la finirai con questi tuoi romanzi?
si vede bene che non hai buon gusto;
basta, ciò non importa; usciam di casa (S’alza)
quei marchesi indiscreti.
Ci vengon di buonora a infastidire.
alla vaga Beatrice, alla sua Laura
il Petrarca già fece, umil s’inchina
don Tiberio alla sua vaga Moschina.
Anzi più tosto perché son venuto...
quando io fo complimenti, l’occipizio
sento andarmi sossopra a precipizio.
faccio alla mia Vespetta un gran saluto.
Oh che caldo, oh che caldo.
per dire due sciocchezze. (S’alzano)
Io dunque, mentre il piè rivolgo a lei,
e una canzone, anzi sbagliai, sonetto
Lei non sbatte le man né lei né pure
Ma lei non mi risponde? Udiva pure.
Euridice nel fiume acheronteo.
che per ella mi dà febre amorosa.
E lei, signor marchese, par che rida?
Ella mi dica presto, schietto schietto...
Anch’io m’inchino a lei. (In atto di partire)
Se così non vi piace, ecco la porta.
Vieni vieni, Vespetta, all’aure grate
mi fa pietà, per la sua bella tanto
Moschina, olà Moschina, ecco i marchesi.
Stanno dietro alla fontana. (S’alza)
Prendianci di lor gioco alla lontana.
almeno almeno le vuo’ far la caccia. (Parte)
quando alzò la visiera e la sua cara
vista la faccia scolorita e bella:
«Non cadde no, precipitò di sella».
Lo senta espresso in queste mie parole.
Dico a lei, mi senta in grazia.
il tenue e dolce suon di vostra voce
che, con il suono delle mie parole,
che trapassa l’udito, adesso anch’io
voglio spiegarvi il sentimento mio.
Alla mia bella andato sono appresso.
L’ho fatto ancor la caccia infin adesso
né l’ho potuta ritrovar; vediamo
se ella tornasse qua; son risoluto,
la voglio innamorar; zitto, mi pare
M’intenda... Per ragione...
Ma non s’infastidisca. Lei mi dica...
Mi dica, insomma lei m’ama o non m’ama?
Adesso lo dirò; vi manca il brio,
la grazia, l’allegria; e quel ch’è peggio,
cioè, capisca ben, la splendidezza.
Pur non mi par così. Deh! Via carina,
ti faccia almen pietà questo mio viso
tu mi vedrai morire, idolo mio.
voglio che sia di buona pasta e dolce,
per farlo fare a modo mio; ma appunto
questo per me sarebbe; egli ha denari,
e star ce lo farei come un alocco.
Macrobio, tu già sai che queste pazze
più non ci vonno in casa loro ed io,
che a lor dispetto mi son posto in testa
di venirvi e burlarle, in questa guisa
Così vestiti non ci crederanno
più marchesi ma ben due giardinieri
che a lavorar qui stanno; io l’ho avvisati,
E si staranno cheti; olà seguite (Ai giardinieri)
e faccio un pregiudizio al marchesato.
Qui non v’è male, anche i guerrieri sanno
cangiare abito e forma; e noi vogliamo
coprire per amor il viril sesso.
co’ pesci a divertirci in questa fonte.
L’ami prendiam, mentre dovrian fra poco
venir le belle unite in questo loco.
Senti amico; giacché qui siam tornati
senza d’esser mirati, io vuo’ che ascosi
in qualche luogo or or fare una burla
a queste amiche sprezzatrici; osserva,
vedi là su quegli alberi... No, ferma...
Vedi quei vasi, ivi vogl’io che adesso
Perché! Come faremo ivi a salire?
Ed io, ed io non sarà mai.
Ma guarda, (Mostra salire)
guarda come facc’io! Su via, t’accosta.
Orben, proviamo. (Sale e si pone nel vaso)
mi viene un’altra volta un gran tremore.
io salirò come un augel volante
per burlar questo sesso disprezzante.
il fiato ripigliar; in simil guisa
sediamo e poi per divertirci alquanto (Sedono)
unite insieme qui sciogliamo il canto.
Eh non vorrei che fossero i marchesi.
cantiamo pure e in allegria qui stiamo.
Che sento! Ohimè! Mi muoro di paura. (S’alzano e si volta vedendo movere il vaso)
Non temer... Non saprei... Oh dio! Che vedo!
Tremo da capo a piè... Ma... già mancarmi
Sorella, aiuto... Ohimè... Già vengo meno. (Sviene)
Mi vacilla la testa... E un fredd’umore...
Ahimè!... Che cado... E vengo meno anch’io. (Sviene ed esce don Macrobio)
apri le belle luci, idolo mio.
che in mirarlo mi fa tornare il fiato.
Se vi sentite voi tornare il fiato
quando ch’io miro voi, me lo togliete. (Parte)
Vespetta mia, perché mi sento acceso...
se tutto foco siete.., io giuro al cielo
che per voi sono tutta un freddo gelo. (Parte)
senza ritegno per l’istessa strada. (Parte)
Don Tiberio, tu fuggi... Eh! Dove vai?
Ferma ferma... Partì... Cara Vespetta,
ah non mi sento... Ah se tornasse almeno
vedrebbe il mio dolor. Dunque deh! torna,
torna bell’idol mio. Vieni... O non vieni?
Il cor mi dice sì, no dice amore
e intanto oh! dio, nel sen mi batte il core.
Raccor non posso il fiato; e il cor mi sento
palpitare nel sen per lo spavento.
Scusi, signora mia, se la disturbo.
Ma signora, se il caso o l’accidente...
che molto a caro le saran.
qui v’è fra gl’altri un libro intitolato
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno? (Legge)
la gran rocca espugnata).
Senta, se rider vuole, c’è Bertoldo,
della sua diva amante ma in amore
valli e monti passò. portando impresso
l’originale in mente e nella mano
che teneva di lei l’imagin viva.
come di poesia fu fatta amante,
ora al giardino ed ora in casa andava
e qualche volta ancora ci buscava.
Ed io, ed io, signora, che per voi
fatto ho l’istesso or or...
E voi, e voi pensate a quel che dico.
ma nulla intender posso del mio fato.
Ma come va la cosa? Io non l’intendo.
«Vide Bertoldo, in una copia... espresso...»
Dunque son io la copia ed io son desso.
Non mi state a seccare le budella.
«Or al giardino e ora a casa andava
e qualche volta ancora ci buscava».
crudele, tu te lo portasti via.
Penso e dico che tu sola ne fosti
la ladra disleal; dammelo adunque,
Ho perduto il cervel, misero amante.
Poveri amanti, a che siete ridotti,
a far gli spasimati e per amore
Piano piano vorrei... Non so che faccio.
Vado o non vado? Cosa fo? Mi fermo?
Eh si vada, che mai mi vorrà dire.
Nascondersi così, farmi paura,
per domandarvi... Anzi mi faccia grazia. (Dà cenno al servitore, s’avanza e parte poi)
Ohibò, mi fanno rabbia, antiche
che non era il Seicento entrato ancora.
(Oh che diavol di testa è questa mai!)
E questa pur... Ma no, l’è bella.
guarda, guarda sorella questa cuffia
Le sono servitore. (Quell’addio
E pure, o bella mia... (A Vespetta)
(Siete pur buon, signor Macrobio mio).
(Peggio, mi dice «mio», mi dice «addio»).
ora e poi sempre, cara Moschinella. (A Moschina da parte)
Così va ben, l’è bella e galantina.
Che ti par? Che ne dici? È ver Moschina?
(Neppur mi ringraziò ma non importa.
Che ne dite, signore, del disprezzo
il cervello e li sensi mi rapio).
Dopo ne parleremo, oh! via carina.
(Il colpo è fatto); ed io v’amo e v’adoro
e voi sempre sarete il mio tesoro.
Ed io, ed io da ver vi dono il core.
Ed io vi giuro infin ch’è vivo amore.
femmi scoprire dalla cameriera
deve portarsi qua fra pochi istanti; (Siede)
mascherato così, venir qui volli
e alfin se mi riesce anco sposarla. (Esce Vespetta e, doppo essersi accostata al tavolino del gioco, va a sedere)
Chi sa, chi sa ch’essa non sia; proviamo; (S’alza e va a sedergli vicino)
Ehi dove siete? Olà, caffè portate. (Esce un cameriere che poi torna col caffè)
Moschina, mia Moschina...
Sbagliai... Mi scusi... Volli dir... Colei...
colei ch’ha il figlio con la benda agl’occii...
e pian piano nel core s’intromette... (Prende anche Tiberio il caffè)
Intesi, quello è don Tiberio e crede
che quella, con cui parla, che sia io.
Vi sono serva. Oh! Che piacer, che gioia! (Sedono e prendono il caffè)
mascherati così, darsi la mano...
però non mi par cosa; io vuo’ che pria
quando saprà che sposo mi son fatto.
Se non sbaglio, colei mi par Moschina;
invitiam quelle maschere a giocare.
Non mi dispiace. (Si danno le carte)
(Mi comincia di già la gelosia).
(Mi sento rosicare le budella).
Segua a giocare. (A Macrobio)
Ma toccarsi la man, toccarsi il piede...
(Oh non ne posso più; adesso sbotto).
Giochi e bassi le mani. (Forte a Macrobio)
Lo vo’ da parte a parte trapassare. (Mette mano alla spada)