Metrica: interrogazione
127 endecasillabi (recitativo) in La vendemmia Roma, Mainardi, 1760 
obbligato vi son; voi mi faceste
nel condurmi con voi a villeggiare
nella bella stagion del vendemmiare.
soglio venir da me; ma questa volta
quel piacer ch’altre volte mi ho goduto.
                                       Oh oh, per tempo
vi sovviene il mangiar! Mancano forse
                                      Eh a cosa servono
Vonn’essere vivande; per esempio,
si potrebbe pigliar per colazione
una zuppa nel brodo di un cappone.
                                         Io? Compatitemi,
si metta pure a lavorar di core,
che m’impegno con voi di fargli onore.
                                       Con buona grazia. (In atto di partire)
                           In cucina.
                                                Ed a che fare?
perché non posso più, sono a digiuno
Vi giuro in verità, sento ch’io peno
quando non mangio ogni tre ore almeno.
a condurmi costui, se stiamo troppo
                                          Addio Cecchina,
                                     Ho lavorato,
col mio padrone a divertirmi un poco.
Brava brava davver; così mi piace.
                                    Per qual ragione?
                                  Il regalo è preparato.
eccovi di ricamo un fazzoletto.
                               Non gliel mostrate.
Non glielo mostrerò, non dubitate.
Che volete da me, non son per voi.
Sì signora, il padron m’ha regalata;
m’ha rigalato questo fazzoletto.
                                          Me ne consolo.
Serva di lor signori. (Vuol partire)
                                       E dove andate?
vedo che siete bene accompagnato,
la grazia di Cecchina e poi non più. (Con ironia)
non entri fra di voi la gelosia;
prendi Rosina mia, questa fettuccia
                                  Bene obligata.
                                              Ditelo voi.
tacer non posso e decretar non voglio.
                                         Pianino un poco,
il padron ama me se tu nol sai.
dava segni d’amor né m’ingannava.
Stai fresca in verità; mi avvidi anch’io
ti dava un’occhiatina e poi rideva.
Basti così, non ti vuo’ dire il resto.
                                    Niente niente.
                                Quella fraschetta
vi fa la graziosetta e so di certo
che fa all’amor secretamente a Berto.
Non lo credete? Or ben presto vedrete
che tutt’oro non è quel che riluce.
voi non fate all’amor Rosina mia?
Non mi passa nemmen per fantasia.
Ih che dite signor, non ho malizia.
costei non mi dispiace ma Cecchina
veramente è carina e per lei sento
che amor mi fa provar qualche tormento. (Parte)
Eccovi un piattellino rigalato.
                                    Coll’occasione!
potrei un poco divertirmi anch’io?
                                           E perché no.
e mi degno mangiar con chi che sia.
in cucina mangiar terribilmente.
Quel che mangiai non m’ha toccato un dente.
troverò un’invenzion; aspetta aspetta). (Parte)
che siate la padrona; io finalmente
                          Posso parlar anch’io.
Doppo il padron, chi è la padrona?
                                                                Eh addio.
Ridete pur e si vedrà che n’esce.
pace mai non avrò; ma qui Rosina.
                                          Oh v’ingannate,
io vi voglio più ben che non pensate.
                                                Sì senz’altro.
la dote a poco a poco si farà.
Ed il padron non se n’accorgerà.
                                               Ed io il mio Berto.
                                      Lasciate prima
                                      Vien lo scroccone.
                                        Non mi ricordo
d’esser mai stato sazio a’ giorni miei,
nuovamente a mangiar io tornerei.
                                          Cos’ho mangiato?
questa per il mio corpo è una freddura.
               Guarda il lupo.
                                             Ora mi pare
vuo’ riposar, portatemi una sedia.
(Qualche burla a costui pensar conviene).
E perciò di legarlo abbiam pensato.
Sì legatelo pur luppo arrabbiato. (A Fabrizio)
col vostro servitore travestito
lo farete tremando risvegliare.
divertiamoci un po’ con quel ghiottone.
                                            Poverino,
non lo risvegliarian le cannonate.
                                                Oh bene, oh bene.
                                           Ancora dorme.
                                          Aiuto aiuto. (Si sveglia, vuole alzarsi e non puole)
Ah fermate signor per carità.
ch’ei se n’avesse a mal.
                                            Ohibò pensate,
lo vado ora a quietar, non dubitate. (Parte)
tutto si scorderà stassera a cena.
delle belle parole e certi segni
che mi parvero allor segni d’affetto.
                                      Se fosse vero...
Questo, signore, è un torto che mi fate.
Dunque ragazza mia, cosa pensate?
                                     Dunque ascoltate.
quella che m’hanno fatto; e nell’impegno
Ma vuo’ farla sonora e da par mio...
Sì l’ho pensata... Oh bella, oh bella affé.
Oh cospetto! L’avranno a far con me. (Parte)
conosco che son pazzo; e perché avere
se di fare a mio modo io son padrone?
dite quel che volete, io non m’imbroglio,
la vuo’ sposare e consolar mi voglio. (Resta pensoso passeggiando)
Stavo pensando a voi. (A Cecchina)
                                          Maliziosetto.
                                           Poverina!
Ho da parlar con la Cecchina; andate.
                                      Andate via.
Cecchina non abbiate gelosia.
                                              Pazienza!
povera disgraziata! Morirò. (Mostra di piangere)
mi volete tradir; più non vi credo.
                                      Padrone ingrato.
Care non so che far; veder non soffro
posso darvi il mio cor metà per una.

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