Metrica: interrogazione
441 settenari (recitativo) in Candace Venezia, Rossetti, 1740 
                              Incerto
serpe, signor, tra il volgo
                               O sempre
D’Aprio il figlio morì?
misto col latte il sangue.
gionta, allora ch’io trassi
L’altro in grembo a Candace,
No, s’ei prende alimento
d’un trono, onde Aprio scese
getta a piè di quel trono,
co’ miei doni io rispondo.
nuora d’un mio vassallo?
Va’, la grandezza ostenta
                               Or via,
vuo’ che sia giusta; rendi,
Eccola; meno fiera (Giunge Niceta)
Per chi ha in prezzo la vita
tra’ suoi fulmini scherza.
Che sento, o sommi dei! (Sopragiunge Evergete creduto Lagide)
cotanta anch’io, concedi
che i miei sensi t’esponga;
e se il tuo labbro ascolto. (Sopraviene Lagide creduto Aulete)
il tuo cor, la tua destra;
l’amor del figlio è scudo.
                             Mia cura
                        Tilame,
                                  E quale
E già il tiranno inciampa
l’ingiusto sdegno e ascolta;
                Ah disleale
                       Condanno
         Sì, vanne ed esponi
che l’alma mia spaventa,
(Giovi l’inganno, o cieli). (A parte)
in te d’Aprio l’erede;
Stelle, a voi che vegliate
così col finto ho il vero
Per non perdere un sangue,
                                    A voi
su via, vedrem se il cielo,
l’ombra d’Aprio, l’Egitto
                Ah genitrice.
                             O dio,
pensier ch’io chiudo in petto.
                               Questi
s’egli ha per prezzo un regno;
                                   È d’uopo,
Parto e a l’opra m’accingo.
                      Ahimé che sento!
d’Aprio la prole eccelsa,
troppo è infelice; eh rendi,
Fermati, o mostro; questo, (Balza dalla sedia e trattiene Amasi che partiva furioso)
Candace. (Parte un soldato per chiamar Candace)
                    Il grande inganno
                                O cieli!
del tuo gran figlio ostenta,
                             Chiedi
                              Non tutta
                               Aulete,
lagrime, ond’io lo spargo,
                               Dovunque
per questa man ch’io stringo,
porto l’ardor, ten priego,
Sediam, de’ nostri affetti,
T’arresta; in Evergete (Evergete lo ferma levandogli il ferro)
                                     O dio!
ne’ tuoi begli occhi e questa
                       E come?
                                         O cieli!
pur che m’additi il figlio,
                             Reina,
questi che al seno io stringo

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