e colla cioccolata si ristora.
Doman mattina ghe ne mando un sacco.
mandateghene un sacco ed un cassone.
Io gli regalerò la protezione.
a veder s’è venuto un forastiere. (S’alza)
degli amici ha per tutto.
ho degli amici fin nell’Indie ancora.
tutte le quattro parti ho pratticato
e voi vedrete il mio giornal stampato.
e gl’incogniti ancora a me son noti.
Son colle dame un paladin francese. (Fa riverenze e parte)
mapamondo può dirsi e calepino.
che sian dotti o ignoranti o belli o brutti,
trova madama il sopprannome a tutti.
Ho per lui della stima e del rispetto.
di distinguere il merto e le persone.
ricorrete da me, ch’io sarò pronto.
Della mia protezion fatene conto.
far la critica a tutti io non costumo
dir si potrebbe il cavalier del Fumo.
lo stato del meschin non ci è nascosto,
egli il fumo coltiva ed io l’arrosto.
mi ha fatto sovvenir che ho da pregarvi
che mangiamo la zuppa in compagnia.
per un’altra matina ad un convito.
quattro casse di vini e di liquori.
si potrebbe chiamar l’asino d’oro.
voi non la risparmiate a chi che sia.
Ditemi il mio diffetto in faccia mia.
voi siete una cosina assai compita,
avete dello spirito non poco.
Degli scherzi conosco il tempo e il loco.
a sentirmi a burlare io ci patisco.
Della vostra amistà voglio fidarmi.
Serva, signori miei; vado a scaldarmi. (Parte)
se riscaldarsi un pocolin procura,
povera Lucrezina è una freddura.
Lo lasciate partir? Che dite voi? (A donna Berenice)
Egli tutto farà quel che volete. (A donna Berenice)
Degno non son che donna Berenice
Rispondete: «Gradisco i suoi favori». (A donna Berenice)
Cara signora zia, mi fate ridere.
Eh barona ca ca ti ho conosciuto,
Siete da maritar, vi compatisco.
Tornate presto; giocheremo un poco. (A don Filiberto)
Andiam Lucrezia a ritrovare al foco. (A donna Berenice)
Serva don Filiberto. (Parte)
S’ei volesse sposar questa ragazza,
oh farebbero pur la bella razza. (Parte)
ma l’amore si scopre facilmente.
e sol da lei la mia fortuna aspetto.
che altrettanto vivesse il sposo mio
vorrei stassera maritarmi anch’io.
Qualunque soggezion mi reca pena.
La catena per me non parve amara
ma convien saper far, sorella cara.
Ma fia sempre miglior la libertà.
Questa proposizion nego a drittura.
comoda in casa sua passabilmente
può la pace goder più facilmente.
e col suo calepin dia la sentenza.
Vous jêtte man metresse trois obblissante.
Jonfraul, main Ssozz. (Vuole accostarsi)
o saprò strappazzarvi in italiano.
che in Italia vuol dir malinconia.
una nostra contesa decidete.
vivere col marito in società.
Io sostengo miglior la libertà.
Varie son le oppinion, vari i caprici,
a chi piace la torta, a chi i pastici.
come dice il furlan ciaris patronis.
e in Italia dirò... così, così.
meco godrebbe un vivere giocondo
e la farei star ben per tutto il mondo.
Fa dei linguaggi un gazzabuglio strano
ed unisce il latin con il furlano.
Ma io però me l’ho cacciata in testa,
so che ho ragion e la ragione è questa.
ma una suocera ebb’io così cattiva
che parea mi volesse mangiar viva.
in compagnia non voglio stare al certo.
Presto presto verrà don Filiberto.
Vi volete scusare e v’imbrogliate.
Non lo state a negar; voi siete cotta.
«Se volete lo sposo, eccolo qui»,
quel modesto bocchin diria di sì.
Per dirvi quel ch’io penso...
fate con esso lui l’innamorata.
non può stare lontan da quel visino.
ma so che a lei non ghe n’importa un fico.
Se sapeste di voi quel che mi ha detto.
Per voi si sente abbrustolare il petto.
Vorrei sentirlo a confermar da lei.
siete da maritar, che male c’è?
Via, non abbiate soggezion di me.
Son per fortuna mia libero ancora.
Non è ver, Berenice? Ella è così.
non ha detto di sì. (A madama)
Voi non capite il favellar degli occhi.
voi potete parlar liberamente.
Questa razza d’amor non la capisco. (Parte)
quel che il core mi punge è Filiberto.
Parlerò, svelerò l’interno affetto.
di cotesta mia zia la genitrice.
Sì sì, col mezzo suo sarò felice.
Sì sì, ci rivedremo domatina.
Dica pur quel che vuol l’impertinente.
Se la vedo morir, non le do niente.
Ella vuol stare a favorir da noi?
Le cerimonie non le stimo niente.
quando in casa non si ha con che mangiare.
mettere si vorria con un mio pari.
questo dell’amicizia è il rande vous.
Don Filiberto non si vede ancora,
possiam giocare e divertirci un’ora.
No, non è gioco da conversazione.
fare un hombre e un pichetto.
(Se perderò, come farò a pagare?)
faranno all’hombre una partita in tre.
Non ho un soldo in saccoccia).
del prezzo delle puglie disponete.
A me piace giocar pour amitié.
Basta un soldo alla puglia.
La spadiglia obbligata infino al cento.
Noi di quanto giochiamo? (A don Fabio)
(Fortuna al tuo favor mi raccomando). (Facendosi il ritornello dagli strumenti frattanto si danno le carte)
Datemi la mia spada e il mio capello.
Fol capello, fol spata per andar?
Non cercare di più; voglio andar via.
Subite mi servir fossignoria. (Va per la spada e per il capello)
sentir che dall’amor di Berenice
e che veggassi a lei seder vicino.
Tenete. (Le dà la mancia)
Ringraziar fossignoria. (Parte)
Ho rissolto così; voglio andar via.
Ma io colpa non ho, datevi pace.
sedere a lui vicino. Ah lo sapete,
per eccesso d’amor geloso io sono.
Via, non lo farò più; chiedo perdono.
Via resterò, per compiacermi ancora.
Troppo questo mio cuor v’ama e v’adora.
Ritornar mi vergogno. I convitati
onde al ritorno mio dalla brigata
dubito di sentire una risata.
Dite davvero? Povera innocente!
tutto so, tutto vedo e tutto intendo.
E il vostro cuor di consolar pretendo.
Adorabile zia, non so che dire.
È vero; arde il mio cor d’onesto affetto
e sol da voi consolazione aspetto.
Farò per lor quel che vorrei per me.
meglio non ne ho bevutto in vita mia,
ei m’ha messo in vigore e in allegria.
È perfettissimo. (Traballando un poco)
alterata col vin la luminaria,
siete fuori venuta a prender aria.
Io? Cospetto di Bacco! Io son sanissimo.
Sono stato capace a’ giorni miei
fare a chi beve più. Ciascun di loro
ed io forte restai qual sono adesso. (Traballando)
due fiaschi d’acquavite e in Alemagna
quattordici bottiglie di sciampagna.
questo stomacco mio si tranguggiò
un barile di vino di Bordò.
che poteva bastar per un congresso
e pur sano restai qual sono adesso. (Traballando)
Saldi, signor, non mi cascate adosso.
So quel che io faccio e traballar non posso.
Ch’egli beva di più voglio impedire. (In atto d’andarsene)
il progresso a impedir dei sdegni suoi.
e vuo’ da tutti due soddisfazione.
Via dunque con Sandrin fate la pace
passerem la giornata allegramente.
Sì, me la pagherai. (Verso la scena)
E chi son io farò vederti or ora.
ogni tristo pensier vada in oblio.
Non si tratta così con un par mio.
Mi ha perduto il rispetto.
contro quell’umiltà ch’usar costumo,
disse ch’io sono il cavalier del Fumo.
codesta un’insolenza non si chiama
perché ha detto lo stesso anche madama.
Non si tratta così la nobiltà.
son le mie parentelle al mondo note.
e la signora nonna baronessa.
M’inchino riverente alla gran donna
di sì gran cavalier nonna e bisnonna.
o se dica davvero. Ma che importa?
Facciano il lor dovere e mi contento
che lo facciano ancor per complimento.
precipitar con questo animalaccio).
(Eccolo qui quel brutto villanaccio).
Badate ai fatti vostri, io bado ai miei.
Voglio sedere anch’io. (Siede)
Con licenza, signor. (Gli volta le spalle)
Padrone mio. (Gli volta le spalle)
(Andarsene potria; se vien madama,
vorrei star seco, senza soggezione.
Non vorrei che vi fosse quel buffone).
Quando mai se ne va l’ignorantaccio?)
Ehi! Lacchè. (Viene un lacchè ben vestito)
Vuo’ sentire. (Si volta un poco)
portati immantinente. Il mio burrò
d’orologi, d’astucci e tabacchiere. (Parte il lacchè)
(Andarsene dovria per non vedere). (Parla di don Fabio)
(Quel villanaccio si vergognerà).
l’albero di don Fabio e le radici
e i suoi ritratti colle sue cornici. (Il lacchè parte)
fa’ che le genti corrano di trotto
a vedere Sandrino a far casotto.
se, qual siete voi, fossi un buffone. (Si alza)
il caffè, le bottiglie ed i licori.
Favorite sedere e ognun si servi
Ed io piuttosto un bicchierin di vino.
Che si serva ciascuno a suo talento.
Ed un bicchiere a madamina ancora.
À buer à buer, allegraman.
Che si beva e si canti alla santé
diteci qualche nuova canzoncina.
Che si tornino a empir prima i bicchieri. (Torna a riempire i bicchieri)
diteci una canzone bolognese.
Non mi faccio pregar. La canterò.
venite ignorantissimi scolari.
voglio trattarvi come meritate.
Qualche cosa di bello in verità. (Viene il lacchè colla cesta di galantarie)
Così è, figliuoli miei, la genitrice
acconsente alle nozze e voi potete
sono pronto a sposarla in sul momento.
Rimessa è in voi la volontade mia. (A madama)
Tutto quello farò che vuol mia zia.
come in scena si fanno i matrimoni.
Bravi, bravi davver, viva l’amore.
nella festa da ballo allegramente.
ora che Filiberto è mio marito.
alla vostra bontà sono obbligato
e chiamare mi posso fortunato. (Parte)
Berenice alla fine è maritata.
senza un simile impiccio, in libertà.
e credo che ciascuno si travesta
per venir mascherato sulla festa.
e Giacinto e don Fabio con Sandrino
vado a far preparar per il festino. (Parte)
vuo’ che alla turca il vestimento sia
e immitare la lingua di Turchia.
sian don Fabio e Sandrino mascherati.
vuo’ veder se s’inganna il mio pensiero. (Si ritira. Don Fabio e Sandrino cantano «La carciofola»)
possono divertir tutto il paese.
ed or son lesto come un paladino.
e potrete ballar con maggior brio.
Ah madam pour la danze non vi è un par mio.
Io ballo il minuetto alla francese.
E maestro son io nel ballo inglese.
Il ballare mi piace estremamente.
di lasciarmi veder quel che sapete.
Fatevi onore. (Si suona il minuetto e fanno la riverenza)