del mio sangue real, benché bastardi,
soldati, eunuchi, popolo, canaglia,
udite il mio commando; oggi ciascuno,
se brama il mio favor, parli italiano.
tu ancor devi obbedir e se ostinato
io ti farò cacciar un palo... Basta.
M’intendesti? Raffrena il pazzo orgoglio;
io son Albumazar e così voglio.
perché bolir che nu parlar taliana.
una donna italiana, onde vogl’io
che per darle piacer nel suo linguaggio
ciascun le porga riverenza e omaggio.
Alachalabalà... No no, perduna,
mi aver lingua fallata. E chi star questa
(Uhzchaimakan). Che dir? Voler ti schiava
crear nostra patruna? E che bolir
delli sudditi miei rendermi schiavo,
taci, così ho rissolto, anzi m’ascolta.
per il tempo preterito già usata
e voglio che si taglino i mustachi,
per far all’idol mio tanti penachi.
(urchibinachabai) fazzia vendetta.
Che matto amor. Che novità star questa!
Mi pagherai l’ardir colla tua testa. (Sfodra la sciabla)
Ecco la bella mia che a me sen viene,
col sangue di costui reccarle noia,
vatti a far ammazzar per man del boia.
il monarca d’Oriente umiliar brama
dinanzi a te la coronata fronte.
fece piaga mortal la tua beltade.
mi meritava el titolo d’altezza.
sarai di questo impero, oggi le chiome
tu fregierai del glorioso segno
cui la suora del sole impose il nome.
in grazia tua far che il mio regno tutto
dell’idioma italiano oggi si servi.
Io voglio come s’usa alle reggine
coronar colla luna il tuo bel crine.
Un strolego dasseno me l’ha ditto
che doveva trovar una fortuna
in dove che se venera la luna.
soglio e trono in Turchia vol dir l’istesso.
Sì mia cara, non più, dami la destra.
La diga, caro sior, mo quala xella?
basta però che tu mi doni il core.
ho visto un caidalatte e dalla voggia
gh’ho lassà suso el cuor.
non sdegnerei di trasmuttarmi in vacca.
Za che la gh’ha per mi tanta bontà
commandarmi tu puoi, pregar non dei.
M’è stà ditto per certo che in Turchia
non se possa magnar carne porcina,
mi ghe son matta drio, onde la prego
col magnarghene un poco alla mia usanza.
Via tu sarai contenta; andiamo al trono,
di stringerti al mio seno; oggi Bisanzio
alla nuova mia sposa il capo inchina.
Largo, largo patrone alla reggina.
mi aver fatto gran presa, aver trovada
con tanto bel musin che parer stella.
Via sior Albu... No m’arecordo el resto.
Sì sior Albumazar, via cossa femio?
Aspetta ancora un poco, ove si trova?
ma star a to commando. Oh se ti vedi
che Mirmicaina no valer un petto.
Ho desio di vederla, è forse questa
s’ella più di costei mi sembra bella
io rissolvo lasciar questa per quella. (In atto di partire)
aspetta ancora un poco e tornerò.
pol anch’esser che mi più no ve voggia.
il tuo core per me saria lo stesso.
Orsù l’aspetterò ma voglio intanto
provar se saverò far da reggina.
Voi sentarme un pochetto, oh che cussin
morbido e molesin, fin che l’aspetto
poderave quassù far un sonetto.
Uhi Mirmicaina no me cognossir?
Cos’è sta Mirmicaina? Che maniera
xe questa de parlar? Oe dime, avemio
el cebibo magnà forsi in baretta?
Perché star in favor de gran segnure
aver tanta superbia? Ti star schiava
mi aver cambià to nome; Mirmicaina
adesso star ma prima star Fiorina.
Quel che xe stà xe stà. Mi son reggina.
Via, se ti star reggina e mi aver gusto
che mi te voler ben, che Ruscamar
so cor per amor to sente brusar.
adesso che mi son reggina in regno
de sta zente incivil più no me degno.
a trattar da reggina? Figuremose
che vegna un cavalier e ch’el me diga:
alla so cara grazia», mi bisogna
«La me commanda inte le congionture,
la reverisso infina alle gionture».
Vardé che maestà, vardé che grazia!
propriamente son nata per el trono.
Temerario star ti; perché bollir
e di più non ardir di ricercar.
e mi testa voller taggiar a ti. (Sfodra la sciabla)
Ti seguirò, t’ucciderò, ribaldo
voglio svellerti il core, ohimè che caldo.
mi davanti de ti farò vegnir.
qual più grande mercé tu bramerai.
e Mirmicaina no bollir, te prego
Mirmicaina donar per moggier mia.
Mi te mando Lugrezia in sto momento. (Parte)
quella al certo è Lugrezia, al portamento
la grandezza dell’alma io ben comprendo,
la pace mia da questa diva attendo.
ch’ha fatto nel mio sen piaga mortale.
m’ha fatto di rossor tinger le gotte,
all’onesto cuor mio vuoi mover guerra,
chinerò per modestia i lumi a terra.
chi sei? Donde ne vieni? E qual destino
a Bisanzio ti guida? È tua elezione?
Dimmi e innarca per stupore il naso.
Di Lugrezia romana i strani casi
uditi avrai; io quella sono, io quella
che da Sesto Tarquinio assassinata
ho fatto senza colpa la fritata.
s’ammazzò per non vivere... eccetera?
Ammazzarmi! Marmeo! Non fui sì matta,
ed il ferro mostrai di sangue sporco
ma quell’era, o signor, sangue di porco.
Brava, lodo il tuo spirto.
dolce marito mio confidai tutto,
che se io sono martin non sarò solo».
Oh dell’età vetusta eroe ben degno!
minacciava ruine e messer Bruto
ne vollea far di belle, onde rissolto
abbiamo fra noi due fuggir gl’intrichi
e salvare la panza per i fichi.
quando mi sopragionse un certo male
con dolori di ventre così attroci
che quasi mi pareva esser incinta,
ma tutto alfine si disciolse in flato.
Venne la notte ed un sopor soave
ci prese entrambi; e tutti due dormendo
ci trovassimo in mar non so dir come.
e fatto il legno mio scherzo dell’onde
il mio intrepido cor non si confonde.
la getto in mar. Prendo la mia camiscia
al pilischermo mio formo la vela.
e colla spada sua forma il timone.
Colatin più non vedo; e la sua morte
pianger io degio. Ahi rimembranza! Ahi sorte!
essalai semiviva un sì gran vento
che si sentì nel vicin porto. A questo
l’armiraglio sortì, venne, mi vidde,
mi prese, m’asciugò, mi pose in letto,
cosa poi succedesse io non lo so.
Bella non dubitar, giongesti in loco
dov’è il consorte mio? Chi me lo rende?
Dove rivolgo adolorata i passi?
Mi vuo’ romper la testa in questi sassi.
che cangiare farà l’empia tua sorte.
Come tu mio consorte! Ah non fia vero!
Giurai... (Ma che giurai? Che fo? Che penso?
lo stato vedovil poco mi piace).
Via signore farò quel che ti piace.
Dammi un amplesso almeno.
Offender non vorrei la mia onestà.
Offender l’onestà con suo marito!
libera qual credea; vivo un marito
figlia del Culiseo, femina onesta.
Olà; tagliate a Colatin la testa.
il decreto bestial; mira a’ tuoi piedi
delle viscere tue visceronaccia.
per questo sen ch’in candidezza agguaglia
la testa in grazia tua, bella, gli dono.
sentimi, a questo patto io mi riduco
o ch’egli parta o che si faccia eunuco.
Il doverti lasciare, il farmi eunuco
avanti sera ei ti darà risposta.
Questo tempo gli do per amor tuo.
giuro di non far torto al matrimonio,
qual novella Cleopatra a Marcantonio.
Ahi mi si spezza il cor! Che fier tormento!
che vuoi far di colui? Tu granda e grossa,
egli piciolo e magro, in fede mia
non potrà farti buona compagnia.
da Colatino non puoi aver niente,
io, gioia mia, se la tua grazia impetro
io potrò darti la corona e il scetro.
Come el scetro a culia? Me maraveggio,
Donca, patron, volé mancarme adesso?
che non sa che si dica. Olà t’acchetta,
a Lugrezia mio ben la fronte inchina,
quest’è, se non lo sai, la tua reggina. (Parte)
la reggina vu sé de gnababao.
Un canelato a me? Femina sciocca,
Mirate là che sacco mal legato.
Mirmicaina crudel m’ha mezza orbata.
la metà di quel sol ch’in te scintilla?
temo che non mi venga un cancherino.
Farò pian piano, (Gli leva il bolettino)
allegra anima mia, che l’occhio è sano.
Ma dimmi, anima mia, nelle sventure
non ho sulla mia pelle alcuna rappa,
son bella, tonda e grossa e non son fiappa.
dal naufraggio commun come sortisti?
A un timon di gallera io m’attaccai
là dove sta delle immondizie il vaso.
Tremo da capo a piè per il timore,
guai se no avessi di romano il core! (Si ritira)
s’io credessi per lui gir in gallera.
questo core divenne un mongibello.
ed io ti dono colla destra il regno.
Lo dissi, o parta o eunuco.
Dimmi, fra questi due consigli estremi
un consiglio miglior non puoi trovare!
un pretesto badial convien trovare).
senza il consiglio delli dei rissolver.
Lascia ch’io vada nel romano idioma
Per fuggir neh caretta! Oh che gran birba.
(Vuo’ deluder anch’io l’arte con l’arte).
Ancor noi veneriam Veneri e Giovi
il foco abbiam per arrostir i bovi.
quello ch’egli dirà dirò ancor io.
(Farò parlar il nume a modo mio).
indi al tempio t’aspetto.
prima d’esser infida al mio consorte.
non voglio usar contro costei la forza.
Alle cotante deità sognate
una ne aggiungerò colle mie mani.
i faggiuoli m’han fatto il ventre grosso.
Ahimè! M’ho quasi mezo spiritato.
Al licet o signor io ero andato
e mi son colà dentro addormentato.
Presto vanne ancor tu, la dilazione
ti potrebbe causar qualche gran doglia.
M’hai fatto pel timor scapar la voglia.
e colà il tuo destin tu saperai.
la beltà della moglie è un gran malanno.
questa volta Lugrezia non mi scappa.
Son per el vostro letto destinada.
Vu tasé coffà un minchion?
Si vederà se il mio dovere adempio,
venite entrambi a ritrovarmi al tempio.
che le sole moschee di Maumetto.
Un altro tempio vederete eretto.
e per or fra di voi cessi la lite.
Per stavolta ti pol licarte i dei.
peraltro tanto no ti me despiasi.
Son tanto di natura tenerina
che sto turco meschin me fa peccà,
se mi podesse far tutti contenti
no ghe saria nissun desconsolà.
E ti pretender deventar sultana?
Come! Me l’ha promesso Albumazar.
e po a tutte colù far tagiar testa.
Cazza dall’acqua! A tutte tagiar testa,
vaga, che saverò la sorte mia.
Al tempio? No ghe star tempio in Turchia.
che no ve credo un bezzo!
presto ti vederà se star così.
se vaggo posso deventar reggina
ma posso anca morir. Se resto ho perso
Proprio me sento in petto el cuor confuso.
Che musica arabiata è mai cotesta?
Perché non seguitar nostro costume?
Sciogli le voci in riverenza al nume.
ma se deggio immitar il tuo parlare
certo mi sembrerà di bestemmiare.
la carta ove stan scritte a chiare note
le mie preci divote; in questo foglio
uno stil leggerai che l’alme incanta,
Lugrezina mio ben prendilo e canta.
Basta, m’ingegnerò, dammi quel foglio;
oh che gran scaraboti! Ohimè, che imbroglio!
deve il nume parlar, tu prima dunque
ch’indi noi tutti ti verremo dietro.
(Ah Lugrezia, che fai, non questi riti,
Giove superno e i nostri numi irriti).
(Questo è nume o non è, se non è nume
secondare costui poco mi costa.
com’è nostro desio darà risposta).
Via Lugrezia, che stiamo ad ascoltarti.
(Oggi colla pietà voglio ingannarti).
Cossa xe sto ziggar? Coss’è sti urli?
quando volé cantar, cantemo insieme.
spero, se non s’oppone un qualche ostacolo,
la risposta ottener dal nuovo oracolo.
(Pavento il fato estremo).
(Dall’angossa che gh’ho tutta mi tremo).
del cielo, della terra o dell’inferno,
tu nascondi il tuo nome e i pregi tuoi,
Umil ti porgo le mie preci in voto,
piacciati il tuo voler di farmi noto.
(Schiavo siora maestà, schiavo sior trono).
contro il giusto voler de’ sommi dei.
quest’è la vera spiegazione sua:
sposa di Colatino ma non tua.
Sì da donna d’onor questa la godo.
chiari udisti testé del nume i sensi;
fa’ che il nume medemo ti dispensi.
io ti prometto i miei capelli in dono.
Chi star nume? Chi star questo oraculo?
s’avanza l’ardir tuo? Giungi superbo
Kalamà dobrair, sciulà fakai. (Dà una botta colla sciabla all’oracolo, il quale si spezza e sorte fuori un turco che resta spaventato e nel vederlo tutti fanno un atto d’amirazione e Maimut parte)
Questo d’Albumazare è un tradimento.
questa è una mia invenzion; per ingannarvi
finsi ma nel mio cor non l’adorai.
Maimut mi tema; io già di sdegno abbondo,
oggi farò tremar Bisanzio e il mondo.
il tempo di dormire è ormai vicino
e ancora non si vede Colatino.
io certo non vorrei, perch’ho paura;
se non vien Colatino a riscaldarmi.
Alla voce mi sembra il caro sposo.
Sì mia diletta. (Come sopra)
Colatin coi mustachi? Ahimè son morta.
vengo qual più mi vuoi tuo servo o amante.
onde acciò che di me più non ti caglia
vatene, passa il mar, pugna e travaglia.
teco voglio sfogar le ardenti voglie.
Voglio, contro il voler de’ giusti dei?
in una statua con inganno eretta
quel che viene a vuotar la tua seggetta.
E ben che importa a me che sia scoperto?
Quel che aver non potrò colla dolcezza
la pudicizia mia veggo in pericolo).
o ch’io colle mie man ti squarcio il petto.
O ceder o morir? Che far degg’io?
(Roma che dirà mai? Che dirà il mondo,
Eh Lugrezia rissolvi, animo e core.
Si mora, sì, si mora... Ma si mora?
che il morire mi sembra un brutto gioco.
Eh lascia di pensar; vieni superba,
pensa se vuoi pensar, muori se vuoi.
Assassin, traditor, lasciami.
non profanar colle tue man cagnine
le mie carni innocenti e tenerine.
Ahimè la testa, ahimè le treccie ahimè.
Voglio a dispetto tuo che mi contenti.
Traditor, assassin lasciala star.
non voglio che di lei facci strapazzo;
o lasciala in sto punto o ch’io t’ammazzo.
amico di lasciarla son contento.
(D’un romano il valor mi fa spavento).
Vi ringrazio di core amici dei.
ch’io qual nochier gionto sicuro al lido
delle tempeste tue mi burlo e rido.
Sodisfazion dal sangue tuo pretendo.
Che dici Colatino? Io non t’intendo.
vendicarmi vogl’io di quell’affronto
che tu facesti di Lugrezia al seno.
(Oh se venisser le mie guardie almeno!)
Vivi, vivi meschin, che il ciel ti guardi.
Che far? Albumazar, no aver coraggio
Ti svergognar cusì nostra nazion?
Lassar che batter mi, porco, poltron.
a te lascio l’onor del gran cimento. (Via)
zelante dell’onor, la spada impugna
e proseguisca fra di noi la pugna.
Al primo colpo mi te tagiar testa. (Impugna la sciabla)
tropp’è sproporzionato alla mia spada.
Combattere vogl’io con arma eguale.
st’altra mi piglierò spada da viaggio. (Prende la spada dal tavolino)
Diffenditi se puoi, bruta figura. (Si battono)
per sottrarmi per ora dalla morte).
venirò, tirerò ma rinfrescarmi
voglio, se ti contenti. Ho qui un fiaschetto
di prezioso licor; se tu ne vuoi
beverne a tuo piacer meco tu puoi.
Vina? Sciarapa? Uhraza kama kan!
Prendilo pure. (Gli dà il fiasco)
Star bello! To salute. Oh star pur bon. (Beve)
Basta, basta non più ch’è troppo bello.
Lassa lassa bever caro fradello. (Beve)
sia benedetto il sugo del bocal.
Sento testa svolar. (Scapuza)
Tener la spada in man non puoi?
Mi no poder? Mi star brava soldada.
Ma il vin t’ha fatto mal.
A mi. (Tira e vuol cadere)
Mi fai pietà, l’armi lasciamo
propriamente descorrer sul proposito...
Mia rason che te dir... perché star omo...
De to vin che me dar mi te n’in... stago.
Allegramente un poco voler star.
Mi volera cantar, voler ballar.
con l’invenzion del vino io l’ho scapata.
è divenuto tosto pusillanimo,
per la forza del vin perduto ha l’animo.
vanno senza rimedio in precipizio.
Una sleppa de donna star onor
Quando la xe cusì voi onorarte. (Gli dà un schiaffo)
Chi dasseno vuol ben tutto sopporta.
Aver ragiuna, far quel che ti vol,
(Un po’ de spasso mi me voi cavar).
Senti, se ti me vol per to muggier,
convien farme un servizio.
tutto per ti, caretta, voler far.
Presto forfe trovar, voler tagiar.
Per ti gh’ho tanto amor, gh’ho tanto zelo
che te i vogio cavar pelo per pelo.
Ogni pelo ben mio che caverò,
un suspiro de cuor te donerò.
e mustachia cavar, mustachia tira.
se posso raffrenar cotanto orgoglio.
Eccomi, che pretendi, o mamalucco?
Non ti ricordi la canzon del cucco?
Superba, se tu ostenti crudeltà
io ti voglio cuccar come che va.
di queste membra mie? Dimmi crudele,
vuoi tu contaminar la mia onestà?
qual pudico armelin voglio affogarmi.
(Uh che rabbia che provo!)
disarmate, soldati. Tu credevi
ma solo non son più com’ero allora.
Misero Colatin, cara consorte,
altra speme non v’è fuor che la morte.
Via sior Albumazar aveu rissolto
già sai che il volto tuo più non mi piace.
Za che ti xe con mi pezo d’un can
mi me voggio mazzar colle mi man.
Donca voler morir, morir seguro.
che per far una cosa da par mio,
se morirete voi morirò anch’io.
Mi voi esser la prima, co sto stilo
za me trapasso el cuor...
esser primo a morir. Questo veleno
delle sventure mie fido compagno
precederti mia vita; questo serpe
custudito da me darammi morte?
Già me l’attacco al sen...
a me tocca fra tutti il primo loco,
io con questo diabolico stromento
mi che de tutti star più desperà,
Donca aspettar voler morir un altro. (Via)
Anca mi vol morir con questo pallo.
Passa, stilo, ma no ti ponzi troppo.
Mi voler impallar ma questa ponta
El pensier de morir lassar andar.