in tutto obbedirò ma, perdonatemi,
a me deve piacere e non a voi.
Eh pazzarella, che al tuo ben non pensi.
Quel galantuom che a visitarti viene
di buon aspetto egl’è; paga il maestro
ed è cotto per te; ma quel che importa
che in questi tempi è tanto raro al mondo.
Dunque credete voi che amar io possa
un uomo come lui rozo, sgarbato,
che non ha dritto né roverscio? Or teme
ora mille sciocchezze a dir s’avvanza.
non ha lindura e veste alla carlona.
Io non son così buona; un uomo io voglio
bello di volto, di trattar gentile,
generoso di man, grande di core,
che degno sia d’un musicale amore.
Il signor Tascadoro alfin non vuoi
potressimo sperar di ben pelarlo.
Ed io finger potrei, che in vita mia
non so d’aver mai detta una bugia?
E poi pelar colui? Ma non vedete
che donar ei non sa, che il suo dinaro
e lo spenderlo crede un gran diffetto?
tutto convien tentar; per poco abbiamo
da fare ancor di qua, se nol peliamo.
Basta, m’ingegnerò ma non so dirvi
una madre amorosa al fianco avrai.
senz’altri complimenti egli s’avvanza.
Ohimè, non posso più, presto ch’io sieda.
Ma signor Tascadoro ha qualche male?
e ho dato una mangiata da gran porco.
è il ventre mio che reggermi non posso.
(Ma che mai fa? Che vedo?)
parmi d’aver ancora un salciccione.
quanto voi mi vedete industrioso,
tanto son per la figlia anco amoroso.
Odi che bella sorte, o figlia mia.
sente per te d’amor qualche tormento.
ch’egli scherza così; sperar non posso
possa vantar un sì garbato amante.
Ma tutto, tutto per la schiena... (A farle
un complimento anch’io polito e nuovo
vorrei belle parole e non ne trovo).
Sangue... Schiena... (Un bastone).
voi pelate il mio core e il mio polmone;
di parole per voi resta pelato.
né vestiti così da capellone.
abito corto con larghi faldoni,
attillati calzoni alla spagnola,
di bianchi pizzi e fini il manicino,
piccolo capellino, anzi invisibile;
di dietro il maroné con borsa o coda,
scarpa senz’alzatura in su voltata,
calzetta fiammeggiante e ben stirata.
nel conversar civili e rispettosi;
m’intendete? Così van gl’amorosi.
ah Pelarina mia, che belle cose
io saprò far prima che venga sera.
Ma la lezzione non udiste intiera.
che debbo far per esser vero amante.
Vi resta da imparar il più importante.
d’ampolline, di bussoli e di stucchi,
tutti ripieni di galanterie
o di qualche vital contraveleno.
massiccie con tabacco soprafino,
e quel che importa in tasca un gran borsone
gravido di zecchini traboccanti;
e questa è la lezzion de’ veri amanti.
quest’ultima lezzion ma vuo’ far tutto,
purché, o bella, ma bella voi m’amiate.
quieto non posso star. L’oro e l’argento
che mi fa diventar gradito amante
porterò sempre ma ben chiuso adosso.
Così ti peleremo infin su l’osso.
vuoi lasciarti scappar la tua fortuna.
Voi dite ben; peliamolo peliamolo
Quand’ei donato avrà, vorrà ch’io doni,
le speranze a pagar; la splendidezza
e voglion coi regali aver comprato.
quanto in uscir da perigliosi incontri
credimi, a un rischio tal non t’esporrei.
Ma tutta la mia pena or non è questa.
almen dell’amor suo vorrà parlarmi;
no con quel babuin; soffrir non posso.
Tutto ha il rimedio suo, fuor che quest’osso.
Diamogli quando vien quella pelata
ch’io penso, gli faremo un tal spavento
ch’ei mai più di vederti avrà ardimento.
che far pagar volete a quel buon uomo?
Sì, quel che l’impressario di Mazorbo
che fingerete in venezian linguaggio
la veneta adoprar favella amata,
su queste pietre cotte io sembro nata.
Addescarlo or mi conviene.
nel favellar gentile e rispettoso
eccovi in Tascadoro un amoroso.
che incantata m’avete. (Oh bestia!)
Non vel dess’io che stupirete?
che a questo vago oggetto e sì galante
resa abbastanza io son tenera amante.
O cara, o grande, o amabile lezione,
da voi poc’anzi a me insegnata!
a scriver una lettera; tu intanto,
o figlia, il cavalier va’ rallegrando
con qualche scherzo; a te lo raccomando.
e so ben io di rallegrarlo il modo.
Restiam soli? Or sì ch’io godo.
con voi empie di gioia il seno mio.
col riso accompagnar la vostra gioia.
il vedermi sì lindo e sì garbato?
da troppo fiera angoscia è questo core.
brillar faceste, oh cielo! agl’occhi miei
che mi fe’ ricordar d’un che perdei
maledetta lezzion!) Io vuo’ riporlo
consolarmi così per un momento.
(Ahimè!) No, che il vederlo è più tormento.
vostro conforto ei sia, non lagrimate,
sempre il contemplerò; come è mai bello!
è pur la libertade a voi sì cara.
Sì. (Mai più solo. Oh libertade amara!
Ma non si perda in tutto). Or Pelarina
(Ecco la mosca che s’accosta al mele).
Mio bel sol che sereni i giorni miei
(Dell’anello il brugior già più non sento).
E amorosa così vi brama il core.
(Un nuovo segno or ti vuo’ dar d’amore).
Alla conversazion del conte Cimbano
a mez’ora di notte io sono attesa.
fan di ventitré ore un quarto meno.
È ver, ma che disdetta a una mia pari
è il non aver cinque orologgi almeno.
un da conversazione, il quarto al letto.
(Ahi si fa brutto il tempo). E il quinto poi?
possa il quinto giovar vedete voi.
e l’ultimo che dite anzi è proibito,
acciò la virtuosa non s’affanni
e si faccia aspettar così al teatro.
Eh non scherzate. È debito preciso
Pria di parlarne più, debbo insegnarvi
come all’amata il vero amor ragioni.
No no, da voi non voglio altre lezzioni.
Fermate. (Oh ciel!) S’ascolti
un vero amante alfin come si scopre.
D’un verace amator parlano l’opre.
(E gl’orologgi miei parlar dovranno).
ve li consegno e ad ascoltar m’appresto.
(Che parlar assassino, o Giove, è questo).
Parlan così; sentite: «È Tascadoro
Seguite, o cari, via parlate ancora,
Non parlan più, perché vi manca il quinto.
Or via mo, siate buona, e se m’uccise...
e cordoni de seda a un soldo al brazzo.
Vien qui costei che grida?
è allegra assai, rider farebbe i marmi.
(E il diavolo or la porta a disturbarmi).
creature comprei a un soldo al brazzo.
(Brava mia madre). O Canacchiona addio.
Fazzo de reverenza a vusustrissime.
Quanti anni e quanti mesi?
con un bel zentilomo in compagnia.
O cara donna quanto mi piacete.
S’è gonfiato in udir bel gentiluomo.
Che sielo benedio. Quanto che godo
co vedo zoventù che se vuol ben.
la fa cascar el cuor. Questo xe ’l tempo
che in vecchiezza se xe boni da gnente.
diga chi vuol, mi son la Canacchiona.
No da donna onorata... Uh si savessi,
ma no la vuol che in casa i ghe lo veda
za mez’ora in scondon la me l’ha dao.
questo tempo è per me senz’alcun frutto).
Credo de sì; l’è un drappo a tutta usanza
e po basta saver ch’el vien de Franza.
Sì ben de Franza; no vedé che mina?
(Chi sa s’egli né men vide Fusina).
l’è longo, grando, ricco e ’l fa fegura
e per vu el ve anderave una pittura.
Dite ben; quanto è ’l prezzo?
a chi l’ha fatto far; ma chi lo vende
con puoco l’ha acquistao, ghe preme i trairi
per cento zecchinati anca i lo mola.
al merito del drappo; a farlo nuovo
ne vorrebbon ducento; e sol mi pesa
né poter perciò far sì buona spesa.
vu fé a sto zentilomo? In so presenzia
tremé de bezzi? Nol xe minga un tegna
da no ve contentar de sta fredura.
alla conversazion; vi lascio, addio.
ch’io v’obligassi a far questa spesetta.
che studian di pelar or questo, or quello.
(Gl’orologgi lo san, lo sa il mio anello).
E poi non ho tal merito...
Sì, son io che non voglio.
lassé ch’el ve lo crompa.
ma se è lei che non vuol.
ricevo il don, contategli il denaro.
(Ah per te borsa mia non vi è riparo).
dolce pegno d’amor perch’io vi creda?
E ben, si qualche gran anca i calasse
no vardo tanto per suttilo.
Eh non partite; al vostro amore appresso...
Olà; comandi a me? Vuo’ andarvi adesso.
Ecco a che ti conduce, o Volpiciona,
l’amor di madre. Il ciel la mandi buona.
È venuto il capriccio a Pelarina
di voler ella stessa travestita
far la filata a Tascador, se viene;
in caso di bisogno e trasformarmi
volli, per esser pronta all’occasione.
ma non vorrei figliola...
a Tascadoro quel biglietto.
io te lo dissi già che per un uomo
noto a me, ignoto a lui, ma destro assai
e s’accostasse alla mia casa ancora,
se dal suo capo uscir farò l’umore
Eh so il parlar, so tutto ed ho coraggio.
talvolta delle belle io ne farei
come fan certi bravi al giorno d’oggi,
che con un magazin d’armi alle mani
voglion dar, amazzar ma stan lontani.
a che mai mi riduci. E pur io voglio
andar da Pelarina, anco al dispetto
di colui che mandò questo biglietto.
Chi mai è quella maschera che veggo?
«Signor buffalo». A me. «Se mai più in casa
di Pelarina andar e di guardarla
con la vita l’ardir tu pagherai.
La mascheretta è Tascadoro.
colei tanto infedel? Ma forse ancora
non sa di questo conte indiavolato.
così son travestito; in questa guisa
deludo il Campagnola e vado a lei.
Un altro più bel colpo io già pensai.
Se alfin tradito è l’amor mio,
Vanne, trattienlo, usa con esso
ciò che a te alcuna volta è intervenuto.
Eh sono donne alfine e intimorirle
(Farsi animo convien e uscir d’imbroglio).
La ran, la ran, la ran, lan la ran lella.
ochietti bagolosi e comandeme.
Si no volé vegnir a l’ostaria,
anderemo al cafè, alla malvasia.
sbrigarmi io vuo’). Pe’ fatti vostri andate,
io di quelle non son che voi cercate.
a quella sottogola de alabastro,
a quelle ganassette delicate
ma si bella vu sé, sié mo anca bona.
(Che feci!) Ehem ehem, son raffredata.
che son uomo ma poi per la mia vita
A un cortesan della mia sorte
sti torti no se fa; so la maniera
d’averme refudà ve pentiressi.
(Abito feminil ti maledico,
Signor no, signor no, l’è ben curiosa.
Si no vegnì con mi, gnanca con altri
vu no anderé; da vu mi no me parto,
magari in Inghildon, ve vegno drio.
Questa vi mancherebbe al caso mio.
mi te gh’ho pur trovada e l’esser scaltra
(Or sì ch’egli sta fresco).
la me fazza giustizia; sta sassina
in gheto za do mesi xe vegnuda
e tanto la gh’ha dito e tanto fato
a nolo senza pegno ghe l’ha dai
No me disé de più, za intendo il resto.
l’abito per truffar e ’l nolo insieme.
ch’esser posto tra un bulo ed un ebreo?)
tardo, costor di me faran strapazzo).
son qua tutto per vu; de consolarve
de le so baronae pagar el fio.
Eh la va lunga assai; mirate entrambi
l’insolenza che troppo or va avanzando.
(Già mi svelai. Giove mi raccomando).
si megio no parlé, volé che fazza
de quella vostra mausa una fugazza.
A la ose arzentina, a tutto el resto
O questa sì che saria bella assai.
Or vedo ben che siete ambi d’accordo
qua no ghe xe d’accordi, è vero el fato
Via, che te averzo a mezo.
vederé si so far la parte mia.
(Era pur meglio andar all’osteria).
si no, come i salai te tagio in fete.
Son putta, sì signor; ma che volete?
lei sbaglia in verità; questi vestiti
Via, tasi là; no la ghe creda,
(Che rabia!) Prendi sì ma un giorno... Basta.
a ela siora maschera ghe rendo,
che la m’ha fatto dar la roba mia
e la fa che culia vaga a radichi;
mandar ghe vogio de pastei bruicci.
Oibò; adesso vu sé sior Tascadoro.
Questo dunque è l’amor?...
or v’uscirà dal capo la pazzia
che mi parlasti; or che rubbato m’hai