mi diran che non conviene;
non mi piace, non sta bene.
Star lontano... oibò, oibò.
Ahi che pena, ahimè che imbroglio!
E fra il voglio ed il non voglio
dubbio, incerto ancora sto.
che mi dai sì gran tormenti.
Vi son tanti che contenti
dal guardarle, dall’amarle...
Quel ch’io dica più non so.
Idol mio, donato ho il core
al fulgor di quei bei rai.
V’amo, o cara; ognor v’amai
Ma la fiamma allor che splende
e chi troppo aver pretende
No, non v’è maggior diletto
d’un fedele, onesto affetto;
Sol m’alletta, sol mi piace
Altro foco ancor per gioco
son due anni ch’io tormento,
quel ch’io soffro, quel ch’io sento
e domando carità. (Parte)
Donne belle che pigliate,
Via piangete, via pregate,
«Io vi voglio tanto bene».
«Per voi, caro, vivo in pene».
«Ahi che moro, mio tesoro!
Quanto affetto! Mio diletto!»
non mi state a corbellar.
Fra l’incudine e il martello
dubbio, incerto ancora sto.
Resto o vado in fretta in fretta?
che di qua e di là balzò.
Parto? Taccio? O pur ragiono?
Sono ancor fra il sì ed il no.
Qual tamburo adess’io sono
quando il suon del campanello
Zitto zitto il cor mi parla,
tutto il mondo fa cambiar.
Chi sta bene e chi sta male
Chi ha denari se li spende;
chi non ne ha ne vuol trovar.
E s’impegna e poi si vende,
Qua la moglie e là il marito,
ognun corre a qualche invito,
chi a giocare e chi a ballar.
Par che ognun di carnovale
che fa i cuori giubilar. (Fatto il giro e cantato il baccanale, tutti scendono dal carro, il quale si fa tirrar indietro)
viemmi, o cara, a consolar.
vien quest’alma a serenar.
Dolce affetto che nel petto
mi fa il core giubilar. (Entrano nell’albergo)
Vu sé bello e sé grasseto,
sé ben fatto e sé tondeto
ma... no so se m’intendé,
Bel goder contento in pace,
senza doglie, senza pene;
vuo’ sperar vi renda ancora
men molesta a chi v’adora
Con occhiate e con inchini
colle maschere e i festini
Ma i regali, ma i zecchini
fan più presto innamorar.
ma un po’ tardi l’ho imparata.
Ahi mi sento che il tormento
Dite il ver, m’amate voi?
Se mi amate, non gridate.
Voglio far quel che mi par.
Ma, Lucrezia, questo poi...
Dite il ver, mi amate voi?
V’amo, o cara, e v’amerò.
Se mi amate, non parlate,
voglio andar dove mi par.
Bel piacere al cor mi sento.
Più tormento in sen non ho! (Partono)
Vada pur, non so che dire;
starò cheto e soffrirò. (Viene Vittoria mascherata in dominò, la quale accompagnando coi gesti il suono dell’orchestra mostra essere inamorata di Beltrame)
Mascheretta, non v’intendo
ma dai cenni ben comprendo
che il mio bel v’innamorò. (Viene Lucrezia dall’altra parte mascherata come Vittoria e con cenni simili fa lo stesso)
Mascheretta, siete amante
ancor voi del mio sembiante?
Tutte due vi servirò. (Leandro e Menichino mascherati al suono dell’orchestra vengono verso Beltrame)
Miei signori, a voi m’inchino. (Leandro e Menichino fanno cenni coi quali lusingano Beltrame)
tutte due vi servirò. (Tutti si levano la maschera e ridono e Beltrame resta attonito)
Riverenza; piè in cadenza;
alto il braccio; qua la mano.
Ehi fermate, piano piano,
Quando il core balza in petto,
non tardar quell’ore grate
che aspettando va il mio cor.
La mercé d’un lungo pianto
Ceda il loco nel mio viso
l’allegrezza al rio timor.
Per contar non v’è un mio pari,
conto sin che vi è denari;
tiro tressa e faccio un zero.
Va mia moglie da sua madre?
Vada pur, ch’io mi consolo.
meglio assai potrò campar.
Ma pian pian, signor Amore;
per un sposo ancor novello
questo suono è troppo bello.
Eh che questa è un’opinione.
che mi fa brillare il cor. (Parte)
Scendi Amor nel carro aurato
e dei sposi il dolce affetto
venga il petto a riscaldar.
le nostre alme a rallegrar.
La cornetta e il cornettone,
caro Amor, vieni a suonar.
le nostr’alme a rallegrar.
La cornetta e il cornettone,
caro Amor, vieni a suonar.
Scendi Amor nel carro aurato
e dei sposi il dolce affetto
venga il petto a riscaldar.