Nota ai testi

Testimoni

Dal punto di vista della tradizione, bisogna postulare che generalmente il poeta consegnasse al musicista, e forse anche all'editore, un esemplare del libretto, derivato dall'autografo, da cui dipendono la princeps e la partitura coeva, sempre manoscritta, raramente conservata e talora non identificabile a causa dell'eccesso di testimoni. Ma se il tempo stringeva, come nel caso del Conte Chicchera del 1759, Goldoni forniva direttamente l'originale (Lettera, in Ortolani2, XIV, p. 217). Invece quando si confezionava un pasticcio, assemblando carte e fascicoli o usando brani composti in precedenza, probabilmente si mandava in tipografia, dopo la sistemazione definitiva, una copia del testo ricavata dall'intonazione e destinata alla recita.
Le prime quattro edizioni complessive dei libretti goldoniani non hanno ricevuto alcuna benedizione esplicita dall'autore. Giovanni Tevernin dichiara nel 1753: «Si è reso ormai tanto celebre [...] Polisseno Fegeio ch'io mi lusingo d'incontrare il pubblico aggradimento nel dar fuori [...] i suoi drammi giocosi e gl'intermedi [...] con qualche spesa e fatica da me raccolti. Di cotesta mia poca fatica dubitar si potrebbe non senza ragione, vivendo, la dio mercé, il chiarissimo autore, da cui facilmente procurar si poteano gli originali; ma svanirà ogni dubbiezza, qualor si sappia che dopo la di lui partenza da Venezia [al seguito della compagnia Medebach] in capo vennemi di questa edizione il pensiero, con cui mi nacque pure la voglia di a fine recarla prima del suo ritorno» (Lo stampatore a' lettori, I, p. 5 n.n.). Tevernin e Olzati, che concordano nel far cominciare a pagina pari gli intermezzi, ritenuti un genere inferiore, propongono all'incirca i medesimi titoli. Lo stesso dicasi di Savioli con Guibert.
Un posto a parte merita Antonio Zatta che introduce la sua titanica impresa con un'avvertenza in cui dichiara: «Noi dunque non ci estenderemo [...] in riferire i pregi di questi teatrali lavori ma ci ristringeremo soltanto in riferir quelli della edizione presente [...] assicurando il pubblico che essa sarà completissima e imparagonabile a quante se ne eseguiron finora, e ciò per effetto della corrispondenza ed amicizia che abbiamo col chiarissimo nostro autore, il quale ci ha forniti di tutte quelle commedie da esso lui composte dopo aver fissato il suo soggiorno in Parigi» (Gli editori a chi legge, I, pp. V-VI). Anche se qui allude al teatro di parola, lo stampatore veneziano è l'unico a pubblicare, peraltro dopo la morte di Goldoni, Il quartiere fortunato, un intermezzo la cui princeps risulta introvabile, e tutti i drammi seri fra cui l'intero Germondo, tramandato soltanto da un'edizione londinese del 1776, anteriore ma verosimilmente scorciata rispetto all'originale. Manca invece Il conte Chicchera, di cui l'avvocato aveva consegnato direttamente l'autografo. Acquista senso dunque l'impegno dell'autore, affidato a una lettera spedita da Parigi il 16 luglio 1788, in cui promette d'inviare a Zatta i suoi «manoscritti [...] già impachettati» e pronti a partire (Allo stampatore, I, p. VII).
In genere le stampe da scaffale, piuttosto interventiste rispetto alla princeps, spesso riducono la patina spiccatamente dialettale ed eliminano alcune irregolarità metriche, forse volute, o qualche facezia ritenuta troppo osée. Per esempio Zatta sopprime l'ultimo verso del recitativo che segue: «Andar a letto sola / io certo non vorrei, perch'ho paura; / e poi con questo fredo / temo di raffredarmi, / se non vien Colatino a riscaldarmi» (Lugrezia romana in Costantinopoli, 785-789). È logico supporre che queste varianti linguistiche e moraleggianti, di cui risulta impossibile stabilire la paternità, si debbano al desiderio di allargare il mercato, sia per le commedie che per i drammi musicali, dallo spettacolo in una singola piazza a tutto il territorio nazionale (Alessandro Zaniol, L'edizione delle opere di Carlo Goldoni stampata da Antonio Zatta, 1788-1795. Ricerche e percorsi storico-filologici, dissertazione dottorale, Università di Venezia, 1993-1994; Alessandro Zaniol, Per una rilettura storico-filologica delle ultime edizioni goldoniane del Settecento, in Problemi di critica goldoniana, a cura di Giorgio Padoan, Ravenna, Longo, 1994, pp. 189-232).
In assenza degli autografi, questa nuova edizione critica è condotta sulla princeps di ciascun libretto, l'unica licenziata dall'autore per il musicista ma confezionata certamente dall'editore, e forse anche dal poeta, con la frettolosa incuria che contraddistingue, almeno per due secoli, il mercato dell'opera. Infatti i testimoni a stampa, che fondano la tradizione e la fortuna successiva, sono spesso molto scorretti, soprattutto per gli errori che stravolgono i nomi dei personaggi e la numerazione delle scene, per l'anarchia degli accenti e dei segni d'interpunzione. Evidentemente non si può stabilire se alcune lezioni si devono a Goldoni piuttosto che al proto. Tuttavia sono stati mantenuti costrutti plausibili, varianti che danno senso, forme e sintagmi ricorrenti, anche se non attestati dai repertori consueti (Battaglia, Boerio, Folena, Rohlfs, eccetera).
Alcune strofe nei pezzi chiusi e numerosi versi sciolti nel recitativo appaiono piuttosto sgangherati per ipermetria o ipometria, talora non sanabile né ipotizzando una dialefe tra due parole né sciogliendo un dittongo. La rima zoppica sovente o manca addirittura dov'è pressoché obbligatoria come nella clausola del dialogo o del monologo. Ma non è possibile ricostruire correttamente il metro in maniera univoca e sicura. Per esempio l'endecasillabo ipermetro «Ma pian che li denari non sono sassi» (La scuola moderna, 212) si può emendare: «Ma pian, che li denar non sono sassi» come si legge nella partitura coeva. Però non si esclude che la lezione corretta sia quella che recita Zatta: «Ma pian, che li denari non son sassi». Il settenario eccedente «Volentieri me ne vo» (Il finto principe, 532) è tramandato così dalla prima edizione, da Tevernin e da Olzati, mentre Savioli, Guibert e Zatta modificano: «Volentier me ne vo». Ma si potrebbe aggiustare ope ingenii: «Volentieri men vo». Il verso «Dallo spirito lunar son invasato» (Il mondo della luna, 522) in Tevernin, Olzati, Savioli, Guibert e Zatta diventa: «Dallo spirto lunar». Ma Goldoni avrebbe potuto benissimo scrivere: «Dal spirito lunar son invasato».
Perciò nel dubbio si è preferito conservare a testo la lezione trasmessa dalla princeps, segnalando l'incertezza nell'Apparato dove, soltanto nei casi più ostici, si citano le forme verbali (fui, hai, sai, sei, sia), i pronomi (cui, io, lei, lui, noi, voi), gli aggettivi possessivi (mio, tuo, suo) e gli avverbi (mai, poi) che a seconda delle esigenze metriche vanno considerati monosillabi oppure bisillabi, soprattutto quando precedono una vocale, o addirittura trisillabi (riesce, saprai, vorrei). Inoltre si avverte che numerosi versi sono accettabili soltanto ipotizzando una dialefe prima del pronome «io», dopo un monosillabo (che, chi, e, fo, ho, ma, né, oh, qua, se, sì, so, tu), dopo una forma ossitona (andrò, così, dirò, farò, fedeltà, pagherò, perché, orsù, sarò, saprò, verità) o addirittura dopo una parola piana o sdrucciola. In ogni caso tutte le anomalie sono affidate alla sezione Metrica.
Siccome non si può sostenere con certezza un diretto intervento goldoniano, le cinque raccolte e alcuni manoscritti musicali, soltanto se sicuramente coevi alla princeps, sono stati consultati esclusivamente per confortare l'eventuale emendamento ope ingenii. Se le lezioni di due testimoni divergono ma sono entrambe accettabili, si accoglie quella del libretto pubblicato per gli spettatori della première. Inoltre nei casi dubbi, quando si ravvisano errori probabilmente da correggere, si segnala ma non si promuove a testo, per evitare la contaminazione, il dettato della partitura o di Tevernin, Olzati, Savioli, Guibert e Zatta.
Nell'Apparato, collegato mediante l'apposito pulsante situato nella barra dei comandi sulla finestra di testo, si trovano: la descrizione dei testimoni, indicati con la sigla RISM della relativa biblioteca; la citazione delle fonti indirette, in particolare Mémoires e Prefazioni; le lezioni stravaganti mantenute e quelle che è stato necessario emendare; gli ipometri e gli ipermetri, con la misura del verso se non si tratta di endecasillabi o di settenari, elencati con una certa ridondanza pedantesca, soprattutto perché l'edizione è destinata anche ai lettori non italiani.

Criteri di trascrizione

I titoli e le intestazioni sono stati trascritti in maiuscolo senza punto alla fine (IL FILOSOFO DI CAMPAGNA, ARGOMENTO, ATTO PRIMO, ATTO SECONDO, SCENA PRIMA, SCENA II). Così pure gli interlocutori, in tondo senza virgola dopo il nome nella lista iniziale (EUGENIA figlia nubile di don Tritemio) e in corsivo quando entrano in scena (EUGENIA con un ramo di gelsomini), mentre si trovano in maiuscoletto prima della loro battuta (Eugenia). Nelle scene assolo il personaggio, talora mancante nel testimone perché superfluo, è stato inserito per farlo risultare nella ricerca impostata con la relativa selezione. Le didascalie, se in nota, sono state inserite nel punto segnalato dall'esponente e messe in corsivo tra parentesi con la prima lettera maiuscola: (Parte).
Sono state svolte nella forma certa o prevalente le abbreviazioni del frontespizio (P. A.] pastor arcade), della dedica (di v. e. devotiss. obbligatiss. e umiliss. servitore] di vostra eccellenza devotissimo, obbligatissimo e umilissimo servitore), dell'argomento (Hung. rerum scrip. hist et geog. Fran. 1600] Hungaricarum rerum scriptores historici et geographici, Francofurti, 1600; citazione esatta: Rerum hungaricarum scriptores varii, historici, geographici, Francofurti, haeredes Andreae Wecheli, Claudius Marnius, Ioannnes Aubrius, 1600) e dei nomi di personaggio, sia all'inizio della battuta che nelle didascalie (Ran.] Ranocchio, A Ran.] A Ranocchio).
I versi sono stati ricostruiti e numerati di cinque in cinque. Arie, cori e pezzi d'assieme sono stati evidenziati rispetto al recitativo da una diversa giustezza e da una riga vuota prima, dopo e fra le strofe, il cui incipit rientra di tre spazi.
L'ordine cronologico dei libretti ripropone la successione delle principes.

Italiano

Sono stati ovviamente mantenuti: i termini obsoleti (carnovale, pensiere, volontieri) o stravaganti attestati più volte da editori diversi (trattanto, vusustrissima); i costrutti ellittici (tutti due); le forme gli o li per l'articolo maschile plurale i (li sei pazzi, gli due pazzi), gli per i pronomi le e li (gli veda "li veda"); la grafia dei nessi palatali (ingegniere, messaggiero, ogniuno, scielta), a meno che non generi dubbi nella lettura (gle la] gliela; diec'anni] dieci anni, c'andate] ci andate) o nel senso (vogliessero] volgiessero, involgereste] invogliereste); la patina dialettale (de "di", me "mi", ve "vi"); l'alternanza doppie / scempie (in particolare aborrire / abborrire / abborire, camminare / caminare, commedia / comedia, comune / commune, dopo / doppo, dramma / drama, femmina / femina, immagine / imagine, labbro / labro, obbligare / obligare, provvedere / provedere, provvido / provido, pubblico / publico, scellerato / scelerato, soddisfare / sodisfare, tollerare / tolerare, segnalati in Apparato solo in caso di ambiguità). In molti loci il libretto e la partitura coeva alla princeps recano la medesima lezione, scempia o geminata, qui mantenuta (Amor contadino, 107: «trappiantate»). Sono rimaste inoltre come stavano le oscillazioni del prefisso re- / ri- (reputare / riputare, respingere / rispingere, rimedio / remedio, rispettivo / respettivo) e delle forme con o senza lenizione del dittongo (bontà / buontà, coprire / cuoprire, negare / niegare, percuotere / percotere, pregare / priegare, seguire / sieguire, vol o vole / vuole).
Sono state unite, seguendo l'uso moderno, le parole la cui fusione non comporta né accento né raddoppiamento fonosintattico (ben venuto] benvenuto, buon'ora] buonora, in vano] invano, in vero] invero, mal nato] malnato), mentre si sono conservate divise le altre forme (allor che, sopra tutto). Se 'l congiunzione rimane immutato, se 'l particella pronominale si trascrive sel.
Sono stati mantenuti il futuro e il condizionale in -ar- (cercarò, pigliarei), mentre è stata eliminata l'h etimologica o paretimologica, mantenuta per il verbo avere come nell'uso moderno. Le grafie latineggianti del nesso -ti-, peraltro rare, sono state trascritte con -zi- (disgratiata] disgraziata; ma vivono i nomi propri: Cintia, Cintio). La congiunzione et è stata trascritta con ed davanti a vocale, con e davanti a consonante.
In posizione intervocalica, nel plurale dei sostantivi in -io e nella flessione verbale, j è stato reso con i (principj] principi), mentre ii si mantiene o si restaura se necessario: «sentii» (passato remoto).
L'accento all'interno di parola è stato eliminato e altrove uniformato, insieme all'apostrofo, secondo l'uso moderno: da preposizione, dà va fa fo sta indicativo, da' fa' va' sta' di' imperativo, "giorno", de' "dei" o "deve", diè, do, "fede", fe' "fece", mercé, mo "ma" o "adesso", mo' "modo", piè, pro, se congiunzione, pronome, sé medesimo, sé stesso, se' "sei", su, 've "dove", ver "vero" o "verso", vo e vuo "vado", vo' e vuo' "voglio", "vuoi" o "vuole". Non è stata introdotta la dieresi.
Sono state emendate e segnalate le grafie ambigue, anche se forse talora dovute a un intento fonetico (abbian qualche] abbiam qualche, Faccian così] Facciam così, sian stati] siam stati, Ognum mi va] Ognun mi va).

Latino

Gli scarsi frammenti alloglotti di latino pedantesco, pseudoscientifico o giuridico, sono stati trascritti in corsivo, normalizzando la j semiconsonantica (jus] ius), la divisione delle parole (idest] id est) e il monogramma æ (etcætera / etcetera] etcaetera, pæcunia] pecunia).

Veneziano

È stata sempre mantenuta l'alternanza doppie / scempie (dagga "daga" "dia", vagga "vaga" "vada").
Sono stati normalizzati la divisione delle parole e l'accento, in particolare per il participio passato (andà, stà "stato") e per la seconda persona plurale dell'indicativo presente o dell'imperativo (andé, fé "fate", sé "siete", vardé). Per la terza persona singolare dell'indicativo presente del verbo essere si usa la grafia prevalente xe. Non è stato introdotto alcun segno, forse necessario in prosa ma non nel verso, per distinguere la sequenza vocalica determinata dalla caduta di una consonante (caia "spilorcio", tanto più in presenza della rima sia: caia) o per marcare la pronuncia proparossitona dei sostantivi e delle forme verbali (lasseme "lasciami" se sdrucciolo, "lasciatemi" se piano).
Si mantiene la grafia della palatale (chiappar "ciapar" "prendere") e quella etimologica del verbo avere (gh'ho) che s'introduce se necessario (ala] hala).

Napoletano

Si mantiene sempre l'alternanza doppie / scempie (managgia "mannaggia", vattene "vattenne"; Rohlfs, 312, 559), mentre s'interviene sulla j semiconsonantica (gajola] gaiola "gabbia"), sull'apostrofo e sull'accento (vò] vo' "vuoi").

Francese

Sono stati uniformati gli accenti (tresor] trésor), la cediglia (facon] façon), la divisione delle parole (tucé] tu ce "tout ce") e l'uso dell'h etimologica (tresumble] très humble). Sono state conservate le altre forme, in particolare le grafie pseudofonetiche (famme "femme", fué "fois", langhissà "languissant" o "languissante", luì "louis", mué "moi", ssose "chose", vous jêtte "vous êtes") e le clausole in -é che trascrivono gli esiti in -ait, -ais, -ez, -ai, -er e simili (plé "plaît"). I refusi evidenti, spesso imputabili all'inversione di due caratteri (vual] vaul "vaut"), sono stati emendati e segnalati in Apparato.

Tedesco

Sono state divise le parole unite, introducendo la maiuscola nei sostantivi (corsomerdiner] corsomer Diner "gehorsamer Diener", tartaifle] tar Taifle "der Teufel", mainher] main Her "mein Herr"). Le altre grafie antiquate (seyd "seid", bey "bei", obligieret "obligiert") o pseudofonetiche (zoà "zwei") sono state mantenute com'erano. Ovviamente vivono le forme sgrammaticate o caricaturali, in particolare le consonanti sorde al posto delle sonore (foler "volere", pist "bist"). Non è stato introdotto l'Umlaut (hoflich "höflich").
Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, il tedesco è quasi sempre corretto. Dunque i refusi evidenti, spesso imputabili all'inversione o alla sostituzione di caratteri simili (mianssoz] main Ssoz, mainffoz] main Ssoz "mein Schatz"), sono stati emendati e segnalati in Apparato.

Lingua franca mediterranea

È stata sempre mantenuta l'alternanza doppie / scempie (bollir / bolir "volere"). In genere le forme corrispondono all'uso dell'epoca: stara o star "essere" invariabile per tutta la flessione, mi e ti impiegati sia per il nominativo che per i casi obliqui, desinenze verbali all'infinito in -ara, -ar, -ira o -ir, sostituzione di p con b, esito in -a di sostantivi o aggettivi (raggiuna "ragione", taliana "italiano", Semprugna "Sempronio", Costantinupela / Costantinupola "Costantinopoli").

Altre lingue

Si mantengono le grafie pseudofonetiche (in inglese: miledi "milady", Scerud "Sherwood", splin "spleen"), le forme vernacole (in toscano: mene "me", mi "mio", su "suo"; Rohlfs, 427, 441) e l'alternanza doppie / scempie (in toscano: bacello "baccello").
S'interviene sull'h etimologica (in spagnolo: ombre] hombre), sulla j semiconsonantica, sulla divisione delle parole, sull'apostrofo e sull'accento (in bolognese: alè] al è "esso è" [Rohlfs, 446, 449], nos dà] no s' dà). Altri inserti alloglotti, caricaturali come il turco e il cinese o corretti come il friulano e lo slavo, sono rimasti immutati.

Maiuscole e minuscole

Le maiuscole sono state conservate per i nomi propri, le istituzioni (Senato), i popoli interi (Tartari, Turchi), i punti cardinali (Levante, Ponente) e i luoghi veri o finti: «settecento villaggi all'Ombelico», «regno degl'Ovi». Sono state ridotte all'uso moderno in tutti gli altri casi, in particolare per l'iniziale del verso (minuscola) e per i sostantivi in tedesco (maiuscoli).
Dopo i puntini di sospensione e dopo il punto esclamativo o interrogativo, è stata mantenuta o introdotta la minuscola se l'andamento sintattico prosegue, la maiuscola negli altri casi.

Interpunzione

Sono rimasti invariati l'a capo anche nella prosa, i puntini di sospensione, il punto fermo, l'interrogativo e l'esclamativo, il punto e virgola se la frase è conclusa (altrimenti virgola), i due punti se introducono il discorso diretto o l'enumerazione (altrimenti punto e virgola se la frase possiede autonomia logica, virgola se non ce l'ha) e la parentesi negli a parte, nelle semplici parentetiche ridotta a virgola che si elimina prima di e, ma, , o e che (sia pronome relativo, sia congiunzione dichiarativa, consecutiva, eccetera; vive la virgola prima del che causale).
Soltanto nei casi più intricati è stato inserito qualche segno d'interpunzione per rendere comprensibile il testo (Sposa nel vostro volto] Sposa, nel vostro volto). Inoltre, dove mancava, è stato ovviamente introdotto il punto fermo a fine battuta.