Metrica: interrogazione
480 endecasillabi (recitativo) in I bagni d'Abano Venezia, Fenzo, 1753 
                                                Oh se sapesti!
Con quell’ipocondriaco malorato
resister non si può. Son disperato.
                                                Te lo dirò.
ha gettato i denar senza sparagno;
or pien d’ipocondria venuto è al bagno.
graziose malatie. La vedovella
perché patisce un certo mal curioso
quando la poverina è senza sposo.
che uscì doppo di lei, pieno è di doglie,
perché il suo genitor non gli dà moglie.
anch’io mi bagno per conversazione.
che viene in questi deliziosi guazzi
il numero maggiore è quel dei pazzi.
Io l’ho fatta però peggio di tutti,
e l’occasione ha fatto innamorarmi.
Lisetta cameriera di Violante
mi piace, perché è bella ed è vezzosa,
ma mi fa disperar, perché è stizzosa.
                               Sia maledetto! (Verso la scena dove viene)
Se lo fa per dispetto, anderò via.
Fermati. Con chi l’hai Lisetta mia?
un neo tagliato a mezza luna ed ella
l’ha voluto cambiare in una stella.
Sì; le vuo’ domandar la mia licenza.
Cara Lisetta mia, così di botto
                                           Ma! Son cose...
Cara Lisetta mia, sei troppo calda.
tutto pieno di foco è il sangue mio.
E per questo ogni dì mi bagno anch’io.
Procura rinfrescarti a poco a poco.
Perché l’acqua alla fine estingue il foco.
accendi una fornace nel mio core.
                                                Se lo credessi,
Tutto il mal soffrirei senza lagnarmi;
ma sei furba, sei donna e puoi burlarmi.
Cosa vorresti dir, perché son donna?
Menti, stramenti, temerario, indegno;
finte sono le donne? Ardo di sdegno.
                                         Sei un briccone,
                Lasciami star. Finiam la tresca.
Presto vatti a bagnar coll’acqua fresca.
Furbe? Finte le donne? Non è vero.
Foco, foco in camino. Altro vi vuole
chi sente lei, le dico delle ingiurie;
se mi voglio scolpar, va sulle furie.
Meglio quasi saria ch’io la lasciassi
la custode del bagno femminile
che men calda mi pare e più gentile.
Basta... Mi proverò. Sia questa o quella,
Amo il bel sesso e non ne vuo’ star senza.
Ehi Pirotto, Pirotto; oh disgraziato
Solo venir sin qui mi è convenuto.
non vi è alcun che mi porga da sedere?
                                 Vi servo subito.
Oimè! Nel ventre mio sento un decubito.
                           Oh tosse benedetta! (Tossendo)
                                     Non tanta fretta. (Siede adagio)
la macchina scompone facilmente.
                                        In questo caldo,
l’aria che gioca tempera gl’ardori.
L’aria sotil s’insinua per i pori.
                                     Dite a Pirotto
una tazza di brodo senza sale.
Tutto il male che avete è nella testa. (Parte)
                       (Oh che beltà! Ritorno in vita).
                                     Mi passa un poco.
                                                Sì, ma presto.
Un cordiale di corda è pronto e lesto.
                        Su via, venite a pranso.
Suonato è già del campanin l’invito.
Il calor naturale è andato via.
Con buona grazia di vusignoria. (Vuol partire)
voi mi fate venire il mal di core.
par che mi senta minorar il male.
Voi mi fate più ben d’ogni cordiale.
(Se credessi far bene i fatti miei...
Se dicesse davver, lo guarirei).
Ah la gran bella cosa è la salute!
Non vedete che faccia trista e rossa?
                                         Oh quest’è bella!
Tisico voi? Oh che vi porti l’orco.
Se siete grasso che parete un porco.
                                    Quand’è così,
                                            Però non sento
del ventre ancor timpanica la pelle.
Siete pien di malanni e di schinelle.
                                   Se foste sano,
voi potreste dispor de’ fatti miei.
un cadavere amar, vorrei vedervi
allegro e di buon gusto e allora poi
tutto questo mio cor saria per voi.
M’hanno que’ begl’occhietti risanato.
Ma se starò con esso in compagnia,
farò passargli la malinconia.
né speranza mi dai d’esser felice.
che avete che sembrate esser dogliosa?
                                           Oh dio! Nol so.
Che sì, che se ci penso io vel dirò!
                                      Oh sì signora,
il medico parlare. Abbiamo insieme
fatte sperienze sulla pelle altrui
e son giunta a saperne quanto lui.
Guarda con attenzion l’orina e il vaso.
Scrive con l’arte e lascia fare il caso.
non mi fanno alcun bene. Ah che al mio male
Rispondete, signora, un poco a me.
                                            Due anni or sono...
              Signora mia, già v’ho capito.
                                         Sarà l’amore.
Ho inteso. So perché siete ammalata.
Voi poverina siete innamorata.
Confessatelo a me; tutt’è lo stesso.
                                 Sì, lo confesso.
Femina di buon cor mi troverete.
Voi sospirate, avendolo veduto?
Signora, il vostro mal l’ho conosciuto.
Anzi vi attenderò, se mi è permesso.
(Son pieni tutti due del male istesso).
Vi prego... Andate innanzi. (A Riccardo)
                                                   (Oh bella cosa!
(Ah Violante per me non sente amore).
(Voglio meglio scoprire il di lui cuore).
(Ambi mi fan pietà). Signora mia,
qualche cosa per voi? (Piano a Violante)
                                          Ma io... credete...
Eh non state a negar. Già c’intendiamo.
                                            Signor Riccardo
come sta il vostro cor qui per l’amica?
Che siate bastonati tutti due.
Conosco le parole, intendo i motti.
Mostrate d’esser crudi e siete cotti.
                                        Niente.
                                                        Parlate.
qualche cosa dirò di vostro gusto.
                                       Son qui da voi.
suggezion l’un dell’altro.
                                              Non v’è dubbio;
quando ci siete voi non ho timore.
Superar voi mi fate ogni rossore.
per mezzana gentil de’ vostri amori?
               Che dite mai?...
                                              Venite qui,
voglio fare per voi quel che vorrei
che facesser per me gl’amici miei.
della maestra i dolci insegnamenti.
erudindo mi vado a poco a poco.
una vedova aver pupillo il cuore.
                                               Poverino!
Nella scuola d’amor siete innocente. (Con ironia)
(Solito complimento oltramontano).
Monsieur La Flour, voi siete un uomo franco.
Colle madame al mio dover non manco.
Siete galante assai. (A Violante)
                                      Vostra bontà.
                                       Di che mai?
                                        Voi v’ingannate.
Innocente rispondo a chi s’inchina.
Monsieur Ricardo è pien di gelosia).
Andrò a disingannarlo). (Vuol partire)
                                              Perdonate.
                                        È già suonato
                                      Troppo compito.
Deggio prima passare alla mia stanza.
Si sta senza malizia in allegria.
che da tant’anni non fu mai aperta
ho fatta una scoperta portentosa,
e tutti goderem lieti e contenti.
                                     Avrete inteso
                                               Era un mago.
e la mia mente curiosa e franca
ha imparato a operar per magia bianca.
                                    Non temete,
voi vi divertirete; in questi bagni
dove noi siamo in buona compagnia
necessaria per tutti è l’allegria.
Amo solo Riccardo e può lui solo
Ma timida son io più che non lice.
Chi vuol pace in amor vi vuol coraggio,
alma fida, cuor pronto e labbro saggio.
fa ch’io celi nel sen l’acceso ardore.
misto fra l’appetito e fra l’amore.
che bisogno mi vien di nutrimento. (Siede a tavola)
                                          La padrona
                                          Sì, il poverino
e dubito farà qualche pazzia.
                                                Sen sta leggendo
certo libraccio vecchio e pensa e ride
                                   Me ne dispiace
Solo non posso far la digestione.
m’hanno lasciato sol, per cortesia,
venite qui, pransiamo in compagnia.
                                          Ed io ci sono. (Siede)
Con vostra permission. (Siede)
                                             Chiedo perdono. (Siede)
il pranzo riescirà più saporito.
Mi farete mangiar con appettito.
Voglio provar se riescimi un bel gioco.
Vuo’ alle lor spalle divertirmi un poco. (Si ritira)
prova per voi un amoroso duolo.
Giuro sull’onor mio che amo voi solo.
                     Ma quando poi lo giuro
Se dubitate ancor, voi m’offendete.
                                            A questi bagni
                                     Per voi venuto
non partiamo di qui, pria che d’amore
non si stringa fra noi perpetuo nodo.
A voi tocca pensare al tempo e al modo.
dar un poco di pena ai loro amori). (Da sé)
a penetrar il genio mio... (A Violante)
                                                Madama.
                                 A voi presento
misto gentil dei più soavi odori.
Obbligata, signor. (Li ricusa)
                                    Non ha bisogno
De’ fiori, se ne vuol, pieno è il giardino.
Favorisca odorarli in cortesia.
Odorati che li ha, li getti via.
Ogn’altro odor vi riuscirà men caro.
                                   Dolce fragranza
                                           Or se volete,
                              Cari mi sono.
Gradisco ed amo il donatore e il dono.
caro monsieur La Flour, voi m’inspirate?
Perdonate, madama... (Vuol partire)
                                           Ah no restate.
Oh dio! Non so che sia quel che mi sento.
per quegl’occhi vezzosi ardo d’amore.
(L’han di me questi fiori innamorata).
m’accende per costui la fiamma in seno.
Riccardo... (Oh mio rossor!) Soffrite in pace.
Femmina traditrice! E voi che siete
mio rivale in amor, che seduceste
ad amarvi colei ch’era il mio bene,
voi pagherete il fio delle mie pene.
                                        Rendimi conto
colla spada fellon de’ torti miei. (Impugna la spada)
Cimentarti con me? Pazzo tu sei.
                                   Non ho timore.
                  Meco è vano il tuo furore.
                              Vieni al cimento.
Vengo ma ne averai scorno e spavento. (Riccardo spaventato fugge)
Come presto mi sono ammaestrato!
senza la servitù, senza il denaro.
                Eccomi qui.
                                        Sei tu?
                                                        Son io.
                            Voi siete il mio padrone.
                   Sì Luciano. Oh questa è bella!
                                             Non signore.
                      Molto meno.
                                               E qui dinanzi
                                       Non v’è più niente.
                                   Che?
                                               La paura.
vedermi trasformato in un Coviello.
Ah vicino al morire io già mi sento,
Della villa a chiamar vammi il notaro.
                                                 Intanto
a letto me n’andrò bello e vestito.
                   Son qui.
                                     Piano. Non voglio
                                     Né men le donne?
Donne? Donne? No no, le donne sono
che m’hanno le fattezze trasformate.
Mai più donne, mai più. Sia maledetto
quando mai le ho vedute... Andiamo a letto. (Aiutato da Pirotto, va nel suo litticiuolo serrato dalla trabacca)
egli vuole il notaro, andrò a cercarlo.
                                      Zitto. Il padrone
                                       Ha forse male?
crede morir perché gli batte il core.
il vedermi venir tanto di barba.
Io senz’altro la credo una magia.
Pietro d’Abano ancor doppo tant’anni...
Dai bagni, se è così, voglio andar via,
che col diavol non voglio compagnia.
In tant’anni ch’io sono in questi bagni,
                                       Aiuto, aiuto. (Corre spaventata)
                        Colà...
                                      Dove?
                                                     Ho veduto...
              Dite, cos’era?
                                         Un gatto nero.
E per un gatto si fa tanto chiasso.
                                            E bene?
                                                              Oimè.
Ho paura ch’ei fosse un diavolino.
Ma sei pur una donna spiritosa.
diventar una vecchia colle rappe
le budelle mi fanno lippe lappe.
la peggior burla che si possa mai
fare a una donna. Sì, ti compatisco.
Tutt’altro si potrebbe soportare
ma non la malattia dell’invecchiare.
Questa bella ragione io non l’approvo.
Anche nell’uom la diferenza io trovo.
voglio della paura che ho provata.
Voglio nell’acqua entrar ch’è preparata. (Mostra di volersi spogliare. Luciano caccia fuori la testa dalle cortine del letto)
Non vorrei che venisse qualcheduno.
                                            Andate via?
               Cos’è?
                              Il diavolo... Va’ via.
Meschino me. (Ritira la testa)
                             Oimè! Sono imbrogliata.
Questa voce no so da dove uscì.
Il diavolo dov’è? (Escindo dal letto)
                                 Eccolo qui. (Si spaventa di lui medesimo)
                                            Da me che chiedi?
                                             Né men io.
                 Via di qua. Rosina addio.
                                    No, carina,
                               Ma chi?
                                                Luciano.
                                  Venni, meschino,
M’avete fatto quasi spiritare.
                   Oimè.
                                 Che cosa è stato?
                                     Chi?
                                                 L’amico
                                     Io no. Ma voi
Là... vedete... Là dentro io l’ho sentito.
Là dentro v’ero io steso nel letto.
Là dentro voi? Che siate maledetto.
                                              Perché voi
                                      Mi trema il core.
                                       Da fanciulla
ho avuto uno spavento brutto, brutto.
                      E adesso ancor tremo di tutto.
Un’oppinion? Sentite se ho ragione.
che costei se n’andò. Pareami allora
di star bene vicino a quel visetto.
Ora mi torna mal; ritorno in letto. (Va nel letto, come era prima)
di lui non ho paura; affé se torna
vuo’ spennacchiarlo e rompergli le corna.
se avesti cento diavoli nei denti.
Ma dove mai sarà? (Cercandolo)
                                      Lisetta. (Mette fuori la testa e la ritira)
                                                      Zitto.
La voce vien di qui, che sia nascosto
sotto quel letto? Vuo’ veder. (Guarda sotto il letto)
                                                     Lisetta. (Come sopra)
io lo farò andar via con un bastone. (Prende un bastone che trovasi nella stanza)
                Vuo’ vedere...
                                           Bu, bu, bu.
prendi, brutto cagnaccio. (Dà delle bastonate a Luciano coperto dalle cortine)
                                                Oimè, oimè.
Questa è voce d’un uom. Chi mai sarà?
Voglio veder chi è. (Scopre il letto)
                                     Per carità. (Si raccomanda)
dovevate tacere ancora un poco,
se goder volevate un più bel gioco.
                                     Ah che purtroppo
sono pien di malani. Oh dei! Non so
se persin questa sera io viverò.
Voi mi date contento. Ohimè non so...
Fra il restare e il partir ci penserò.
Povero pazzo! Sai cosa ti dico?
Muori, non muori, non m’importa un fico.
                                Che cosa è stato?
M’ha la vostra padrona assassinato.
                                    Eh scioccherie!
                                              Non crederei
Ha trattato il cuor mio con crudeltà.
                                                    Ah che soffrirlo
          Che volete far?
                                        Voglio morire.
Questa signore è l’ultima pazzia.
tutti dicon così ma non lo fanno.
D’alme vili codesto è facil dono.
E son fedel di crudeltà a dispetto.
Traditrice Violante? Eccome mai
far finezze al rival per mio martello?
Dirmi ch’è più di me vezzoso e bello?
Intenderla non so; parmi che un sogno,
che una larva sia questa; ed ho rossore
di pensar che il suo cor sia traditore.
una donna vorria tutta per lui.
Eccola. Oh se veniva un poco prima,
si volevan sentir le belle cose!
e non so la cagion del nuovo affetto.
Il povero Riccardo è mezzo matto.
                        Bisogna consolarlo.
ma un certo non so che non ben inteso
rese il cuor mio d’un altro foco acceso.
io ve lo spieghierò, se lo volete.
                     Vi dirò; noialtre donne...
V’è nessun che mi senta? No, siam sole.
ci piace per lo più cambiar amante.
                               Sì lo confesso,
tutt’amor, tutta fede ognor vi vedo;
ma, signora padrona, io non vi credo.
                                      Eh questi torti
si ponno sopportar. Che mal sarebbe
che aveste quattro o cinque innamorati?
Si esamina, si pesa questo e quello,
poi si sceglie il più buono ed il più bello.
e chi l’ascolta è pazzo più di lei.
sceglier l’amante, scegliere lo sposo.
solo a Riccardo mio darei il mio cuore
ma altrimenti di me dispone amore.
che far poss’io del libro che ho trovato.
in cui spicca il poter d’arte e natura.
voglio l’opra compire... Eccoli tutti;
voglio farli restar stupidi e brutti.
                                         È bella assai.
Un giardino più bel non vidi mai.
Questa gran novità non so che sia.
Io la credo senz’altro una magia.
Vado, quand’è così... (Vuol partire)
                                        Bella, restate.
e reco a voi di questi fiori il dono. (Presenta un mazzo di fiori a Rosina, l’altro a Lisetta)
                                            Non me ne fido.
Di che avete timore? Io me ne rido.
È vero, è un grato odor che ogn’altro avanza.
                                          Senta, senta. (Tutte due gli fanno odorare i fiori)
Ma qual fiamma d’amor mi sento al core?
                                             Pirotto, odora.
                                            Ei m’innamora.
Or mi voglio goder quei cinque matti). (Si ritira)
                         Nol credo.
                                              Oh me infelice!
Eccomi a’ vostri piedi. (S’inginocchia)
                                            Ingannatrice.
                                             Eppur voi solo
                                  No, non è vero.
Amici, ancor fra voi dura lo sdegno?
Ah bell’idolo amato! (A La Flour)
                                        Ah core indegno. (A Violante)
(Non vuo’ più tormentarli). Via tornate
                                 Dell’amor mio
una forza fatale in voi discerno. (A La Flour)
Amerò prima un demone d’inferno.
un oggetto che merta il vostro amore?
                                         Mirate.
                                                         È questi
                           Mirate.
                                           Oh dei ravviso
di Violante, il mio ben, l’amabil viso.
                                    Che vedo oh dio!
L’effigie di Riccardo idolo mio.
                                                  È vano, è vano.
Ecco vostra la mano e vostro il core.
Per voi sol, ve lo giuro, ardo d’amore.
Quai prodigi son questi? Io non gl’intendo.
vuo’ spiegarvi l’arcano. In questi bagni
Pietro d’Abano detto e vi protesto
                                        Intendo il resto.
                                              Ella è per voi
qual la vedeste nello specchio. Un vetro
che delle donne fa scoprire il vero.
scellerati per l’uom. Miseri noi,
da esplorar, da veder! Basta, qualora
la sua bella dall’uom fedel si crede,
è un tesoro per noi la buona fede.
                            Dove Lisetta mia?
Me lo domandi? Partirò con lei.
                                                Perché già
Bella grazia che hai da farti amare.
Forse t’insegnerei quel che non sai.
Da un asinaccio non s’impara mai. (Alterata)
                                          Taci, che or ora
ti rompo il grugno e finirò la tresca.
Presto vatti a bagnar nell’acqua fresca.
                       Fraschetta!
                                              Indegno!
                                                                 Pazza!
                         Temerario ad un par mio?
                      Sì, finita sia.
                      Mai più ti guarderò.
                                         (L’agiusterò). (Li tocca con una verga e parte)
                                       Pirotto mio,
                                                Cara, quel viso,
Io per te ho nel mio core una fornace.
Tacerò, se potrò? Ho gran paura
che resister non possa alla natura.
Anzi mai più l’amai come ora l’amo.
Sento che mi cangiai né so perché.
Ah che mi sento al fin de’ giorni miei.
ma non lo vedo più. Deh caro amico
Or or lo trovo e ve lo mando qua. (Parte)
Tanti spaventi, tante stravaganze
Vado presto a far terra da boccali.
                                        E tremo anch’io.
                                      Pria di morire
                                         Oh quest’è bella!
                                         Perché davvero
mi sento male e di guarir dispero.
per esser grato cogl’amici miei.
coll’ippocondria sua non fa per me).
buscar qualche denaro e aver solazzo).
                                 Sono il notaro.
Favorisca, vorrei far testamento.
Scrivete, ecco la carta; io deterò. (Marubbio siede al tavolino e Luciano siede poco lontano)
Son curiosa sentir; se fosse ricco,
vorrei fargli cambiare in un momento
in contratto di nozze il testamento.
                                       Fra questi bagni
                                      Io più non voglio
con il diavolo aver qualch’altro imbroglio.
Il diavolo si è fatto amico mio.
                                         Andate via?
                                         Sì, mi ha sposata.
che un demonio lo credo al parer mio. (Torna a trasformarsi il tavolino ed esce)
L’incognito notar sono stat’io.
                     Oh meraviglia.
                                                   Ecco il gran libro
Il libro abbrucierò. Ma voglio prima
l’ultima volta usar della magia.
Vuo’ che tutti per mare andiamo via. (Batte colla verga in terra e sparisce la sala e comparisce una scena di mare con navi alla vela)

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