Metrica: interrogazione
440 endecasillabi (recitativo) in Le pescatrici Venezia, Bettinelli, 1752 
                                    Io bado al mio.
Sì, mirate di voi quanto più vaglio;
poco manca a finire il mio tramaglio.
Altre reti, altri lacci, altri lavori
formar vogl’io per allacciare i cuori.
Senza ch’io m’affatichi a gettar reti
vengono i cuori a me placidi e lieti.
                                    (Che massima follia!)
Di far preda de’ cuori è gloria mia. (Ognuna da sé)
in segno dell’amor che per te sento,
un mugine ancor vivo io ti presento.
saltellante, guizzante ecco un’ombrina.
il tuo mugine bel quanto mi è grato.
questo pesce gentil quanto è bellino.
Mangialo, vita mia, con oglio e sale. (A Lesbina)
No, poverino, non gli vuo’ far male.
                                     Questi è migliore.
Io son, io sono un pescator valente.
quanto di te più consolata io sono!
in sapor, credi a me, non ha simile.
Mezzo il mio non darei per tutto il tuo.
State zitte; ciascun si tenga il suo.
Feci pesche minori e più pigliai.
ognuna fatto avrà le parti sue.
                                          Ed io non cedo
dove il pesce miglior si possa avere.
ambe piene d’ingegno, ambe felici.
Ma io benché non paio tanto scaltra
scometto che ne so più di quell’altra.
io non getto il mio tempo a l’esca mia.
Pescatrice miglior di te non fia.
e fra le prede tue conti il mio cuore.
il tuo cuore è un grazioso pesciolino.
                              Ma a poco a poco
morrà nell’acqua e sarà cotto al foco.
Cadrò dalla padella nelle brace.
                                              No, mia vita.
Questo mio core è tuo. Tu l’hai pescato.
Mangialo come vuoi, fritto o stufato.
avrò di lui pietà ma non per questo
di tentar altre prede ancor m’arresto.
tanto suole in un cor viver l’amore.
vuo’ nel mare d’amor pescar più cuori.
e voglio divertirmi un po’ a cantare. (Siede, lavora e canta)
Oh cara libertà quanto sei grata!
Tenga pur fra catene oppresso il core
chi è vassallo infelice al dio d’amore.
sotto di questo ciel placido e ameno,
se gl’inganni d’amor provaste meno.
A che cercar dagl’incostanti petti
Questo mar, questo lito e il bosco e il prato
innocente piacer non reca e grato?
Lungi, lungi dal mio libero cuore
folle piacer del faretrato Amore.
che nemica d’amor sempre ti veda?
Padre, io cerco predar, non esser preda.
Dolce cosa non fia perdere il cuore.
Si cambia e non si perde il cuore amante.
Può cambiarsi il fedel coll’incostante.
Figlia, vecchio son io, vorrei vederti
Pria di morir, bramate voi mia morte?
e di quanto mi fa lieto e felice
                               Eh non temete;
che non mancano mai gl’eredi al mondo.
Ma tu sola restare, abbandonata...
Megl’è sola che male accompagnata.
se l’origine tua nota a te fosse,
de’ vili pescator gl’amori abietti,
perché brama il tuo cor nobili oggetti.
credi ancora esser nata e se mi chiami
con il nome di padre, ah perché mai
non s’accendon d’amore i tuoi bei rai?
tremo del tuo destino... Ma qual gente
Vengano pur; qui d’amicizia è il nido.
franchi posar su queste arene il piede?
da noi soccorso ai passagger si presta.
renderà in sì bel giorno alcun beato.
                                             No; ragunate
pescator, pescatrici, uomini e donne;
voglio a tutti parlare. A tutti in faccia
e spero ben di non scoprirlo invano.
Questi peli canuti e questa barba
                                            Sospendete
il curioso desio. Quanto più presto
sarà l’arcano mio tosto svelato.
noi uniti vedrete, ove si chiude
cinta d’alberi folti ombrosa valle.
Siam pochi abitator di queste arene.
spero mi costerà. Ma reso ancora
sollecito sarò più dell’usato,
dalla curiosità spinto e spronato.
Or che l’usurpator prence tiranno
a render manca i sudditi felici.
posso aspirar del principato al seggio,
fra speranza e timor dubbioso ondeggio.
                                                Io sento
dal desio di saperlo alcun tormento.
di veder lo straniero arde il cuor mio.
provo al mio cor, poiché a quest’ombre uniti
in perfetta armonia ridenti io veggo.
                                         Eccomi; io seggo.
un insolito ardor mi desta in petto).
Taci. (Un volto più bel non vidi mai).
Lasciami star. (Son dal piacer sorpresa).
(Non vidi agl’occhi miei luci più grate).
tolse Oronte tiranno e trono e vita.
da man pietosa al traditor celata.
Or che Oronte morì, che vuoto è il soglio,
che quell’unica erede allor serbata
ci assicura fra voi viver celata.
esamini in altrui ciascuno il vero.
per ricondur la principessa al trono.
(Posso la principessa essere anch’io).
                                  (Svelar potrei
in Eurilda gentil la degna erede
ma al labbro di colui mio cor non crede).
(Questa cosa mi pone in gelosia).
sospeso a’ detti miei? Orsù m’udite,
viemmi a svelar la principessa ignota
e chi segue a tenere il ver celato
il furor proverà d’un braccio irato. (S’alza)
Voglio prima scoprir se v’è l’inganno). (Parte)
d’una nuova lusinga or si compiace.
Perdo, ahimè, del mio cor l’antica pace. (Parte)
Io credo ch’ella sia poco lontana.
credi ch’ella a scoprir s’abbia a drittura?
Certamente il mio cor me n’assicura.
                                                 Non ha brio.
                                      Altre non trovo
                                     Ed io vi sono.
a drittura mi scaccia e mi disprezza?
Voglio ricompensar la sua finezza.
buscarmi il premio e castigar Nerina,
il bell’onor di diventar sovrana.
                                          Ancor non vedo
(Ecco il tempo opportun per vendicarmi).
a cui la bella sorte il ciel destina,
è quella che fra noi nome ha Lesbina.
                                        Il padre mio,
che la fece passar per mia germana,
a me pria di morir lo ha palesato.
                                         Appunto.
                                                             È bella?
                                               È spiritosa?
Ha spirto grande? Ha nobili pensieri?
Sembra figlia di dieci cavalieri.
                                    Bene... Ma dico...
Dico... Vusignoria mi puol capire.
A me poco signor piace il futuro.
un ovo che domani una gallina». (Parte)
a respirar. Se il ver costui mi dice,
alla patria tornar potrò felice.
se posso di Lesbina vendicarmi).
                                         Riverisco.
quella ragazza ch’è da voi cercata.
                                        Signorsì.
ma la vostra non so se sarà quella.
È vero. Era quel vecchio il padre mio.
                                          Oibò, Nerina.
                                                   Il padre mio...
Sì signore è così come dich’io.
Me l’ha detto mio padre in testamento.
                                      A me credete.
Le si vede negl’occhi il principato.
(Scoprasi il vero e ci proveda il fato).
per la canuta età degno di fede,
ch’io vo cercando in quest’ampia marina
esser possa Lesbina ovver Nerina.
Non signore, non è questa né quella.
Io la conosco. Eurilda ella s’appella.
in custodia da quel che l’ha rapita
e l’ho sinor qual figlia mia nutrita.
un Lesbina gentil, l’altro Nerina.
Cercan far bene alle germane loro.
Come! Siam noi fra genti triste e ladre?
Germani quelli son, voi siete padre.
perfidi mentitor tutti voi siete.
                                       Orsù ciascuna
vogl’io veder; (dagl’atti e dal sembiante
qualche cosa scoprir mi fia concesso).
V’attendo uniti alla gran fonte appresso. (Parte)
la felice occasion d’esser beata
sei dalle triste genti assassinata.
(Dove diavol sarà?) (Cercando per la scena)
                                       (Costui chi cerca?)
                         L’avete voi veduta?
                                      Mia sorella.
Presi per mia germana un’asinella.
                                  Voglio... Tacete,
                                     Volete forse
nuovamente inventar qualche bugia?
Voglio, voglio... Il malan che il ciel vi dia.
Il diavol l’averà portata via.
                                 Sì, anderò...
                                        Se io la vedo
                                                 Sì.
                                     Dite così.
per concertar qualche bugia novella.
Eurilda certamente è in gran periglio
Vogliono farla a me? Poveri allochi!
Tutti a servir vi prenderò con noi.
Ed io starò a seder senza far niente.
Ah se poi m’ingannassi? Ah non v’è dubbio,
pieno di sangue nobile ho le vene,
che di nobile amor io sono il frutto
e sento che son io nobile in tutto.
E chi è costei sì vagamente adorna?
Assicurar la mia fortuna io spero.
abborrisco il mestier di pescatrice.
                               Lesbina.
                                                 La germana
Son passata sinor per sua sorella.
                                 Non lo credo almeno,
e non posso soffrir di far fatica.
esser potrebbe ancor poltroneria.
mi sento consolare. Oibò non posso
soffrire i pescatori; eh che si vede
ch’io nata sono in qualche nobil cuna
oltraggiata così dalla fortuna.
un certo non so che di stravagante?
Dal mio stato al mio cuor v’è del divario.
                                     Non ancora.
non so che dir... Son tutte pescatrici
                                       Il cor mi dice
che io nata non sono pescatrice.
sia la donna protetta dagli dei. (Nerina con seguito e vagamente adornata scende dalla collina a suono d’allegri strumenti)
a quell’altra nel brio tutta simile).
(Ecco quel che può fare il mio destino).
                                            A voi m’inchino.
                                       Signor no.
                                           Io non lo so.
                                      In questo mondo.
Posso io saper dove voi nata siete?
Signor, quel ch’io non so voi mi chiedete.
                                           Io son Nerina.
Non siete voi germana a Frisellino?
Tal sinora mi fece il mio destino.
che dell’essere mio si scopra il vero.
                                           Ch’io quella sono
che voi cercate per condurre al trono.
                                            È molto tempo
d’una vita vulgar mesto e scontento.
nulla mi dà piacere e solo quando
odo parlar di scettri e di corone,
mi sento giubilar dall’allegrezza.
che abbia nel volto suo aria da impero.
non dico per vantarmi, come il mio.
Talvolta è vanità che ci lusinga.
deesi condur l’erede naturale,
non voglio col tacer farmi del male.
che s’io avessi lo scetro or gliel darei).
vi darò mezzo il principato mio.
le lusinghe di donna aspre e fatali;
e s’arrendono i cuor deboli e frali.
ma ingannar non mi lascio; ed oggi io spero
coll’aiuto del ciel scoprire il vero.
Se parli il core o l’ambizione in loro
temo quello ch’io vedo e quel che ascolto.
misera, al cor mi sento? Io non ho pace
dacché giunse Lindoro a queste arene.
Or m’inquieta il timore, ora la spene.
lusingarmi potrò d’essere io quella?
Qual merto, qual ragione? Eh, ch’io son folle.
il desio di regnar m’ange e m’affanna.
per fasto o per invidia avrà mentito.
(Io di farti del bene ho proccurato). (Piano a Lesbina)
(Vedrai che il principato sarà mio). (A Frisellino)
(Eh di tanta fortuna io non son degna). (A Mastricco)
del grato cor voglio offerirvi un segno.
un’aurea tazza ed un argenteo vaso,
e non lieve porzion d’aurei contanti.
con cui dal seno l’ultimo respiro
Oronte trasse al prence Casimiro.
                                         Ed io la tazza.
Ed io per parte mia prendo i denari.
questo ferro a serbar di gemme ornato? (Lo prende in mano)
Questo ferro per me fia riserbato. (Glielo prende di mano)
ma un’incognita forza a lui mi chiama.
svegliar mi sento da quel sangue in seno.
Ahimè! Chi mi soccorre? Io vengo meno. (Sviene)
Eurilda, oh dio! Eurilda. Apri le ciglia.
(Ah che costei di Casimiro è figlia.
questo affetto che in lei desta natura). (Da sé)
Ecco ch’ella rinviene, a poco a poco.
In donna lo svenir sovente è un gioco.
                                              Eccomi.
                                                               Oh inganno,
lo volesse svenar. Ma voi non vidi,
Veglio o ancor dormo? Oimè, sogno o ragiono?
Dove stetti sinora? Or dove sono?
Seguitemi signore, oh caso strano! (A Lindoro)
dal destino crudel sinora oppressa.
sarà colei, perché sa far da pazza?
Se produce pazzia sì buoni frutti,
anch’io impazzisco e vi bastono tutti.
Signor, l’opra del cielo incominciata
                                        A voi principio
buon vecchio a prestar fé. Donne che altere
fiavi scettro la canna e regno il mare. (Parte)
Se il non potere comandar v’incresce,
andate pure a comandare al pesce. (Parte)
Io mi rallegro della sua grandezza. (A Lesbina)
(Oh me meschina! Son precipitata).
(Or se perdo Burlotto mi dispiace).
(Bisognerà veder di far la pace).
ebbi Eurilda in custodia e ch’ei la trasse
e la salvò con fortunato inganno.
d’illustre antica sede e s’io mentisco
fugga mai sempre da mie reti il pesce,
per me non offra il mar placida pesca,
possa perdere invano e l’amo e l’esca.
che il ver apprezza e gl’alti numi adora,
ogni indizio leggiero or si avvalora.
Il loco, il tempo, la tua verde etate,
vaga Eurilda gentil, tutto assicura.
E per prova maggior Mastricco il giura.
                                          Odimi figlia;
che difender ti può da cruda morte.
Questo bel giovinotto è tuo consorte.
                                       Oh lo sapevo
rallegrata ti avrebbe. Orsù io vado
spiegar le vele e l’ancore salpare.
Anch’io voglio venir in compagnia.
                                           Sì, il ciel pietoso
E s’io del vostro amor non sono indegno
v’offro in faccia a Nettun la mano in pegno.
ad esser principiai tenera amante.
a voi che siete il mio primiero amore.
voglia l’uso seguir. Pochi son quelli,
purtroppo è ver, ch’abbian fedele il core
e soglion, per piacer, cambiar amore.
riconosco la fiamma entro al cor mio,
della cara mia sposa al bel sembiante.
dei vestiti che a noi prestati avete.
Pria di partire, indietro gli averete. (Li due partono)
se son le nostri amanti a noi fedeli?
s’ella manca di fé di non lasciarla.
                 Prometto... Eccole qui.
                                                            Proviamo.
                                        (Oh sorte ingrata!)
                                     (M’hai assassinata).
                                            Serva umilissima.
                                        Cavalieri.
                                     Sì, mia signora.
E partirà con esso Eurilda ancora.
qui resteranno a far le pescatrici?
vi destinasse andar lontan di qui,
                                     Eh forse sì.
Che m’ingannate ho un poco di paura.
Sulla mia nobiltà vi dico il vero.
Se volete venir convien far presto.
                                                      Andiamo.
Ma dite, avete un qualche innamorato?
che il bello mi facea; per i suoi denti
                                   Ehi senti, senti. (Piano a Frisellino)
                                     Ascolta, ascolta. (Piano a Burlotto)
Io non so praticar che colle dame.
                            Ah poi m’ingannerete.
Andiamo avanti? (Piano a Frisellino)
                                   Adesso viene il buono. (Piano a Burlotto)
                          Nerina.
                                           Andiamo?
                                                                 Andiamo.
Ciel sereno, aure liete e placid’onda.
E del vostro favor vi ringraziamo. (Si levano li baffi e gli abiti)
               Che vedo!
                                    Addio, la mia duchessa.
Io faccio riverenza alla contessa.
che avreste fatto voi? Sciocchi che siete.
si strapperà, se troppo la tirate.
Chi va il male cercando il mal ritrova.
                          Son io mortificata.
                                        Tu sei sdegnato.
Ecco mano, ecco mano a mano unita. (Li unisce)
anch’io vuo’ divertirmi al colle e al prato
coll’altre donne col sposino allato.
e per questa e per quella e per quell’altra.
                                  È pronto e lesto.
ch’io son prudente e ch’io resisterò
che mi vien voglia di volerla in sposa.
d’una vecchia che pazza s’innamora
l’arcano che svelar dee lo straniero.
dar un tenero abbraccio e dire addio.
                                         (Chi è costui?)
Signor mio caro, siate il benvenuto.
                                  Oh signor no.
che dee partir col principe Lindoro?
sento brillarmi il cor dall’allegrezza.
Voglio dell’infedel prendermi gioco.
Ve n’andate, scapate e mi piantate?
Mia bella, vi dirò, penso e ripenso
e nel pensare un dubbio ancor mi resta
che mi fate provare il mal di testa.
che è di già prevenuto il vostro cuore,
è un omaccio, bruttaccio, è un asinaccio.
Ora m’appiccherei, se avessi un laccio.
Via, signor duca mio, tanto cortese,
                                              Non vi è pericolo.
sempre sempre amerò vostra eccellenza.

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