Metrica: interrogazione
471 endecasillabi (recitativo) in Il mercato di Malmantile Venezia, Fenzo, 1758 
Ne ha veduto un più bello in altro stato?
il mercato miglior non vi è di questo.
cresce la sua beltà la vostra figlia.
Troppa grazia mi fa coi detti suoi...
Al complimento rispondete voi. (A Brigida)
(Il padre è stolto e un po’ leggiera è anche essa).
l’utile che mi vien non mi hanno dato.
Ho del conte un pochin di soggezione).
Sono tutta disposta a favorirla. (Parte col conte)
se vuole esercitar la professione). (Da sé)
                           Signore.
                                             Una parola.
Se ha qualche malattia, saprò guarrirla.
Io per grazia del ciel nella mia età
                            Sfortuna mia.
che avesse almen cinque malanni o sei.
la febre, lo scorbuto, il mal d’orina,
piaghe, fistole, doglie per la vita
ma alla carica mia chiedo il tributo.
                                         Ecco un arcano,
la polve mia per rissanare i denti.
                                    Prenda signore.
Prenda questa porzion del mio liquore.
d’erbe composto, di radici e sali,
delle cure che ho fatto. Favorisca...
                                        Senta e stupisca.
Tanta gente ha guarrito? Io gli son schiavo.
Vuo’ che egli venga a desinar con noi.
(Spendere non vorrei molti quattrini).
la sua bella grazietta io comprerei). (Da sé parlando di Lena)
                                              Sì, aspettate, (A Berto)
bella ragazza, come vi chiamate? (A Lena)
                                 Acchetati, villano.
Lasciatemi veder che cosa avete. (A Lena)
Datela qui. (Che morbida manina). (Da sé)
                                          Sì signore.
                                         Che seccatore.
                                           Non mi seccate.
Non v’impacciate con i fatti miei.
i capponi, i pollastri e le galline,
Non mi voglio scaldar fra tanta gente.
Se l’usanza di lei non si sapesse!
userà l’arti che con altri ha usate.
                                       Non mormorate.
                                              Anch’io ne so;
ma vuo’ tacere e mormorar non vuo’.
                                     Non mormorate.
dice tutto e gli par di non dir niente.
ma fan gli uomini ancor la loro parte.
hanno più d’un amante ed io meschina,
che di fare all’amor talvolta bramo,
non trovo un cane che mi dica: «Io t’amo».
vi voleste spassar de’ fatti miei.
Il mio cuore ha per lei rispettazione.
a sì gran scioccheria non è un peccato?)
(Le cerimonie mie l’hanno incantato).
                                            Ella è padrone;
Oh cosa dice mai? Serva umilissima. (S’inchina)
Oh quanto pagherei che nel mio feudo
                                        In verità
trovar peggio per voi non si poteva.
                                    Lo credo anch’io.
ho anch’io per lui della concomitanza.
                                  Serva umilissima.
Ma vi vorrebbe un principe d’altezza
per la bella beltà di mia bellezza.
una sorte miglior non mi si appressa,
                                    Signor padre,
una cuffia, un’andrienne e un guardinfante.
La figlia sua d’un cavaliere è sposa.
                                           Il signor conte
vuo’ praticare il fior di nobiltà.
una dama da noi ch’io non conosco.
Io non sono avvezzato ai complimenti,
vuo’ che tu la riceva in vece mia.
                                           Con un tributo
d’ossequioso rispetto io la saluto.
                                      È compitissima,
Favorisca sedere e poi ragioni. (Siede)
Favorisca sedere e poi ragioni. (Siede)
È propriamente una ceremoniera). (Da sé)
che l’amore e il timor son due gemelli.
Favorisca il suo nome e poi favelli.
e dev’essere il conte a me marito.
Basta, signora mia, basta, ho capito. (S’alza)
diede a un’altra beltà la preferenza.
e la sposa son io. Serva umilissima.
                                         Cosa volete,
cosa signora mia che in ciò vi dica?
                                     S’ella pretende
                                         Un cavaliere
                                       La mia ragazza
Non parlate così; ve l’avertisco.
                                        Vi riverisco. (Parte)
sono arditi di cuor, stolti di mente.
Ah purtroppo m’inganna il traditore.
della mia civiltà saprò scordarmi.
della vostra sapienza è innamorato.
(Ecco di mia beltà gli usati frutti.
Tutti restano presi; incanto tutti).
La miro e nel mirarla io mi confondo.
La più bella di lei non vidi al mondo.
che previene da lei pregievolissima.
                                Serva umilissima.
che gran pezzo ella sia di virtuosa.
                                     Serva umilissima.
Sentirete che in tutto è donna pratica).
la febre, l’emicrania e l’etisia.
Presto, figliuola mia, fatevi onore.
Vien l’emicrania dal dolor di testa.
                                        Serva umilissima.
                                          Voi vi lagnate
                                        Veggo il bel frutto
di un volubile cor. Crudel, so tutto.
finger provai per divertirmi alquanto
ma al sincero amor mio fedel mi vanto.
                                         No, non è vero.
dir che le prometteste il cuor, la mano,
Io prometterle il cor? No, non è vero.
per diletto talora io scherzo e rido.
Ma voi siete il mio bene e a voi son fido.
s’egli di gelosia mi dà il tormento.
che mi fa sospirar vuo’ vendicarmi,
qualcun che mi volesse avrei trovato.
che un qualche giorno lo ritroverò.
procura sempre di venirmi allato). (Da sé)
per dir la verità mi par bellina). (Da sé)
non vogl’essere certo a dichiararmi). (Da sé)
Siamo da maritar, voglio provarmi. (Da sé)
                                            Buondì Berto.
                           Ritorno a casa mia.
l’ho detto anch’io perché vi porto amore.
                             Andate via di qua.
                                   Voglio andar sola,
Vi rassembra ch’io sia da disprezzare?
Ma disprezza talor chi vuol comprare.
Io non vengo a comprar, vengo per vendere.
Qualche cosa ho ancor io da poter spendere.
Se volete comprare andate in piazza.
Voglio comprare il cor di una ragazza.
                                            No no, mia madre
m’ha detto ch’io non vada accompagnata,
Dunque per non lasciarvi andar più sola,
                                    Signor no.
                                          Aspetterò.
Ma se meglio trovassi a’ giorni mei
Affé, che quel visino m’innamora.
Le voglio ben ma non l’ho detto ancora).
                                      Lena.
                                                   Signore.
voglio che voi venite a star con me.
                                      Presso la gente
Vuo’ cercar l’occasion di maritarmi.
da strappazzar così. La vostra mano
degna è d’un gran signor, non di un villano.
mi obbliga ad isposare un contadino.
                                  Non so che dire,
che ha titoli, che ha gradi e facoltà,
Sì, un gran signore e il gran signor son io.
                                         Su via parlate.
Se mia figlia si sposa, io resto solo
e mi vuo’ maritare anch’io di volo.
                                            No, non voglio
con madame o signore aver imbroglio,
                                          Io tacerò.
Il cor per l’allegria balzami in petto.
Tosto ch’io son venuto a Malmantile
quegli occhi, quella bocca e quel nasino
mi han fatto per amor tornar bambino.
Ma... Lampridio Lampridio... una parola.
Brigida, che ha pensieri da sovrana,
che dirà, s’io mi sposo a una villana?
Soddisfo il genio mio... Ma piano un poco,
                                          Serva umilissima.
presto un qualche partito più magnifico
con il conte mi sposo e mi mortifico.
Eccoli qui, ve li farò vedere. (Le mostra il libro de’ privilegi)
prevalere mi vuo’ dell’impostura).
ecco qui una contea ma questo è niente.
Ella è conte e barone ed è marchese?
La sua gran nobiltade è strabocchevole.
Mi ha detto il padre mio, cioè l’illustrissimo
ch’ella di medicina era un dottore.
                                        Con chi parlate?
Con costui che le genti ha corbellate.
le porcherie che lasciano gli armenti
                                     Me lo figuro
Ma dalla nebia non si offusca il sole.
                                       Col ciarlatano.
così parli d’un conte e d’un barone?
le pillole, i cerotti e l’orvietano
e l’ho sempre creduto un ciarlatano.
la roba per i denti io vi ho pagato.
Datemi il mezzo paolo che vi ho dato.
Basta così, mi farò far giustizia.
                                     Serva umilissima.
Fatelo e quattro mela anch’io vi dono. (A Brigida)
Talpa, selce, villan, non sai chi sono?
nato è anch’egli villan nel mio cortile.
quel mentitor, quell’uom senza rispetto
si vede ben ch’è scimunita e pazza.
Se le perdi il rispetto, io ti bastono.
vi rompo il cranio a forza di sassate.
                                  Così rispondo.
e vogliono i danar che vi hanno dati.
Andiamo pur, vi farò far giustizia. (Ai contadini)
Tutto per voi farò quel che bramate.
accusiam l’impostore; e fatto questo,
ma un partito migliore ho ritrovato. (Parte)
se anche con te non saprò far vendetta.
due liti in una volta io voglio fare. (Parte coi contadini)
Venga innanzi da me chi vuole udienza. (Siede)
Chi provò i miei segreti è rissanato.
diran che quel ch’ei vende è una sporcizia.
Signor governator fate giustizia. (Batte colla mano sul tavolino e Lampridio si sveglia)
                                             Non dico a voi.
Io non ho inteso ben quel che diciate.
                                   Tacete un poco.
La causa è di rimarco. Io non mi fido
Ehi! Andate a chiamar la mia figliuola. (Ad un servitore e si alza)
vo per i testimoni e torno adesso. (Parte)
Alla vostra giustizia io mi abbandono.
Fate che in mio favor nasca il decreto.
                                         Nel tribunale
                                             La dea propizia
che insegna al mondo a propagar giustizia.
                                   La dea giustissima
                                       Serva umilissima.
e dal vostro bel cuor giustizia attendo.
Sì signore ha ragione, io lo diffendo. (A Lampridio)
Quand’è così, signora mia garbata,
                            Vorrei così per gioco
ma ho fatto il mio ricorso a chi si aspetta.
              Signora mia.
                                        Non siete voi
                                    Sì signora.
Come! È il governator di qua scacciato?
di governar questo castello è indegno.
Di burlare la Lena or mi preparo. (Parte col notaro)
dice ch’è un cavalier senza creanza.
                                      E chi mi cerca?
                                          Quel briccone
che si balli, si canti e che si suoni,
obbligata vi son sposino bello. (Parte)
vengo a darvi, vuol dir, l’ultimo addio.
è legato il mio cor da un’altra amante.
                                             Non è vero...
D’altro laccio il mio cuore è liberato.
                                    La dea d’amore
or vi presenta in caustico il mio cuore.
altro feudo il meschin che una contea.
(Sono tutti i miei feudi un banco in piazza).
                         Signore.
                                           Ah son perduto.
che dal governo mio mi ha discacciato.
vi han bandito voi pur da tutto il stato.
                                              Per impostore.
                                   Son quel che sono.
Io non vi vuo’, se cavalier non siete.
Sono i miei marchesati i miei cerotti.
Si va di qua e di là, si gode il mondo.
O andare alfin vi converrà a servire.
                                             Ed io l’acetto
                                                 Sì vel prometto.
                                     Sì lo confesso,
Via, ti voglio sposar per compassione. (Dà la mano alla Lena)
Vado a far per il mondo il ciarlatano.
                              Figlia tacete,
molti fanno nel mondo un tal mestiero.
                                       È vero, è vero.

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