Ne ha veduto un più bello in altro stato?
il mercato miglior non vi è di questo.
lo rendete migliore e a maraviglia
cresce la sua beltà la vostra figlia.
Troppa grazia mi fa coi detti suoi...
Al complimento rispondete voi. (A Brigida)
Risponderò come da me si suole
liberi sensi in semplici parole.
non ha fatto che dir la verità.
(Il padre è stolto e un po’ leggiera è anche essa).
l’utile che mi vien non mi hanno dato.
Ho del conte un pochin di soggezione).
lo dovete servir di compagnia.
Sono tutta disposta a favorirla. (Parte col conte)
se vuole esercitar la professione). (Da sé)
Se ha qualche malattia, saprò guarrirla.
Io per grazia del ciel nella mia età
Bacio le mani di vossignoria.
che avesse almen cinque malanni o sei.
la febre, lo scorbuto, il mal d’orina,
piaghe, fistole, doglie per la vita
e sarebbe da me tosto guarrita.
io bisogno non ho del vostro aiuto
ma alla carica mia chiedo il tributo.
Un tesoro signor darle destino.
Eccole per i calli un cerottino.
la polve mia per rissanare i denti.
senza ferri, tanaglie e pulicani,
colla polvere mia ritornan sani.
Prenda questa porzion del mio liquore.
d’erbe composto, di radici e sali,
di balsami, di gome e minerali,
per calcoli, per febri ed etisia,
per dolori di corpo e idropisia.
un di coloro ciarlatan chiamati.
delle cure che ho fatto. Favorisca...
Per dir la verità non mi credeva
Tanta gente ha guarrito? Io gli son schiavo.
Merita la virtù dove si trova
goderà di saper i pregi suoi.
Vuo’ che egli venga a desinar con noi.
Venite contadine e contadini.
(Spendere non vorrei molti quattrini).
che quasi quasi, se piacesse a lei,
la sua bella grazietta io comprerei). (Da sé parlando di Lena)
Signor, se vuol dell’ova...
bella ragazza, come vi chiamate? (A Lena)
Lasciatemi veder che cosa avete. (A Lena)
Datela qui. (Che morbida manina). (Da sé)
di portarmela a casa? (A Lena)
Non v’impacciate con i fatti miei.
far la graziosa con i compratori,
aquistarmi potrei degli avventori.
i capponi, i pollastri e le galline,
facendo il giocolin colle manine.
e se mi stuzzicate niente niente...
Non mi voglio scaldar fra tanta gente.
Se l’usanza di lei non si sapesse!
mormorar della gente non conviene.
userà l’arti che con altri ha usate.
ma vuo’ tacere e mormorar non vuo’.
si sa che non sa far che raggazate.
dice tutto e gli par di non dir niente.
della femmina sia costume ed arte
ma fan gli uomini ancor la loro parte.
hanno più d’un amante ed io meschina,
che di fare all’amor talvolta bramo,
non trovo un cane che mi dica: «Io t’amo».
non mi lasci sì presto. Favorisca
per dar divertimento e non vorrei
vi voleste spassar de’ fatti miei.
Il mio cuore ha per lei rispettazione.
a sì gran scioccheria non è un peccato?)
(Le cerimonie mie l’hanno incantato).
io la riceverò con gran bontà.
È la vostra bontà singolarissima.
Oh cosa dice mai? Serva umilissima. (S’inchina)
Oh quanto pagherei che nel mio feudo
non so come mi faccia a restar qua.
viver con questa gente villanaccia,
mi vengono i rossori sulla faccia.
trovar peggio per voi non si poteva.
la stella mia risplenderà propizia
e che la sorte mi farà giustizia.
favorisca di grazia, è maritato?
Ma non è soddisfatto il genio mio.
mostra per me della benevoglianza
ho anch’io per lui della concomitanza.
l’anima giubilar per il contento.
Ma vi vorrebbe un principe d’altezza
per la bella beltà di mia bellezza.
una sorte miglior non mi si appressa,
mi basterà di diventar contessa.
per un messo pedone o cavalcante,
una cuffia, un’andrienne e un guardinfante.
La figlia sua d’un cavaliere è sposa.
e mi vuole sua sposa in ipso fatto.
Ti ringrazio fortuna. Veramente
ch’era donna di nobili pensieri
ebbe grande amistà coi cavalieri.
vuo’ praticare il fior di nobiltà.
una dama da noi ch’io non conosco.
Io non sono avvezzato ai complimenti,
vuo’ che tu la riceva in vece mia.
Venga, la tratterò con cortesia.
che se vuole venir, venghi di qua.
Bella cosa è signor la civiltà.
d’ossequioso rispetto io la saluto.
Io son la figlia del governatore.
favorisca seder. Serva umilissima.
Favorisca sedere e poi ragioni. (Siede)
con il padre parlar da solo a sola.
nel governo son io collaterale.
chi vuol meco parlar parli con lei.
Favorisca sedere e poi ragioni. (Siede)
È propriamente una ceremoniera). (Da sé)
che l’amore e il timor son due gemelli.
Favorisca il suo nome e poi favelli.
vedova di poch’anni a cui la fede
e dev’essere il conte a me marito.
Basta, signora mia, basta, ho capito. (S’alza)
diede a un’altra beltà la preferenza.
Una sposa averà pregievolissima
e la sposa son io. Serva umilissima.
cosa signora mia che in ciò vi dica?
Meco il tempo gettate e la fatica.
la vostra figlia in simile pazzia?
sono il governator di Malmantile.
Non parlate così; ve l’avertisco.
sono arditi di cuor, stolti di mente.
di costei fomentato il folle amore.
Ah purtroppo m’inganna il traditore.
della mia civiltà saprò scordarmi.
ma perdo la pazienza facilmente.
Non mi posso tener con certa gente.
Un arcistupendissimo dottore.
che desia riverir la mia ragazza.
della vostra sapienza è innamorato.
Figlia, fatevi onore, eccolo qui.
(Ecco di mia beltà gli usati frutti.
Tutti restano presi; incanto tutti).
La miro e nel mirarla io mi confondo.
La più bella di lei non vidi al mondo.
che previene da lei pregievolissima.
che gran pezzo ella sia di virtuosa.
Domandatele un poco qualche cosa).
di legge, medicina o matematica.
Sentirete che in tutto è donna pratica).
la febre, l’emicrania e l’etisia.
Presto, figliuola mia, fatevi onore.
Vien l’emicrania dal dolor di testa.
di un volubile cor. Crudel, so tutto.
finger provai per divertirmi alquanto
ma al sincero amor mio fedel mi vanto.
dir che le prometteste il cuor, la mano,
seco stato non foste e lusinghiero.
Io prometterle il cor? No, non è vero.
per diletto talora io scherzo e rido.
Ma voi siete il mio bene e a voi son fido.
Della sua fedeltà non mi contento
s’egli di gelosia mi dà il tormento.
che mi fa sospirar vuo’ vendicarmi,
per punire la figlia e il genitore,
sia mandato un miglior governatore.
qualcun che mi volesse avrei trovato.
e a casa sola, poveretta, io torno.
che un qualche giorno lo ritroverò.
procura sempre di venirmi allato). (Da sé)
per dir la verità mi par bellina). (Da sé)
non vogl’essere certo a dichiararmi). (Da sé)
Siamo da maritar, voglio provarmi. (Da sé)
Io vi posso servir di compagnia.
che mi avete testé mortificata.
l’ho detto anch’io perché vi porto amore.
Meglio sola che male accompagnata.
Vi rassembra ch’io sia da disprezzare?
Ma disprezza talor chi vuol comprare.
Io non vengo a comprar, vengo per vendere.
Qualche cosa ho ancor io da poter spendere.
Se volete comprare andate in piazza.
Voglio comprare il cor di una ragazza.
Andatelo a cercar, lo troverete.
Il vostro comprerò se mel vendete.
che si deve comprare a casa mia.
m’ha detto ch’io non vada accompagnata,
se non sono promessa o maritata.
Dunque per non lasciarvi andar più sola,
di volervi sposar vi do parola.
Avvertite, ragazza, a non burlarmi.
e chi primo ci va primo si aspetta.
Ma se meglio trovassi a’ giorni mei
con un altro miglior lo cambierei.
Affé, che quel visino m’innamora.
Le voglio ben ma non l’ho detto ancora).
seguito in casa mia ma non temete,
vi potete tornar quando volete.
Dalla figliuola sua non tornerò!
voglio che voi venite a star con me.
non vado in casa del governatore.
Vuo’ cercar l’occasion di maritarmi.
facile il maritarvi in casa mia?
vogliono che le loro innamorate
stiano in casa modeste e ritirate.
da strappazzar così. La vostra mano
degna è d’un gran signor, non di un villano.
Oh cosa dice mai? Lei mi mortifica.
Contadina son nata e il mio destino
mi obbliga ad isposare un contadino.
Ma non sono, signor, sì fortunata.
che ha titoli, che ha gradi e facoltà,
che per voi non avria difficoltà.
Sì, un gran signore e il gran signor son io.
Lo conosco, signor, voi mi burlate.
Se mia figlia si sposa, io resto solo
e mi vuo’ maritare anch’io di volo.
con madame o signore aver imbroglio,
se volete vi fo governatrice.
(Se dicesse davver lo piglierei).
Presto sarete mia, ve lo prometto.
Il cor per l’allegria balzami in petto.
Tosto ch’io son venuto a Malmantile
quegli occhi, quella bocca e quel nasino
mi han fatto per amor tornar bambino.
e la voglio sposar, corpo di Bacco.
Ma... Lampridio Lampridio... una parola.
Brigida, che ha pensieri da sovrana,
che dirà, s’io mi sposo a una villana?
Soddisfo il genio mio... Ma piano un poco,
sono il governator di Malmantile.
collocata ha dei cor la cinosura.
di possedere una sì gran beltà?
un conte titolato e se non trovo
presto un qualche partito più magnifico
con il conte mi sposo e mi mortifico.
di titoli non evvi carestia.
Eccoli qui, ve li farò vedere. (Le mostra il libro de’ privilegi)
prevalere mi vuo’ dell’impostura).
ecco qui una contea ma questo è niente.
Son di trenta città giurisdicente.
Ella è conte e barone ed è marchese?
La sua gran nobiltade è strabocchevole.
Si tripudia, si gode e si solazza.
Mi ha detto il padre mio, cioè l’illustrissimo
ch’ella di medicina era un dottore.
Bramo di far spiccar l’abilità
e medico ciascun per carità.
Con costui che le genti ha corbellate.
le porcherie che lasciano gli armenti
per un segreto da pulire i denti.
È una pazza costei. (A Brigida)
Ma dalla nebia non si offusca il sole.
Con chi parlate voi? (A Berto)
così parli d’un conte e d’un barone?
È un barone costui? Non lo sapeva,
le pillole, i cerotti e l’orvietano
e l’ho sempre creduto un ciarlatano.
Gente senza rispetto e civiltà.
Egli medica ognun per carità.
Datemi un cerottin, se lo donate.
la roba per i denti io vi ho pagato.
Datemi il mezzo paolo che vi ho dato.
Non pagasti né meno la boccietta.
Vendere per i denti una sporcizia?
Basta così, mi farò far giustizia.
Ma con tale genia vi vuol pazienza.
Vi giuro, nell’udir tal vituperio
mi si aveva scaldato il mesenterio.
Fatelo e quattro mela anch’io vi dono. (A Brigida)
Talpa, selce, villan, non sai chi sono?
Uh uh quanta superbia! Vostro padre
ch’ora è governator di Malmantile
nato è anch’egli villan nel mio cortile.
quel mentitor, quell’uom senza rispetto
mi fa venir le convulsioni al petto.
Povera e nuda vai filosofia.
si vede ben ch’è scimunita e pazza.
Se le perdi il rispetto, io ti bastono.
vi rompo il cranio a forza di sassate.
Son medico, briccon, non ciarlatano.
Ed io son contadino e non villano.
e vogliono i danar che vi hanno dati.
Non si parla così con un dottore.
Andiamo tutti dal governatore.
sindaco, deputato, io condurrò
questa gente dinnanzi e parlerò.
ma Brigida lasciare io non vorei).
Andiamo pur, vi farò far giustizia. (Ai contadini)
non trattate così, bella ragazza,
Tutto per voi farò quel che bramate.
Sì lo voglio veder precipitato.
tutti questi che fur da lui gabbati.
accusiam l’impostore; e fatto questo,
Lena, fra voi e me si farà il resto.
Compatitemi Berto. In verità
ma un partito migliore ho ritrovato. (Parte)
se anche con te non saprò far vendetta.
due liti in una volta io voglio fare. (Parte coi contadini)
castigato sarà l’operatore.
Alle parole sue non credo più.
che vengano le usate seccature.
sono il governator, vi vuol pazienza.
Venga innanzi da me chi vuole udienza. (Siede)
ed ogniuno da lui restò gabato.
Io, che il sindaco son di Malmantile,
Condannatelo a far restituzione.
Lo diedi a un prezzo vil per carità.
A ciascuno donai la sanità.
sono buoni per ungere i stivali.
che approva i miei rimedi singolari.
Chi provò i miei segreti è rissanato.
diran che quel ch’ei vende è una sporcizia.
Signor governator fate giustizia. (Batte colla mano sul tavolino e Lampridio si sveglia)
alla galera lo condanerò.
Io non ho inteso ben quel che diciate.
ha gabbato la gente ed è così.
La causa è di rimarco. Io non mi fido
Ehi! Andate a chiamar la mia figliuola. (Ad un servitore e si alza)
vo per i testimoni e torno adesso. (Parte)
Son genti scelerate; io son chi sono.
Alla vostra giustizia io mi abbandono.
la sentenza qualcun mi ha da pagare.
Fate che in mio favor nasca il decreto.
E vi do per i calli il mio segreto.
Per i calli il segreto? Con licenza,
voglio far come va la mia sentenza.
voi dovete seder collaterale.
che insegna al mondo a propagar giustizia.
siede nel vostro cor. (A Brigida)
e dal vostro bel cuor giustizia attendo.
Sì signore ha ragione, io lo diffendo. (A Lampridio)
Quando lo dici tu, sarà così.
Mi rallegro davver colla signora.
Parerà un bel galletto colla cresta.
E chi vuol grazie ha da venir da me.
Quand’è così, signora mia garbata,
la prego di una grazia anticipata.
la libertà di corbellarla un poco.
quando governatora un dì sarò.
e le pecore sue governerà.
ma ho fatto il mio ricorso a chi si aspetta.
E fra poco vedrò la mia vendetta.
e di due testimoni alla presenza
intimategli tosto la partenza.
Come! È il governator di qua scacciato?
di governar questo castello è indegno.
venga, venga con me, signor notaro.
Di burlare la Lena or mi preparo. (Parte col notaro)
di far pretendo una giustizia ancora.
dice ch’è un cavalier senza creanza.
Un notaro venuto di Firenze.
Quando mi parerà l’ascolterò.
che stiam un poco a ragionar insieme.
quando credessi di legarlo io stesso.
ch’esser io devo la governatora.
Subito che mia figlia è maritata,
sarà Lena gentil da me sposata.
Un abito da sposa come va.
e faremo le nozze in allegria
che si balli, si canti e che si suoni,
invitare un’orchestra strepitosa.
i violini, i violoni, il violoncello,
obbligata vi son sposino bello. (Parte)
ha ragion; non dovea trattar così,
la cagion del suo sdegno eccola qui.
farmi fare sì lunga aspettazione.
Vorrà dir che venite ad isposarmi.
vengo a darvi, vuol dir, l’ultimo addio.
nel borrascoso mar della speranza?
Voi usate con me la traccotanza?
è legato il mio cor da un’altra amante.
vendicarmi saprò, te l’avvertisco.
(Debole è di cervel, la compatisco).
Se sposar non mi può presentemente,
mi servirà da cavalier servente.
come in faccia di Febo il girasole.
come il ferro suol trar la calamita.
la magnetica forza unirci insieme.
D’altro laccio il mio cuore è liberato.
or vi presenta in caustico il mio cuore.
Sì, voi siete signore il fortunato.
tanti gradi qual voi di nobiltà.
altro feudo il meschin che una contea.
Di nobiltade in casa mia si sguazza.
(Sono tutti i miei feudi un banco in piazza).
che dal governo mio mi ha discacciato.
Ah il rossore mi copre e la vergogna.
vi han bandito voi pur da tutto il stato.
alle spalle de’ gonzi allegramente.
esser vogliono fatti e non parole.
Io non vi vuo’, se cavalier non siete.
E voi signora mia non mangiarete.
Ah destino protervo e sciagurato.
Sono i miei marchesati i miei cerotti.
Si va di qua e di là, si gode il mondo.
Povera nobiltade! Io mi confondo.
meco almen vi potete divertire.
O andare alfin vi converrà a servire.
Deh perdonami Astrea, che far non so,
dunque quand’è così vi sposerò.
Qual mi date d’amor sicuro segno?
ma vuo’ tutto anche il cor.
Via, ti voglio sposar per compassione. (Dà la mano alla Lena)
Meritava di peggio un uomo insano.
Vado a far per il mondo il ciarlatano.
molti fanno nel mondo un tal mestiero.