Metrica: interrogazione
188 endecasillabi (recitativo) in Amor fa l'uomo cieco Genova, Franchelli, 1742 
Poco vi vuole a far che incivilisca
donna nata fra boschi. Il sesso nostro
ha un certo natural costume antico
che della vanità fu sempre amico.
cambiasse condizion. Tante e poi tante,
s’hanno ingrandito coll’altrui rovina.
Tutto il suo consumò per mia cagione
il semplice Cardone; anzi non solo
ma s’ingegnò di consumar gli altrui.
processato dal foro, e ch’è ridotto
sarei ben pazza a coltivarlo ancora.
or che non ha danar, non è più quello.
Vuo’ ritirarmi; seguimi, Mengone,
non dubitar, non vi sarà divario;
se non Cardone, io ti darò il salario. (Si ritira)
graziosa sì ma troppo vana e pazza.
Chi mi conoscerebbe? Oh voglia il cielo
che, se mi scopre la giustizia, io sono
per lo meno appiccato. Almen crepasse
quell’avido mio zio che inutilmente
un tesoro conserva! Ah ch’io fra tanto
perdo il tempo qui invano e i sbirri, oh dio!
van me forse cercando. E dove mai,
misero me! se non ho un soldo adosso?
Olà, paggio, vien qui, prendi, codesta
vanne dal pasticcier; di’ che mi mande
viene a pranzo con me la contessina.
                                         Fermati; e questi
due zecchini ti do, perché tu compri
di Borgogna e Toccai qualche bottiglia
e il resto cioccolata con vainiglia.
(Ed io muoio di fame). Olà, Mingone,
ferma; non mi conosci? Io son Cardone.
Stelle, che vedo mai? Così pezzente,
così sporco Cardone? Agli occhi miei
quello tu non rassembri e quel non sei.
Ah, purtroppo son quello. Ah tu, Livietta,
deh non mi abbandonar! Vedi in qual stato
                                    Per me? Tu menti.
                                      Non tel rammenti?
Chi gli abiti, le gioie e chi il danaro,
ch’ora spendi, ti diè? Stelle! Che sento!
                                           Non mel rammento.
Io ti trassi dal nulla e tu nel nulla
mi riducesti; oh memorando eccesso!
Oh barbara natura! Oh ingrato sesso!
del precipizio tuo, se non tu stesso?
Fu la tua vanità, la tua superbia
grande più che non eri e dovizioso
se volesti così, non far schiamazzo,
io savia fui e tu facesti il pazzo.
Hai ragione, egli è vero, il pazzo io fui;
questi son alla fine i nostri onori.
il povero Cardon non è lo stesso.
                    È ver, l’indovinasti. Io voglio
mantenermi un braccier e sei staffieri,
due donne, otto cavalli e due cocchieri.
Vo’ pizzetti, vuo’ stoffe e vuo’ ricami,
e il paggio che mi regga ancor la coda.
Lodo la tua intenzion ma non la credo
                                 Forse eseguita
                                           Ha già il partito
(Ecco purtroppo il feminil costume,
l’ambizion delle donne è il solo nume).
                           Non ti voglio.
                                                      Eh via...
                                                                        Sei sordo!
                                            Fa’ ciò che vuoi;
io penso a’ fatti miei, tu pensa a’ tuoi.
                                           Taci, non voglio
                                     Dunque ti lascio,
                                         Va’ pur.
                                                          Ma dimmi,
che t’ho fatto, ben mio? Cara Livietta,
io ti fui più fedel di Marcantonio
ma dillo tu, faccia di testimonio. (A Mingone)
Ma questo pianto tuo quasi mi move
                                Orsù t’intendo.
Morto mi vuoi veder? Morrò, già vado,
da me stesso in le man; io le mie colpe
pubblicarò; dirò che per Livietta
indi quello degli altri ancor rubbai.
E pur è ver. Sono gli umani eventi
per comprenderne il filo ha il cervel corto.
Chi l’avrebbe mai detto? Io fingo il pazzo
per sottrarmi così dalla giustizia
spaventato mio zio, sordido, avaro,
se n’è crepato e mi lasciò il denaro.
pagherò i creditori e la giustizia
quando s’abbia la parte accommodata.
(Oh stelle! Ecco Cardone; ei per la morte
del ricchissimo zio, ricco è tornato.
Tornando a lusingar sarà mio impegno,
se tanto vale un femminile ingegno).
(Livietta qui? Vo’ seguitar il pazzo;
                                              Donna, t’arresta;
e pria di penetrar in queste soglie,
dimmi se sei donzella o se sei moglie.
                                 No.
                                           Non son io quella...
                                                 Io son donzella.
                                  Già mi rammento
                                           Taci, il tuo sposo
                                        Se non m’inganno,
                                   Sarà un malanno.
                                        Orsù, comprendo
                                               Che brama?
Sarò tuo cavaglier, tu la mia dama.
                        Non è...
                                         Ti stimo un mondo,
                                         Non è Cardone?
È un’altra cosa che finisce in one.
                                        Mutiam discorso.
non si ponno veder uniti a un tratto,
perché bestiaccie son contrarie affatto.
                                            Io vuo’ proporti
                                             Che far degg’io?
Vuo’ che vada lassù, dove risplende
e che mi sappia dir s’abbia gran fondo
e se nel centro suo v’è un altro mondo.
(Oh poverina me, ch’egli è impazzito).
che vuol dir tal disgrazia? Ah che ne fui
non mi conosci più, pover Cardone!
                               (Vo’ scoprirne il vero).
vo’ che vada nel regno di Plutone,
                                       Pover Cardone!
m’opprime, mi sorprende, io non resisto,
io mi sento morir. Certo il meschino
per amore è impazzito. Io, donna ingrata,
io ne fui la cagion. Di già m’aspetto
un fulmine dal ciel che mi sprofondi.
Più rimedio non v’è. S’egli tornasse...
Ah che il cervel non torna. Oh me infelice!
Oh dio! Non posso più; già manco, io moro.
È vero da una parte ma dall’altra
potria farla morir. Che tentazione!
Ora non occor altro. L’ho pensata,
vo’ accostarmi pian piano e se la vedo
ritorno a far il pazzo e non la credo.
o sbrigati a morire o sorgi e vivi. (Livietta fa de’ moti)
l’ultimo suo sospiro. Se n’è andata.
Non v’è più dubbio; ha fatta la frittata.
pur il gran ben! Benché mi fosti ingrata,
io non fui meno amante. Or che la sorte
tutti divisi li tesori miei. (Livietta si muove)
Zitto, che non è morta. Avessi almeno
per farla rinvenir. Sentito ho a dire
Prendi Livietta, sì, prendi cor mio,
                                                   Oh dio! (Riviene)
                                         Ah dove sono?
                                                    Ah fu il dolore
di vederti... Ma dimmi, hai tu perduto
                                          Eh no, mia vita,
per fuggire il rigor della giustizia.
                                              Per provarti
e s’ero del tuo amor più meritevole.
                                            Allor burlai.
                             Mia vita, imponi,
                                Di cento doppie
e ogn’ingiuria passata io ti perdono.
Cento doppie? Son poche, io vuo’ donarti
                                  Così mi piaci,
così bello tu sei, così t’adoro.
Tu sarai la mia pace, il mio tesoro.
                                                  Sì, caro,
                                     Ma mi sovviene
                                              Eh tu non sai
                                            Oh dio, crudele,
                                                            Ah ferma.
                                      Son pronta, chiedi.
                                             La man di sposa
                                      Ben volontieri.
                                                 Io sono
questa somma prontissimo a donarti.
Egualmente son io pronta a sposarti.
                                                 Eccola e poi
                           (Amor fa l’uomo cieco).

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