tempo è ormai di ritornar.
Dal bollor d’estivi ardori
non mi viene ad insultar.
Presto, presto, son qui lesto
a far quel che si ha da far.
s’incominci a far sentir.
che il lavor s’ha da finir.
Ah sparito è il mio bel sogno;
ho perduto il mio piacer.
Vorrei dirlo e mi vergogno;
no, nessun l’ha da saper.
Son destata, sono alzata,
vengo a fare il mio dover.
che mi balza in seno il cor.
No, lasciar non mi ha voluto
Chi mi chiama? Chi mi brama?
Son qui pronta al mio lavor.
Dai sudori e dallo stento
ma chi il cuor non ha contento
Bel diletto quando il petto
non si sente a tormentar!
Dai sudori e dallo stento
Ma chi il cuor non ha contento
Bel diletto quando il petto
non si sente a tormentar! (Partono la Lena, la Ghitta, Ciappo e Fignolo)
Pace bramo e non la spero,
mi tormenta il dio d’amor.
Ah per tutto il nume altero
tende lacci a questo cor.
Vivo anch’io coi miei sudori,
ma, figliuolo, il sangue mio
non lo voglio strapazzar.
Tanto è il cuor del cittadino
quanto a quel del contadino,
la natura a tutti è madre
ed insegna al cuor d’un padre
Ah se un giorno in cor lo senti,
se tu provi i suoi contenti,
Io, sorella, un bel sposino
vo’ cercarmi e voglio amar.
v’avrei detto: «State qui».
Ora il grillo non c’è più.
Sono vecchio e sgangherato,
(Ah con tutti i mali miei
non vorrei precipitar). (Parte)
Quando l’ora è della cena,
È de’ vecchi il sol diletto
star in letto e masticar.
Qua il padrone e qua la Lena (Mettendo le salviette)
e quest’altro è il posto mio.
Signor no, ci vo’ star io.
Tu hai da star vicino a me. (A Ciappo alzandosi)
State pur dove vi aggrada.
Date qui la mia salvietta, (Prende la salvietta e si ritira)
Non badate a quella pazza.
Ciascheduno mi strapazza.
Non mi ponno più veder. (Piangendo)
Lena bella. (Con tenerezza)
Traditor? Perché l’hai detto?
Ah se a Ciappo porti affetto
dillo al padre, o figlia mia.
Vado via, non posso star.
Di’ se l’ami. (Trattenendola)
Vuoi tu Silvio? (Alla Lena)
E il tuo Ciappo? (Alla Lena)
Se un famiglio non vi spiace,
io la Lena prenderò. (A Timone)
ah mi manca il cor nel seno,
più resistere non so. (Sviene)
Acqua fresca presto, presto.
Son qua pronto. (Prende l’acqua dalla tavola)
(Il suo mal conosco e so). (Da sé)
Dove sono? Voi chi siete? (Rinviene)
sei un lupo che le agnelle
meschinelle vuoi rapir. (A Ciappo)
Lupi, cani, quanti siete,
Presto, presto la ragazza
perde il senno, divien pazza.
No, non voglio. Via di qua.
Mi conosci? Sai chi sono?
più pastori e più villani
e il mio guardo furibondo
tutto il mondo fa tremar. (Parte)
o son sciocchi o son bestiali.
E si strilla e si contende
Oh che spine in mezzo al cor!
Se son maschi, mille vizi.
Ah chi figlio alcun non ha
è felice e non lo sa. (Parte)
Ti nascondi agli occhi miei?
Torna al padre e torna a me.
Dove sei, mio bel tesoro?
Questo sol dai numi imploro,
rivederti e poi morir. (Parte)
Tiro innanzi o resto qui?
se tramonta il chiaro dì.
Ah mi pare... di sentire...
Ah mi sento... il cor tremare...
Veggo un’ombra... brutta brutta...
Sudo tutta... Sento gente...
Che sian ladri? Oh me meschina,
mi consola, non son sola,
Se hai piacer di darmi gusto,
mai d’amor non mi parlar.
Ma non fare il bellimbusto,
Non parlar con mia sorella
né mi dir ch’io son gelosa;
non mi dir ch’io sono bella,
non mi dir ch’io son vezzosa.
voglio dire ancor di no. (Parte)
far l’amore ancor non sa.
far l’amore imparerà. (Parte)
Ah mi sento un tal contento
che col labbro non so dir.
Ah nel petto ho un tal diletto
che non vaglio ad ispiegar.
Quel piacere ch’ho d’avere
L’ho cercata, l’ho trovata
Vieni o cara, vieni o bella
le nostr’alme a consolar.
Un abbraccio stretto stretto. (Alla Ghitta)
Oh che gioia, o che diletto! (Si abbracciano)
Mi consolo, o Lena amata.
Nulla a te. (Con tenerezza)
Non si piange e non si grida.
Che si goda e che si rida
è il dolor che punse il petto
tutto in giubbilo cangiar.
Stelle ingrate ai cuori amanti,
quando fine avranno i pianti?
Quando pace avrà il mio cor?
Crudo fato, avversa sorte,
dammi pace o dammi morte,
che inumano è il tuo rigor.
Vo’ soffrire e vo’ sperar
fin che fausto giunga il dì,
Se ti piace a questo patto
Guarda poi non fare il matto;
malegrazie io non ne vo’.
forse amante un dì m’avrai
ma vi fate un po’ pregar.
Superbette, quest’è l’uso
ch’io so l’arte di adescarvi
Dammi, o cara, un dolce amplesso.
Più di te non sei padrona.
Allo sposo il cor si dona.
Importuno è il tuo rigor.
Se d’amarti mi è concesso,
se son tua, se tu sei mio,
più di questo io non desio!
Deh s’appaghi il tuo bel cor.
Innocenza, sei pur bella!
Sento amor che mi martella.
degli agnelli innamorate,
voi spiegate il vostro amor.
Sarò dunque sposo invano?
Sposi voi che amanti siete,
che giungeste ad esser spose,
Tu dei far quel che dich’io.
I’ obbedisco al padre mio.
Più non c’entra il genitor.
Io comando al tuo bel cor.
Che diletto provo in petto!
Viva, viva il dio bambino,