sì brutto un gran spavento.
Via non temer, non ti starò lontana.
Par il diavolo proprio in forma umana.
Che mai sarà? Le donne per natura
del diavolo non sanno aver paura,
Voglio, quando è così, crescer la dosa.
Ma che veggo! Signora, oh che portento!
Si rischiara il color dal lato manco.
Il volto è mezo nero e mezo bianco.
Qualch’inganno tem’io. Finti colori
Alla voce, all’aspetto, ancorché informe
Che mirate ochi miei! Quest’è la sposa.
la tua sposa son io, sì quella sono
che costante al tuo amor ricusa un trono.
credetemi signor, è una gran sorte
ritrovar fedeltà nella consorte.
Sembrate un mascheron di carnovale.
Oimè che fia! Se discoperto io sono
Xerse m’ucciderà. Lascia ch’io vada
ritornerò. Non dubitar; destino
o liberarti o ver morirti appresso.
Arsinoe addio; si rivedremo in breve. (Parte)
un bravo greco valoroso e scaltro
ne trovarete in breve tempo un altro.
la dolce compagnia del caro sposo
egli dell’amor mio fu il primo oggetto,
ei l’unico sarà mio dolce affetto.
or che uniti si siamo in matrimonio
la vita del servir troppo è stentata,
non conferisce a gente maritata.
D’una donna industriosa sei marito
e puoi temere che ti manchi il vito?
Signorsì, signor no (che brutto imbroglio).
Ad Arsinoe fellon non l’hai recato?
Dirò la verità, mi fu rubbato.
Servo indegno morrai. Tosto uccidete
se alcuno farà oltraggio a mio consorte
saprò con le mie man darvi la morte.
E superba t’oltraggia e ti disprezza.
Inutile sarà. Se non consenti
vieni vittima indegna al sagrifizio?
dalle tue insidie a liberar la sposa.
per salvar l’onor mio che la sua morte
la mia sposa morrà. Sazzia crudele
uccidimi se vuoi ma nell’onore
a te preme la sposa e l’onor tuo?
Sì; darei per entrambi e sangue e vita.
Questa sola cagion qui ti condusse?
A costo ancor di mio periglio estremo.
d’una sorte miglior. Chi vide mai
per l’onor, per la sposa? Un raro esempio
tu sei de’ maritati. Un raro esempio
alle spose sarà la tua consorte,
che sì facil non è come si crede
una moglie trovar di tanta fede.
Il re per quel che io sento è molto scaltro.
Il re deve saperne più d’ogn’altro.
Che rissolvi perciò? (A Xerse)
bastami sol per ricompensa al dono
che assicuri la pace a questo trono.
un’eterna amistade oggi prometto.
per Arsinoe fedel fiamme d’amore
con l’esempio del re smorzo l’ardore.
e sia la vostra fede altrui d’esempio.