Metrica: interrogazione
582 endecasillabi (recitativo) in La bella verità Bologna, Sassi, 1762 
Bravi, bravi davvero, e viva, e viva.
Questo coro mi piace e mi raviva.
piaccia più di quell’altra.
                                               Il ciel lo voglia,
S’hanno mille pensieri e mille guai,
si perde sempre e non si lascia mai.
certo è stato per me. Monsieur Lorano
mel fece in quattro dì ma benedetto
sia il danaro ch’io spesi in tal libretto.
                                                Così e così.
poco è ver ci perdei ma ci ho perduto.
                                        Perché mi fate
                                            Vi dirò;
una buffa assai brava e non vorrei
                                             Zitto signora;
non andate più avanti. Il vostro merito
tutto il mondo lo sa. Siete una giovane
che sa, che intende, che diletta e piace.
dico quel che dagli altri a dir si sente.
che si fa per ripiego, ha destinato
il libro nuovo che ha di dar promesso?
questo è quel che m’imbroglia e mi molesta,
non so dove ch’i’ abbia a dar la testa.
                                         E non è giusto,
come adesso si fa, che s’abbia sempre
da studiar con tal fretta e con tal pena
e s’abbia a andar con precipizio in scena.
Io non so che mi fare. Oh se qui fosse
quel galantuom che questo libro ha fatto,
uno non ne facesse a’ prieghi miei!
Oh quanto pagherei... Ma il dirlo è vano.
Egli forse da noi troppo è lontano.
Risolvere convien. (Con forza)
                                    Convien pensare... (Con sdegno)
Maledetto mestier! Non so che fare.
Ei dice e dice e tocca a noi frattanto
                                  Qual colpa abbiamo,
se il libro o se la musica non piace?
se la parte cattiva è per natura,
noi non possiamo far buona figura.
mi è toccato di far quella partaccia,
mi veniano i sudori. I studi miei
non li ho fatti pel buffo; io non presumo
poco, è vero, ne so, son principiante
del carattere suo si vede fuora
tutto il poco che sa si scorda ancora.
comparisca un po’ meglio, è necessario
una parte al suo stil bene adattata.
ma non è il mio mestier far da villano.
non mi prendo di ciò verun pensiero,
l’abilitade mia; non so s’io riesca
ma senza aver di pretension l’inganno
io faccio volentier quel che mi danno.
«Farò di tutto». Sulla scena poi
il tutto che si sa passabilmente
per soggezion si riduce al niente.
sono avvezza al mestier ma tremo ancora.
Specialmente in Bologna ho più che altrove
soggezione e timor. Qui si distingue
chi sa da chi non sa. Quivi non basta
un po’ di cantucciar; ma è necessario
recitare a dover. Non v’è nel mondo
e sappia quel che a’ buoni attor bisogna
più della dotta mia cara Bologna.
chi meglio sappia compatir di lei.
da questi illustri cittadin bennati.
della stessa bontà. Si sa ch’io sono
debole principiante e se cortesi
valerà il loro dono a incorraggirmi.
provar quest’aria mia né c’è nessuno
                                      Che bisogno avete
Non sapete suonar passabilmente?
Bene o male farò quel ch’io potrò. (Si mette al cembalo e si accompagna da sé e canta)
Per dir la verità, l’accompagnarsi,
                                     È ver, per camera
È una prova d’ingegno e di talento.
                                          Allegro è molto.
anch’io per dirla non l’ho mai veduto.
Dei palchi e delle sedie avrà venduto.
                                       E che vuol dire?
fan nascere per via de’ negromanti.
di passaggio a Bologna è capitato.
                                             Eccolo qui.
Che buon vento, signor, vi ha qui guidato?
son per un certo affar ch’ora non dico.
questo per me sì amabile soggiorno,
vo’ in Bologna restar per qualche giorno.
Dategli da seder. (Ad un servitore)
                                  Bene obbligato.
                                           Oh bella sorte
                                  Miglior destino
                                        (Oh via, ho capito;
                                       Starà in Bologna
                                          Volesse il cielo
ch’io vi potessi star quanto desio
ma a momenti è vicino il partir mio.
                                         Perché?
                                                          Per dirla,
le cose vanno mal. Non ci son libri
sono in questo paese e sa l’amore
e un suo libro, signore, io bramerei.
non poterla servir. Sì, lo conosco,
quest’illustre città mi ha compartite,
quanto l’opere mie son compatite.
                                      Se vuol, sappiamo
                                       No, caro amico.
il troppo faticar stanca la mente;
né più scriver poss’io sì facilmente.
parli anch’ella. Chi sa! Monsieur Lorano
non sa dire di no ma specialmente
colle donne suol esser compiacente.
                                          Oh cosa dice!
s’io servirla potessi. In altri incontri
sa ben se di servirla ho procurato.
Ma non posso restar. Sono impegnato.
di ottener tal finezza è cosa vana.
Tant’e tanto davvero io partirei.
giacché vano è il parlar, vano è il pregarla,
dell’incomodo ancor vo’ sollevarla.
sono mortificato. Un certo effetto
nell’interno mi fa donna che prega
                                           E bene adunque
                                   Non vi è rimedio.
Quand’è così, gli leverem l’assedio.
                                         Oibò; non soglio
scriver giammai senz’essere spronato.
di mai più voler fare un dramma buffo,
tant’io ne sono stomaccato e stuffo.
comporne due o tre per ordinario.
andò in collera meco ed ha ragione.
d’esser da chi mi vuol pagato bene
e alla sua ecconomia ciò non conviene.
                               Come?
                                               Se bramate
ch’egli scriva per voi, non risparmiate.
in veruna maniera. Ho da partire.
ho preso abborrimento. Il libro buffo
è un seminario di fastidi e guai.
S’egli di non far libri ha stabilito
neanche il mondo perciò sarà finito.
                                      Mi par difficile.
Aspettatemi qui. Vo a ritrovare
un certo cavalier suo protettore,
d’essere servitor. So quanto egli ama
monsieur Loran. So qual Loran rispetta
quest’illustre signor. So qual potere
i comandi, i consigli e i detti usati
per far fare a suo modo i più ostinati.
il cavalier che ha sì cortese il tratto,
Loran qui resta ed il libretto è fatto. (Parte)
più dell’autorità, più assai del grado
val la dolce maniera. I più stimati
son sempre i più gentili e chi buon uso
fa di sua nobiltade e del suo ingegno
conoscer fa che di tal sorte è degno.
è il mestiere miglior che diasi al mondo;
non è ver, non è vero io gli rispondo.
la musica imparar; non san che sia
un carattere in scena e qual fatica
costi un’aria cantar passabilmente.
non si viene a incontrar, non san qual sia
di chi sente gli stimoli d’onore.
cambierei volontier lo stato mio
                                    Io non so nulla.
                                                  Sì? Ho piacere.
Fu obbligato a restar dal cavaliere.
                                            Non c’è bisogno.
Lo conosco, lo so, dei complimenti
è pochissimo amante e a far piacere
senz’esser da nessun sollecitato.
so ch’ei mi disse sulla faccia un no.
Lo disse, è ver, ma si vedea quai pene
                                     Zitto, ch’ei viene.
che al protettore ha resistito invano.
se quel che ho a voi negato ho altrui concesso.
della vostra virtude ho vera stima
da un incanto maggior convinto io sono.
s’io fossi quella tal che più vi preme...
tutte le grazie e le bellezze unite
a fronte di un sì amabil cavaliere
avrian forza minor sul mio volere.
                                        Cosa direbbe
                                        Io mi rimetto.
Faccia vossignoria quel che le pare.
il genio delle attrici e degli attori.
il sentimento loro e dopo anch’io
dirò senza riguardo il pensier mio.
non ricevo nessuno. È una miseria. (Il servo parte)
Quando s’ha da compor, voglion venire
«Scusino, che ho da far». «Sì, mio signore
non la voglio sturbar, vado via subito.
E loda e secca e non finisce mai.
dovessi in questi dì! Su via spicciamola,
quest’arietta del buffo terminiamo.
Il mastro di capella è un uom valente,
il latrar spiegherà perfettamente.
il maestro sentir spiegare il salto
or di terza, or di quinta ed or più in alto. (Viene il servo)
che non voglio nessun? Di’ al gentilissimo
signor dottor che lo ringrazio, digli
che per grazia del cielo ora sto bene
e che alla sua virtù sono obbligato. (Il servo parte)
che con tanto piacer son qui venuto
qualche male soffrir mi è convenuto.
La donna seria? Non vorrei dicesse...
Di’ che resti servita, che è padrona. (Il servo parte)
ma almen quest’aria terminar vorrei.
                                              Oh mia signora,
a far l’obbligo mio. Ma sa ch’io deggio
l’opera terminar che ho principiata.
                                Bene obbligata. (Siedono)
ho dovuto adempire ai dover miei.
                            Ricordami che in Roma
un teatro in Venezia e s’ella poi
si è per gli affari suoi di me scordata
alla sua esibizion sono obbligata.
                                        No, mi fa grazia,
                                             Ella saprà
                                         Sì signora,
                                       Fo quel ch’io posso
e per grazia e bontà son compatita.
Con estremo piacere io l’ho sentita.
la nota abilità del suo talento;
veder con qual bravura e con qual arte
e con qual pulizia fa la sua parte.
La voglio sollevar... (In atto di alzarsi)
                                     No, resti comoda.
e s’io vaglio a servirla a comandarmi.
una grazia le chiedo e vado via.
m’impegnai di cantar, la prego almeno
e quando agisco non vi sian risate.
che a parte seria si convien. Ma pure
per unire l’intreccio e l’argomento,
qualche cosa soffrire è necessario.
il carattere mio serbar procuri.
che di tutto farò per aggradirla.
me la faccia sentir. Sarà servita.
                                          È galantuomo.
Non servirassi del motivo istesso
quello che si suol fare in casi tali,
servendola nei passi principali.
Giacché tanta bontà ritrovo in lei,
un’aria come questa io bramerei. (S’alza)
Che di men si può far per soddisfarla?
Ella alfine è discreta e sono avvezzo
che su tutto von far le schizzignose.
per stassera quest’atto almen finiamo.
Scena quarta: Fabrizio e Menichina. (Viene il servo)
Se faranno così non farò nulla.
quello che ho fatto straccierei di core;
ma non vo’ disgustarmi il protettore.
                                        Sì signore.
Ho di già principiato e scrivo in fretta.
Per carità, perché il maestro aspetta.
Ma lasciatemi star, non mi sturbate.
Vado via, vado via; non v’inquietate.
e per aver la lista del vestiario.
Troppo presto, signor; non so ancor dire
quai saranno le scene e i personaggi.
e lo scheletro ancor non disegnaste?
Che parlate di scheletro? Io non uso
quest’inutil fatica. Do principio
come mi salta in testa e verseggiando
vo il pensier maturando e giungo al fine
misurando le scene a discrezione.
                 (Il cielo me la mandi buona).
                                       No signore.
Di voi mi fido ma mi raccomando,
perché il bisogno mio si va aumentando.
Grida, si lagna e strepita la gente
che l’opera finor non val niente.
                                   Lo voglia il cielo;
ma è vecchia e gran fortuna io non mi aspetto.
con tante spese, che sperar mi resta?
La perdita è sicura e manifesta.
tutto quel ch’io potrò per riuscir bene
ma chi vuol guadagnar spender conviene.
                              Almeno nelle scene
rovinar co’ scenari. A poco servono
le mutazion, le macchine, gli adobbi;
ci vuol musica buona e buon libretto.
e che tenga l’udienza in allegria.
                                      Principalmente
                                     Lasciate fare.
                                           Con licenza,
                                    Che nei finali
vi sia del movimento e dello strepito.
che l’atto terzo come siete usato
non sia per brevità precipitato.
                     E se potesse...
                                                 (Io ci patisco).
                                    La riverisco. (Parte)
e il meglio per mia fé mi son scordato.
l’aria pel buffo. Vorrei pur che il buffo
avesse un’aria a gusto mio. Vorrei
una cert’aria... Non so ben spiegarmi.
delle cose farei da immortalarmi!
che al dosso degli attor non son tagliate
riescon per ordinario impasticciate.
s’abbia in scena d’andar dove s’intese?
Questa parte a imparar ci vuole un mese.
dell’arie mie non ne dirò pur una.
altre volte incontrato e pur vi sono
dei difetti non pochi. Per esempio
sono male annicchiate e le mie pure
che cadono ancor esse poco bene.
il primo buffo canta solo e poi
la dice in mezzo delle parti serie.
Scusi il signor poeta mio garbato,
questa volta mi par ch’abbia fallato.
col primo buffo non ne dico alcuna.
qualche incontro può far ma la seconda
e per dire quel ch’è non val niente.
                                   Sì, il secondo
                                         E del duetto
di pazza gelosia furor mendace,
un duetto per far di sdegno e pace.
                                           Non vi è pericolo,
e soffre volentier chi dice il vero.
si sentisse da lui pungere un poco
s’ei gli dà libertà di ricatarsi.
quando di criticare un si compiace,
                      Resti comoda.
                                                  Perdoni.
Che si servino pur. Non son padroni?
e siccome il mio cembalo è scordato
mi valerò del suo, se mi è permesso.
E anch’io la prego del favore istesso.
fra due che non si vedon di malocchio
s’approfitta assai più per ordinario
e le cose van ben per l’impresario.
                                      Vuol divertirsi.
Il parrucchier m’aspetta. Io vo di là
e li voglio lasciare in libertà.
                                     Affé, Rosina,
questa parte a imparar, che mi hanno dato,
io non sono di voi meno imbrogliato.
ed avrete del bravo alla cadenza.
nella confusion nella qual sono
di terminare la cadenza in tuono.
Eh via, sguaiaterie; badate a mene,
                                    Perdonate.
                                         Scusate.
                                                  Via,
siate bonina ancor, se siete bella.
                                    Poveraccio!
                                           Sguaiataccio!
a ganzare, a stuccare e a ristuccare,
se una finezza non si può sperare?
Signor no, signor no, non vo’ più nulla,
che presto si scoruccia e si bisticcia.
Già lo sapete che non c’è più caso
allorquando mi vien la mosca al naso.
s’io dovrò seguitare a far il musico,
virtuose nel serio o pur nel comico.
quando meglio non trovano e se vengono
cavalieri, milordi o genti simili,
se da voi mi distacco, io son scusabile.
leggere qualcossetta io bramerei;
procuro sempre soddisfar gli attori
metton di mezzo perch’io muti, allora
se poco gli piacea, fo peggio ancora.
Le finezze gradisco cordialmente
e chi non vien da me servo egualmente.
                                     Vorrei almeno
                                          Sì signore,
voi dalla seria ed io dalle due buffe,
e voglia il cielo non ci sian baruffe. (Parte)
Sentirò volentier qualcosa anch’io. (Parte)
e il libretto lasciar, mi spiacerebbe
e che il libro dopoi s’impasticciasse.
ha spirito, ha potere ed ha ragione
per difender la mia riputazione.
è sotto al parrucchier; non può venire.
vengano l’altre almen. (Tolomeo parte)
                                           Signor, la seria (Viene dalla scena)
perché gli preme di spedir la posta.
                            La seconda buffa (Viene come sopra)
di non voler venire si è ostinata
perché con Luigino è indiavolata.
Bella, bella, la godo. Favorite.
Son fra loro divise o sono unite?
                                           Facciam dunque
quel prodigio oriental che a tutti è noto.
S’esse non vonno favorir da noi,
perché si salvi il femminil decoro,
andiam concordemente, andiam da loro.
degnasi d’impartir monsieur Lorano?
Fo il mio dover. Ma non vorrei piuttosto
                                         Egli vorrebbe
                                     È una finezza
che per la parte mia m’obbliga molto.
Anch’io ne godo e volentieri ascolto.
Già lo so che per me ci sarà poco.
La lettera a finir vo in altro loco. (Parte)
                          Via, zitto, non importa.
Già siam tanti che basta. Principiamo.
Qualche cosa di bel noi ci aspettiamo.
Venga innanzi ella pur, signor Luigino.
aver bastantemente a divertirmi;
né più di quel ch’io son vorrei stordirmi. (Parte)
Quando i buffi ci son noi siam contenti.
Via, ci faccia sentir. Signori attenti. (Tutti siedono in giro)
                                È il titolo suo
                                      È un titol nuovo.
Signorsì, signorsì, l’approvo anch’io.
prima gl’informerò dell’argomento.
                   Sì signore.
                                         È necessario.
L’argomento ci vuol per ordinario.
ch’io la cosa dirò succintamente.
                                   Con lei di core
                                     Brava Rosina.
Tutti allegri siam noi questa mattina.
viva il merito lor. Me ne consolo.
per eccesso di gioia e di piacere.
Il libro è cosa sua. (A Lorano)
                                    Si, ma a che serve
che il libro sia passabilmente buono,
se le attrici e gli attor bravi non sono?
del primo buffo? Si è portato bene?
                                      La parte sua
                                           Il poveruomo
                               Non si potea far meglio.
Egli è comico molto e molto vale.
                                       Oh quest’è bella,
se a noi piace lodare il primo buffo,
                                   Dirò... Per dirla...
che con esso mi par d’esser lodato.
per un che fa la professione nostra
talento, abilità, voce e natura
al suo dosso tagliato è il vestimento,
s’ha un vantaggio del trenta e più per cento.
Che dite voi di un tal pensiere, indegno
                                  Dirò, madama
ma delle gentilezze io non mi offendo.
                                             Sì del libro
                                             La parte mia
può sapersi signor che cosa sia?
venghino di là, in sala. Un gran rinfresco
di caffè, cioccolata e biscottini
da quattro uomini carchi fu portato
e non vogliono dir chi l’ha mandato.
                                                     Non saprei.
Oibò, quest’è un giudizio temerario.
Che fosse il protettor? (A Lorano)
                                           Saria capace.
Generoso è, si sa. Ma poiché sono
tai protezioni troppo spesso in uso,
ei non vorrà introdurre un tal abuso.
Monsieur Loran, sarebbe mai pericolo
                                     Io? Pensate;
i rinfreschi che io do non son triviali.
Son canzoni, sonetti e madrigali.
Ma non vien l’impresario e intorno al libro
vorrei si concludesse in questo giorno.
Vo a veder se lo trovo e poi ritorno. (Parte)
Via signori al rinfresco, andiamo, andiamo,
                                       Per me son lesta.
(Chi sa che me non abbia regalata
quel ch’al poeta mi ha raccomandata?) (Parte)
il rinfresco mandare il primo buffo
e che gli altri per me godino a uffo?) (Parte)
l’autor di una finezza sì compita,
farò onor a chi manda ed è finita. (Parte)
Ognun pensi a sua voglia, io per me credo
che accettare il rinfresco non convenga
quando che non si sa da dove venga.
sarò per ciò di sostenuta. Io sempre
un po’ di convenienza e di decoro.
            Non c’è più?
                                     L’hanno portata via?
Gli uomini avean fallato e il bel rinfresco,
ch’io credea per le nostre virtuosine,
                                   A queste cose
Poco ci penso anch’io ma pur ci penso.
Se qua fossimo stati tutti uniti
a quest’ora saria bell’e bevuto.
Infatti ella è così, da questi giorni
son per le ballerine. Affé di mio
voglio ballare anch’io. Vo’ un po’ vedere
se è il cantare o il ballar miglior mestiere.
Oibò; che gran pazzia! Si son vedute
lasciar il ballo ed abbracciare il canto
ch’abbian prima cantato e poi ballato.
Il ballo io non disprezzo ma soltanto
parlar, rumoreggiar senza intervallo
e silenzio poi far quand’esce il ballo. (Parte)
Dica quel che sa dir, non vi è rimedio;
che noi siamo del ballo un accessorio. (Parte)
Io poi sia per timore o sia per sdegno
non mi lascio avvilir fino a tal segno.
Trionfi il ballo pur; del suo trionfo
la conquista qual è? Qual più perfetto
giungerà a conseguir nel suo riposo
le ricchezze e gli onor di un virtuoso?
perché la nostra prima donna seria
è chiamata a Palermo. Civilmente
me l’ha fatto avvisar. Mi chiede in grazia
ch’io la lasci partir. Non è possibile
ch’io lo possi accordare e non vorrei
e per dispetto e di mal cuor restasse.
e la sua genitrice è assai discreta
l’interesse a partire ovver l’onore,
le stesse buone grazie usi con lei.
Basta, m’ingegnerò! Più che la forza
perché ognuno di me contento sia.
il fior degl’impresari. Galantuomo,
puntuale, civil, discreto, umano,
facile a far piacer. Sovviemmi ancora
qual effetto n’ebbi io tre anni or sono,
da un impegno fatal molesto alquanto
ebbi d’uscir felicemente il vanto.
Non parliamo di ciò. Ditemi in grazia,
                                           Veramente
nulla ho fatto di più, poiché ci trovo
Contro al solito mio, par questa volta
ch’io fatichi a compor. Non so se venga
                                              Per dir il vero
quell’argomento non mi piacque un zero.
fra il sonno e la vigilia e poi narrato
dalle donne mi fu. Che mai volete
da un teatro novel che s’ha d’aprire?
può l’ingegno cavar dramma, facondo
                                      Ma questa volta
l’argomento cambiar per cortesia.
                      Ma quando?
                                               Un po’ di tempo
                                   Vi lascio solo.
Torno da qui a mezz’ora e son sicuro,
se davver ci pensate un sol momento,
che lesto al mio ritorno è l’argomento.
                                           Eh via, che serve?
mi guizzano le idee per il cervello
come i pesci nel mar. Ma ora per dirla
pronta non è al voler la fantasia.
                                            Servo di lei.
                                        Comandi pure.
Intesi a dir così, per accidente,
ch’ella deve compor non v’abbia ad essere
il solito duetto. Un tal pensiero
                                                     È vero.
                                  Non lo so dire.
Ed un simile torto io ho da soffrire?
per far torto a nessun; ma vi è chi crede
faccia meglio un terzetto od un quartetto.
                                             È ver, si è fatto
quando la prima buffa o il primo buffo
non son buoni da nulla. Io non mi vanto
ma faccio il mio dovere e il mio compagno
                                   Sì, non v’è dubbio.
                                       Oh quest’è bella.
Chi è che non vuole? Il mastro di cappella?
                                Dell’impresario
                                   Né meno.
                                                       E di chi dunque
                                Non lo so dire.
la verità? Se un uom sincer voi siete
dite che siete voi che non volete.
                                             Su via dunque
se non viene da voi, da galantuomo
obbedirvi, servirvi. In questo no.
                                  Non lo farò.
a Palermo a cantar? (A Petronilla)
                                       Sì mio signore,
m’invitano a Palermo e v’è Mazzanti
e vi è una compagnia che mi fa onore.
manterrò la parola e avrò pacienza.
Dell’altrui stima ci rendiam più degni
quando si sa che manteniam gl’impegni.
Né si deono accettar nuovi trattati
il trattato primier ch’è incamminato.
Pur tai delicatezze a’ nostri dì
si veggono osservar così e così.
ecco monsieur Loran che si è pentito
e un novel ne ha trovato in un momento.
                               Sì per questa volta
tollerare convien. Non vi ha da essere,
                         Non lo farò, vel giuro. (A Tolomeo)
Tralasciatelo pur, non me ne curo. (A Lorano)
l’argomento novello. (A Lorano)
                                        Eccomi lesto;
stravagante è il pensier, facile e presto.

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