Metrica: interrogazione
500 endecasillabi (recitativo) in La bottega da cafè Venezia, Valvasense, 1736 
che per spazzar la nostra mercanzia
Via brusé quel caffè, metteghe drento
metteghe una porzion d’orzo todesco.
che impenisse de zucchero la tazza
xe una spesa bestial; ma questo è ’l manco.
vestir in gala e goder dei pacchietti,
ghe vol dei gran caffè, dei gran trairetti.
che in bottega ne fa conversazion,
Ma ghe ne xe qua una; allegramente
in poco tempo impenirò i squelotti.
Ghe vuol zoette a trapolar merlotti. (Vien Dorilla mascherata e siede senza parlare)
                                              Amico addio.
(Amico addio? Questa xe forestiera).
                               Io son un poco stanca,
                                         La me perdona,
no vorave fallar, sotto la maschera
no se sa chi ghe sia; mi parlo a caso,
                                             Eh via che cade!
                                    È questa appunto
la prima volta che Venezia io vedo.
                                    Io son romana.
Int’el parlar l’ho cognossua perdiana.
(Mi sembra il caffettier fatto a mio genio).
Za che no gh’è nissun, se poderave
                                 Sì, comandate.
                                          Eccomi pronta. (Si smaschera)
(Oh che babio da re, che bel musotto!
O che occhietto baron! Son mezzo cotto).
Che dite fra di voi? Rassembro forse
dal zardin de Cupido traspiantada;
Ma sappiate ch’io son femina onesta.
un pretesto se tiol per impiantarlo.
né in tal guisa vorrei pregiudicarmi.
con un omo da ben, no sta mi a dirlo,
son zovene onorato... Oh se volessi...
                                        Che ma?
                                                           Di dote
val più quei vostri occhietti bagolini
che no val un sacchetto de zecchini.
quel che bisogna in casa, con maniera
poderessi avanzar qualche cossetta.
che alle occasion ve starò sempre arrente.
Ma qui vien gente, io mi ricopro il volto.
fio de un mercante ricco; el fa con tutte
el cascamorto, el spende generoso,
                     Lustrissimo la servo.
                               Giusto adesso el fava.
Digo ch’el voggio apposta, m’hastu inteso?
Lustrissimo siorsì. (Ghe voggio dar
                                       Son qua lesto.
                        La servo presto, presto.
Via maschereta, no fé la retrosa,
za no ghe xe nissun. Eh eh patrona. (Scherzoso)
e colle donne son el re dei matti.
Vardé che bella vita! (Li alza il zendal. Dorilla lo rispinge) Oh oh che smorfie!
Presto presto el cafè, che voggio andar.
                                           Cosa vustu?
Quella maschera là mi la cognosso,
vegnua da Roma, oh oh, se la vedesse!
                                     No l’è più stada
in sto paese e no la sa l’usanza,
ghe vuol, la me perdona, altra maniera.
mi intanto studierò do complimenti.
donca che mi ghe batta el canariol?
Oh che matto! Oh che matto! Ti me piasi,
tiò sto ducato, fa’ pulito e tasi.
(Adesso ti sta fresco). Oe paronzina,
desmaschereve e doperé l’inzegno. (A Dorilla)
                               Eh non abbié paura;
                                  Con questo patto
                                        El colpo è fatto. (A Zanetto)
via la ghe daga una benigna occhiada.
no me xe vegnù ancora el complimento.
                                Me maraveggio!
So ben complimentar; son stà in colleggio.
m’hanno sotto la maschera del volto
nella base del seno il cor sconvolto. (Affettato)
La me lassa fenir. Dunque per questo
consiacosaché vermiglia bocca, (Va mendicando complimenti)
ehem... negando voci a recchia amante
Qual ostrica nel fango, io m’impiantai.
                                      Io sono avezzo
che appunto sembro nato a Toscolano.
Lustrissimo patron xe qua el caffè.
                                        Poco, pochissimo.
El dolze fa dormir; lei fa benissimo.
                                    Sì mia signora.
el disolve del cerebro i escrementi...
Via, via, la beva senza complimenti.
                                            (Oh che gran frotole!)
l’Almanaco perpetuo ed il Meschino,
Cacassenno, Bertoldo e Bertoldino.
Oh gran caffè. Cosa ghe par? È buono?
                                   Questo vol dir
(Questo è ’l caffè che xe avanzà gersera).
Via Narciso da’ liogo. (A Narciso piano)
                                         Eh no la dubita;
so el mio dover. (Ma voggio veder tutto,
perché mi non voria ch’el sior Zanetto
me levasse de man sto bel tochetto). (Si ritira)
Sentemose un tantin. Ah mia patrona. (Siedono)
m’ha fulminato il cor sino alle piante.
                                            Dico da senno.
quel ciglio rabuffato... (Accostandosi)
                                           Eh mio signore,
un po’ più di modestia. (Lo rispinge)
                                             Eh via la tasa.
son stato a Chioza, a Padoa ed a Vicenza,
non ho trovato mai donna sì strana.
conviene usar prudenza ed acquietarlo).
Vinta da queste sue belle maniere,
dal suo tratto gentil, dal suo bel vezzo,
nascer per lei un rispettoso affetto.
La me daga la man. (Torna a sedere)
                                       Eccola pronta.
(El complimento pol andar più avanti).
La xe una novità piena de chiasso,
con certa confusion d’omini e bestie
che doverave far un gran fracasso.
Ditemi, avranno esposto un bel cartello?
L’è bello assae. Colle figure intiere
                                        Co se tratta
donca la tiogo; dime, quanto vienla? (Prende la chiave)
                              Come! Xestu matto?
In terz’ordine in banda e sie zecchini?
Quando no la la vol, la tiogo indrio.
Tiò sie zecchini e se no basta questi,
ma con un cortesan della mia sorte
no far de ste bulae. Patrona bella
sta borsa che xe qua tutta è per ella.
che lei parli in tal guisa a una mia pari.
metto via la mia borsa e torno indrio.
Che diavolo aveu fatto? (A Dorilla piano)
                                             (Eh non temete).
donna di tale affare io già non sono.
                                      La m’ha copà.
Mi gh’ho paura che la sia istizada.
Mi ghe dirò. Ghe vuol un regaletto
                                         Co sto anello
                                Sì, l’è bon e bello.
                                            La gh’el presenta
con un dei so graziosi complimenti.
                                  M’impegno mi
Signora, posciaché di sdegno accesa (A Dorilla)
chiede grazia e perdon Zanetto umile.
Inzenochieve. (A Zanetto che s’inginocchia)
                             Compatisco in lei
l’ignoranza ch’ella ha de’ fatti miei.
Dell’ignorante la m’ha dà alla prima.
Ghe vuol pazienza e batterla pulito.
Moleghe un pochettin, che za l’è ito. (A Dorilla)
con torcolo di sdegno il core afflitto,
da inferno Averno biscottato io sono.
Su via, per questa volta io gli perdono.
                                        Darghe...
                                                           Che cosa? (Adirata)
                                              El vuol donarve
                                            Gnente dasseno.
                                      No ma voleva...
                     Dillo ti caro fradello. (A Narciso)
indiscreta e incivil ch’io non l’accetti?
Mi gh’aveva timor... Ma se son degno
de tanto onor, la toga, so peraltro
non è proporzionato al suo splendore.
Io non apprezzo il don ma il donatore.
sempre i ve donerà qualche trairetto.
qualche fiol de famegia, andé a avisar
quel tal, se me intendé. Quello xe un omo
che per missiar le carte el val un mondo.
No se vede gnancora el sior Zanetto!
l’ha speso tanti bezzi, o che baban!
E nol gh’ha mai toccà gnanca una man.
                                      La m’ha pur ditto
sangue de mi, no l’è vegnua gnancora?
                      Sì sì, ti gh’ha rason.
Mi non ho visto mai donna più bella.
romperò el scrigno e roberò le doppie
                                         I xe de quelli
                                       Sangue de Diana!
Tanto lontan? Dameli, va’ in bottega;
Londra... Coss’è sta Londra? Ella una donna?
Ma Dorilla no vien... Madrid. Madrid?
Londra e Madrid sarà mario e mugier.
oh gran mi per capir tutto alla prima.
                                        Stissimo no. (Di dentro)
Donca Londra e Madrid; voggio vardar
«La corte si è partita per campagna...»
La corte colle gambe, oh che strambazzo!
                  La comanda. (Fuori)
                                            Ella vegnua?
                         (Che mamera monzua!)
                                                 Una città.
quatro navi di Spagna». In che maniera?
Gh’è delle nave fora de Venezia?
                                    Mi no lo credo,
                                      Torno a vardar. (Si ritira)
Venezia. Oh voi sentir se ghe xe suso
«Due bastimenti inglesi han preso porto».
Prender vol dir chiappar; oh che faloppa!
averà chiappà un porto? «Eran diretti...»
                                        Tiò i to foggietti. (S’alza con furia)
                                           Oh benvegnuda!
                                        (Bel complimento!)
                                     Ti gh’ha rason.
S’io son nella sua grazia, io sto benissimo.
(La so grazia vuol dir la so scarsella).
                                          Vorla niente?
                                              Eccole qua.
se el crede de star solo, el xe un aloco). (Si ritira)
no gh’ho un’ora de pase; e zorno e notte
e co magno e co bevo e fin co dormo,
si ben che son lontan, ghe stago arente.
                                          No, va’ in malora.
me sento drento al cuor... La me perdona
se parlo venezian, el xe un linguaggio
e per parlar d’amor l’è fatto apposta.
che in tutto il mondo è sopra gl’altri amato.
                                         Se no te chiamo
(Ti star furbo ma mi no minchionar). (Si ritira)
né gh’è bisogno che de più me spiega.
che intendere non so quel che non parla.
d’oro massizzo, lavorada in Franza,
ghe parlerà per mi, segondo usanza. (Dà una scattola)
io dunque aspetterò ch’essa mi parli.
el l’aspetta in bottega del barbier.
                                          No gh’è più tempo,
                                               El butta fuogo,
per darghe sti zecchini e nol se vede».
La me aspetta un tantin, che adesso vegno. (Via)
                                         Bravo, bravissimo.
                                   Mirate questa
per comprar tanto zucchero all’ingrosso).
Dove diavolo xe sto forestier? (Torna)
e a far i fatti soi el sarà andà.
Me despiase dei bezzi; eh non importa.
se i vegnisse a portarme anca un milion
                                  La perdona
se l’ho fatta aspettar. Donca patrona,
                                         Io non saprei
                                 Sì sì, capisso.
                                        (Oh che tormento!)
                                            No. (La va longa,
conosso el cortesan). Oe senti amigo
no se stemo a burlar, za te capisso.
de ficcarte sta schienza in mezo al petto. (Li mostra un stilo)
tiogo i sie zecchinatti e me la batto. (Narciso parla all’orecchio a Dorilla)
                                             Domandava
se qualcossa da mi ghe bisognava. (Via)
                                                       (Gran drettoni
Mi però son più furbo assae de lori.
Ma non voi buttar via st’ora preziosa).
un terribile ardor che me tormenta,
no la me sia crudel, via la me daga
un poco de conforto alla mia piaga.
ad un recente mal cerca il rimedio;
l’arte di ben amar non sa qual sia.
                                             Ascolti, è questa.
in quanto a mi, xe una lizion minchiona.
Ho sofferto, ho servio tanto che basta;
me par d’aver cento demoni adosso.
Maledetta fortuna, ecco un imbroggio. (Vien Narciso mascherato)
                                              (In che maniera
                                              (Chi mai sarà
(Far el bravo voria ma gh’ho paura).
perché mi son Narciso). (A Dorilla piano)
                                              (Oh che contento!)
nol posso sopportar). Oe siora maschera
la prego in cortesia, la daga liogo.
voi star con libertà, la voi serrada. (Narciso ride)
in verità che no ghe voggio andar. (Nel naso)
mi della pelle ve farò un criello. (Mostra il stilo)
                                      (Eh no gh’è dubio). (A Dorilla)
                                         (El gh’ha paura).
Sanguenazzo de mi... (Alza il stilo)
                                         Via, che ti è morto. (Sfodera un palosso)
                                    (Oh che poltrone!)
                                 Dame quel stilo.
                                  Furbazzo infame.
(Me preme de salvar el mio corbame).
fa ch’io sia divenuta a voi consorte.
                                        Guardate pure.
Sangue de mi! L’è giusto el sior Zanetto,
L’ha domandà ai garzoni si ghe sé,
i gh’ha dito de sì, el vien de suso,
vu sté in sto camerin, fin che vel digo.
Ancor questo farò per compiacervi. (Si ritira)
perché sto sior Zanetto xe un pagiazzo
ma se ’l fusse de quei che digo mi
                                         No la gh’è.
                                         No da seno... (Fa cenno che è nella camera)
Ah t’ho capio, vien qua; cosa vol dir?
Ti ha visto che un baron (che nol me senta)
xe stà causa de quel inconveniente.
Tradirla, abbandonarla el primo zorno?
                                          Amor un corno.
Se non andava via per le mie drette,
con quel palosso el me taggiava a fette.
                                 Come dovevio
Prima morir che abbandonar la donna.
vaga pur quante donne ghe xe al mondo.
Quel che la vuol, però quella patrona
                                     Caro Narciso
tiò i quaranta ducati e fa’ pulito.
                                      Come farastu?
Se la sarà crudel, barbara e fiera,
La me aspetta un tantin, che adesso vegno. (Via nel camerino)
Sento un gran batticuor! Tra la paura,
tra la vergogna e tra l’amor, me sento,
triplicato nel seno il mio tormento.
                                       L’è persuasa
                                        La vien adesso.
io non voglio ascoltar le sue parole.
                                            Eh no gh’è caso;
d’aver mancà con ella al so dover;
                    Se parlé la scampa via.
                    Se parlé, la se ne va.
per un uomo vigliacco e senza senno.
che il trattare civil non sa qual sia.
                         Se parlé, la scampa via.
l’affetto d’una donna, in tutto privo
                         Se parlé, la se ne va.
No poderghe parlar xe una gran pena;
ancora strapazzar? Oh amor! Narciso.
                         Sì sì, dame dei titoli,
doppo d’averme titolà coi fiocchi.
gh’ho sto per de manini; se i ghe piase
di’ che ghe i donerò, se femo pase.
per el vostro bisogno. El sior Zanetto
                                         Così va ben.
                                          No aspetté.
Bisogna che finzé d’esser placada,
                                           Mo aspetté.
E quando che vedé ch’el se ingaluzza,
                                  La xe giustada.
Bravo, vien qua, che te voi dar un baso.
                                           Donca patrona, (Dorilla le volta le spalle)
possio sperar che sia... Vardé che sesto,
la xe giustada e la me volta el cesto.
Mi l’ho agiustada ma bisogna adesso
                                              Ah! Sì xe vero.
Se l’amor che mi gh’ho... se la creanza...
la passion de dover... certo debotto...
No posso più parlar, che gh’ho el sangiotto.
Da questo suo parlar così interrotto,
da quel ciglio umiliato io ben comprendo
tutto mi scordo e quel ch’è stato è stato.
Via no fifé, sté qua, ve lasso soli,
vago a far un servizio e adesso torno. (Via)
(Magari che nol torna infin a zorno).
                                        Via non parliamo
la vederia l’amor che gh’ho per ella.
dasseno ma sentì, gh’ho int’el pensier
che un zorno deventé la mia mugier.
(Sei venuto un po’ tardi). Una gran sorte
                                     El vien de su.
                                       Sconderse presto.
                                         No ghe xe chiave,
                Ma presto.
                                      E poi!
                                                    Via, che debotto
                                          Me ficco sotto. (Va sotto la tavola)
Si è scordato l’amor per la paura.
m’è stà ditto che qua ghe xe Zanetto,
se ’l gh’è voggio cavarghe el cuor dal petto.
                                           Come!
                                                          Lo giuro.
Voggio andar a vardar per tutti i busi,
                                           Siora Dorilla
                                          Non temete,
gh’ho un per de foleghette ma ben cotte,
voggio che stemo qua tutta stanotte.
                                                Io volentieri
                      Giersera un certo bravo
solo con quatro de ste mie peae. (Dà calci)
                                Cossa mai
                                        Passa via.
                                        Io sono pronta
                                  Olà Narciso.
perché son maridà, onde ho ressolto
che ti la sposi ti. La me perdona...
oltre i abiti, el letto e i so manini.
                                        Io son contenta.
Va’ donca presto a parrecchiar da cena,
che li voi doperar. Presto la servo.
                                  (Io creppo dalle risa). (Vengono due garzoni)
perché voggio che femo un bel festin.
Come, cos’è sta robba? Chi è costù?
                                           Giusto adesso
                                         Ah son in terra,
la tratta da par soo, la me perdona.
                                         Xe stà l’amor...
                                       No sul mio onor.
abbiate compassion di quel meschino.
No vegnirò mai più per sti contorni.
che mi voggio de lu far un squazzetto. (Via)
Oh poveretto mi no gh’ho più fià.
                                             Eh che la tasa,
                                      Ah che me sento
andar zo per le calze el mio spavento.
                                        Oimè Narciso
                                    Halla sentio
Prego el ciel che i me tacca al collo un lazzo
se con donne mai più mi me ne impazzo.

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