Metrica: interrogazione
502 endecasillabi (recitativo) in L'isola disabitata Venezia, Fenzo, 1757 
dopo lunghi perigli, al bel confine.
dal chinese signor ci fu accordata
la conquista ne fo pel mio paese.
ma nostro è il merto e la conquista è nostra.
Lo sapete da voi, senza ch’io il dica,
che merita il suo premio ogni fatica.
ed or che abbiam della paura il prezzo
di quest’isola anch’io ne voglio un pezzo.
che ho servito finor da servitore
vuo’ nell’isola anch’io far da signore.
Lavorato ho abbastanza in vita mia,
se il signor ammiraglio vi acconsente,
vorrei vivere un po’ senza far niente.
vorrei farmi la dote e maritarmi.
Così dico ancor io ma è presto ancora.
Viver mi basta in allegria per ora.
sarò di tutti alla letizia intento.
esser denno fra noi gli onori e i pesi,
tutti per ora ad operare intesi.
si principiano a far gli alloggiamenti.
di nostra economia la direzione,
degli artefici capo è Garamone
il qual ebbe finor sorte meschina,
abbia la direzion della cucina.
Verrò cogli altri a faticare io stesso.
Ragazzotte, su via, venite meco.
S’ha da far colazione in compagnia.
Tra di noi s’ha da stare in allegria.
                                          Ed io per farla
ma non si ha da mangiar senza Valmonte.
è il più vago e gentil che sia nel mondo.
Non è vero Giacinta? (Burlandosi di lui)
                                         Anch’io lo dico;
il più bello di tutti egli è Panico. (Burlandosi di lui)
ma con tutte però le mie bellezze,
non mi volete mai far due carezze.
vorria vedersi accarezzar da noi.
Certo; ha ragione; principiate voi.
a voi deggio lasciar la preminenza.
che lasciare vi voglio esser la prima.
Tocca a lei. (Spingendolo verso Giacinta)
                       Tocca a lei. (Spingendolo verso Carolina)
                                             Non voglio guai. (Respingendolo)
alla di lor bontà sono obbligato.
Mi hanno per cortesia mezzo stroppiato.
                                            Come si fa?
Voi volete di me prendervi spasso?
ma a dir la verità non siete quello.
ma a dir il ver, non mi piacete un fico.
non conoscete il buono, a quel ch’io veggio,
vi volete attaccare al vostro peggio.
si vorebbe il meschin metter con noi.
che si metta con voi gran mal non è.
Stupisco che si metta anche con me.
evvi da lei a me gran differenza?
Quali sono signora i pregi suoi?
Io son più ricca e più civil di voi.
e il mio stato con voi non cambierei.
non potrà mai paragonar lo stato
colla sorella di un signor soldato.
L’arte del marinaro è signorile.
Il mestier del soldato è più civile.
destinata voi siete alla cucina.
Un mestiere non è da vostra pari
il lavar le camiscie ai marinari.
Di far questa fatica avrò finito
quando avrò Garamon per mio marito.
Quanto prima ancor io cangerò sorte,
che Valmonte sarà di me consorte.
                          Il vedrete.
                                               Alle sue nozze
aspirare sapranno altre ragazze.
Non perdo il tempo a taroccar con pazze. (Parte)
voglio farti veder se pazza io sono,
degli ignoti stranieri il nuovo aspetto?
Di mia patria non sono. Ai loro arnesi
par che siano d’Europa e non chinesi.
per sottrar dalla morte un’infelice.
povera, sconosciuta, abbandonata?
una truppa veloce a questa volta.
Mi costringe a celarmi il mio timore. (Si nasconde nel più folto degli alberi)
una casa per me vuo’ fabricare.
de’ fabbri, muratori e legnaiuoli
farrò dispor l’abitazion per tutti
che per sé, pria di tutto, ogniun procura.
Una donna chinese han ritrovata?
L’isola non è dunque innabitata.
conducetemi innanzi a chi comanda.
Presto; andate, canaglia, a lavorare. (Gli operai partono)
                                             (Se in questi boschi
si dovrian popolare in un istante).
                                            Lontana
Raminga io sono e son straniera anch’io.
ditemi il grado vostro e il vostro nome.
per tenermi un po’ più in riputazione).
Io sono il capo della mia nazione,
in quest’isola or sono il superiore,
se alle man di chi regge io capitai.
(Questa donna davver mi piace assai).
dite quel che vi occore e comandate.
è Kamenitzkatà, patria chinese.
Come come? Che diavol di città?
                                  Kamenitzkatà.
Non ho sentito una città più strana.
Voi siete dunque kamenitzkatana.
vorrei anch’io kakamenitzkatarmi.
ma le sventure mie mertan pietà.
sarò grato per voi, sarò cortese;
mi piacete davver, ve lo protesto. (Si accosta per prenderla per la mano)
Siate meco signor saggio ed onesto.
Non vi posso toccare una manina?
                                          Su via parlate.
di crudel genitore, a cui non credo
                                        (Oh cosa vedo?
Questa preda per me vorrei serbarmi).
Per delirio talor comanda e impone.
Benché afflitta son io, mi fa pietà.
ch’ei non faccia con voi qualche pazzia.
Va parlando coll’ombre e colle piante.
e narratemi tutto a parte a parte. (A Gianghira)
ora sono da voi. (A Gianghira) Che comandate? (A Roberto)
                                                    (Oh non signore,
sulle navi con noi venuta è anch’ella.
Ma la povera donna è pazzarella.
e le par d’esser nata in quel paese).
Degno di compassione è il suo difetto).
(Peccato ch’ei non abbia il suo intelletto).
                                       (Non ardisco).
(Egli mena le man, ve l’avvertisco). (Piano a Gianghira)
lo sapete ch’io son grande ammiraglio.
e pretende che voi lo conosciate). (Piano a Gianghira)
                                      Dite. (A Garamone)
                                                  Signore.
(Credo che qualchedun l’abbia tradita.
che le venne il prorito di ammazarvi).
Itene a ritrovar ceppi e catene).
                                   Ehi. Cosa dice? (A Garamone)
presto venite meco). (Piano a Gianghira)
                                        Amico udite.
(La giovine qui resti, indi tornate
a custodirla con persone armate). (A Garamone)
Badate che il delirio non la prenda. (A Roberto)
Non vorei si scoprisse la faccenda. (Da sé)
(Benché fosse eccedente il suo furore,
in un uomo viltà sarà il timore).
Se furente sarà, saprò sottrarmi).
(Della China parlando ella delira).
Son delle navi e delle nostre schiere
ammiraglio supremo e condottiere.
                                  Deh raccontatemi
donde il vostro dolor sia derivato.
(Vuo’ veder se m’intende il forsennato).
violentarmi voleva a dar la mano
a uno sposo, qual lui, fiero inumano.
volli antepor la morte e il genitore
in quest’isola incolta e innabitata
mi ha condotta egli stesso e abbandonata.
(Non mi sembra il suo dir mentito o stolto).
Segni di compassion gli leggo in volto.
di soccorso e pietà certa voi siete.
Il ciel vi torni il lucido intelletto.
(Ecco, adesso delira). Voi temete
quel diffetto in ogniun che regna in voi.
(Ecco, ei ricade ne’ deliri suoi).
che per l’isola solo errando andate.
Queste guardie per voi son destinate. (A Roberto)
E voi non lo dovete abbandonare. (Alle guardie)
(Misero, lo vorranno incatenare).
questa donna gentil, sia custodita,
sia da ogniun rispettata e sia servita.
(E chi è colei di sì vezzoso aspetto?) (Piano a Roberto)
(È una giovin che perso ha l’intelletto). (Piano a Valdimonte)
Prego il ciel di cuor sia risanata).
e ai casi vostri intenerir mi sento.
da che nacque di lui la frenesia?
è egli vero che voi siete impazzita?
Quello che ora partì così mi ha detto.
                                             Stolto Roberto?
                                                    Oimè! Che sento?
Son tradita, signor; creder mi han fatto,
perfidi, ch’egli fosse un mentecatto.
Egli crede di voi la stessa cosa;
onde senza che fate altri lunari
in tal supposizion siete del pari.
                                         Restate un poco.
Lo potrete vedere in altro loco.
(Mi piace ma non so chi diavol sia).
quel vestito mi sembra alla chinese,
come qui siete in forestier paese?
non consento parlare, io lo protesto.
Dissi il principio e vuo’ narrargli il resto.
                                    Non lo sperate.
da un’incognita donna io non soporto.
E se in vostro favor posso impegnarmi,
anche il modo averò di vendicarmi.
                                     Dite chi siete.
Siate meno indiscreto e lo saprete,
che in paese stranier chiede pietà,
insultar, minacciare, è crudeltà.
siamo noi colle donne mezzi matti.
un volto che non sia d’amore indegno,
l’uomo subito forma il suo dissegno;
brutta o bella che sia, talun si trova
che non cerca di più se è cosa nuova.
il vostro Valdimonte, il vostro amante,
con un’altra beltà far il galante.
Tutti non son compagni; io per esempio,
se una donna ha per me della bontà,
non mi posso scordar la fedeltà.
ch’io non sfoghi con voi l’ira e lo sdegno.
                   Con voi vuo’ addoperare un legno.
                                     Se tutti siete
di una razza maligna e menzognera,
pur che il reo non si salvi, il giusto pera.
Pregovi non gli dir quel che vi ho detto.
Se gli dite qualcosa io me ne vo.
Via per farvi un piacer non parlerò.
Vada signor dove finora è stato.
Si vada pure a divertir con quella.
che d’un’altra beltà voi siete amico.
                                  Eccolo qui, Panico.
                             È un bugiardo.
                                                           Sì signore.
                                            Aiuto, aiuto.
Aspetta pur, t’insegnerò a parlare.
perché il vero mi han detto i labbri suoi,
ditemi, che dovrei far io con voi?
E se fosse ben anche una regina,
non fa torto il mio cuore a Carolina.
mi vorreste ingannar ma non vi credo.
Mi maltrata così per tua cagione.
Ti vuo’ trarre il cervel con un bastone.
                                Che cosa è stato?
Lasciatemi punir quel disgraziato.
La sua vita per grazia io vi domando.
                                       E in che vi offese?
che con altra mi vide in compagnia.
Non ho detto per questo una bugia.
Anche a voi qualche cosa ho da narrare. (A Giacinta)
Altri ancora di ciò mi hanno avvisata.
Non credete alla gente menzognera.
Siete tutti bricconi a una maniera.
vi ricerco per tutto e non vi trovo.
Parmi veder quel ciglio rabuffato.
                                 Il diavol che vi porti.
di accarezzar Panico per vendetta.
E con esse noi pur dobbiam rifarci.
Son gelose di noi per la chinese.
Ma tutti due non la possiam sposare.
facciam così; che scelga per marito
di noi due la chinese il più gradito.
Son contento. (Lo scelto sarò io). (Da sé)
(Già mi posso fidar del merto mio). (Da sé)
(Eccoli tutti due, sentir io voglio
se parlano di me). (Da sé in disparte)
                                    Ma se Roberto
Or mi passa per mente un’invenzione.
che hanno gli abiti ancor dei lor paesi.
fingerem che da lui sia ricercata.
(A tempo ad ascoltar son qui venuto). (Da sé)
Tutto va ben; ma ciò non basta amico.
Dee sentir la sua pena anche Panico. (Panico si accosta un poco più e di quando in quando per timor si ritira)
Bastonarlo? Perché? Meglio è ammazarlo.
Finite avrà le impertinenze sue.
(Che siate maledetti tutti due).
                                    Lo cercherò.
                                         Lo scannerò!
della sua cortesia, del suo buon core.
Se trovassi Giacinta e Carolina...
                                       Sì signore,
le ho vedute, saran cinque o sei ore.
se vi preme di lor saperne nuova,
le potete cercar; chi cerca trova.
Non mi fate arrabbiar secondo il solito.
                                         Via dite su!
In verità, non mi ricordo più.
che le mani ancor io saprò menare.
questi dolci son vostri, io ve li dono.
                                              Eccoli qui. (Le dà le cose dolci)
per quest’isola anch’esse come voi.
Vendicarmi l’età non mi permette.
Mala cosa è il trattar colle fraschette.
contro costor che vogliono ammazzarmi
ad avere di me più compassione,
di portar dalla China un’ambasciata.
dice il proverbio: «Chi la fa l’aspetta».
cotanto agli occhi miei bella e avvenente.
colla pietade e coll’affetto ancora
moderar s’io potessi il suo dolore,
tornarle il senno e consecrarle il cuore.
Parmi, se non m’inganno... Appunto è dessa.
Troppo il male fondata ha la radice.
Non deliro, signor, no, v’ingannate.
chieder devo prostrata a voi dinante
per avervi creduto un delirante.
Come! Alzatevi oh numi! E ciò fia vero?
ambidue c’ingannò con tal finzione.
                                            È Garamone.
arde non vi so dir di qual amore.
della colpa di lui le cause sono
una colpa sì bella io gli perdono.
mi dichiaro per voi. Arbitra siete
del mio poter. Tutti son miei soggetti.
Vuo’ che ogniuno vi stimi e vi rispetti.
vi supplico restar. Là dentro entrate,
placida riposate infin ch’io torni.
il comun bene e il mio dover mi chiama.
Sì felice e contenta il cor vi brama.
mi offre nel suo bel cor lieta speranza
l’amante e il padre a penetrarlo arriva?
si espone ad un periglio ed io meschina
della bricconeria dell’imbasciata.
Or or vado là dentro ad isfogarmi. (Mostra voler entrare nel padiglione)
Voglio usare ancor io l’ingegno e l’arte.
per tener meglio il mio pensier celato,
voglio finger con lei lo spasimato). (Da sé)
(Fingere mi convien col traditore
di esser pentita e spasimar d’amore). (Da sé)
Vi è scapata dal sen la gelosia?
Ogni brutto sospetto è andato via.
                                           Son sicurissimo.
(Sciocca! Te ne avvedrai). (Da sé)
                                                  (Maledettissimo). (Da sé)
In lacrime per voi mi son disfatto.
                                   Si conosce
                                         Ne son pentito.
                                     Mai più gridare.
(Che ti venga il malan). (Da sé)
                                              (Possa crepare). (Da sé)
Caro il mio ben, quello ch’è stato è stato.
                                             Se lo trovo,
Zitto. Venite qui. (Voglio provarmi). (Da sé)
fingendo che Valmonte, poverino,
Ma lo so che son io la sua diletta,
sì vita mia, vuo’ che facciam vendetta.
cogliere lo potete ed ammazzarlo.
                                      No fermate.
Se da voi colla spada egli è traffitto,
vi potrian castigar per tal delitto.
Parlo così perché vi voglio bene.
Suggeritemi voi che far conviene.
del padiglion, dov’è colui serrato,
sicché resti coperto e soffocato.
Poi, perché non respiri e non si mova,
armi, sassi, cavalli ed un cannone.
Diranno allor che l’ha ammazzato il caso.
Voi mi volete ben; non vi è risposta.
Ditemi gioia mia, son corrisposta?
Siete l’idolo mio; di cuor vel dico.
Contenta io son. (Non me n’importa un fico).
di grosse travi è il padiglion formato,
se Panico c’incappa, egli è schiacciato.
Nasca quel che sa nascere. Proviamo.
fate cader quel padiglione a terra.
Non lo dite a nessuno; io vel comando. (Le guardie partono)
Della lor fedeltà son sicurissimo
Bravi davvero, è il padiglion caduto.
                                          Aiuto aiuto.
Statene lì, ch’io non ci penso un cavolo.
                                          Aiuto. Il diavolo. (Vedendo Panico dietro di lui si spaventa)
Il diavolo? Dov’è? (Si spaventa)
                                    Spirto dannato,
sei da casa del diavol ritornato? (A Panico, tremando)
Mi vuol far spiritar dallo spavento.
                              Io crederei di no.
Come ti sei dal padiglion salvato!
Io non fosti di là; fosti di qua.
Mi ha ingannato così l’impertinente,
                                   Non ne so niente.
Voglio teco sfogar lo sdegno e l’ira.
                 Che cos’è?
                                       Morta è Gianghira.
caduto il padiglion, morì accopata.
Presto... voglio veder... Ma con costui
voglio prima sfogar... Forse Gianghira
                         Ho sentito.
                                                Valdimonte
Io lo farò per contentar l’amico.
per esempio con quattro bastonate?
son galantuom, la mia parola ho dato.
Questo è tutto il piacer ch’io posso farti.
Scegli tu con qual morte ho da sbrigarti.
aspettate che un dì mi venga male
                                  Subito? Oibò.
Colla spada briccon ti passerò! (Tira fuori la spada)
                                        Brava brava. (A Giacinta)
si potrebbe saper l’alta cagione?
Domandate la causa a quel briccone.
che per opera mia morta è Gianghira.
Si consoli, signor, che ancor respira. (A Garamone)
con quest’uomo da ben che me l’ha detto.
                                          Quell’empio cada.
Difendetevi, o caro, ecco la spada. (Dà la spada a Panico)
                                              Vien via, poltrone,
ch’io ti do il primo colpo nel polmone.
                      Io menerò colpi da cieco.
Vuo’ di Panico riparare il torto.
Difenditi, se puoi. (Contro Garamone)
                                    Contro una donna
fulminare non vuo’ del ferro il lampo.
Metto l’arma nel fodro e cedo il campo.
Eh di’ più tosto che la tua bravura
di una donna par mio muor di paura.
                                              Vengan pure.
han certi baffi che mi fan paura. (Parte)
Ah, che tutto mi affligge e mi spaventa. (Parte)
se acconsente tornar vuo’ ricercarla.
vengono per parlarvi altri chinesi.
                                     Siano introdotte.
Mi sembra di veder tante marmotte. (Parte)
(Amico, che sarà?) (Piano a Garamone)
                                     Vi è dell’imbroglio. (Piano a Valdimonte)
a domandar la figlia. Voi Gianghira
Datemi tempo e la risposta avrete. (Parte)
(Dubito sian chinesi come noi). (Piano a Valdimonte)
(Che ci conoscan?) (Piano a Carolina e a Giacinta)
                                     (Non lo credo). (Piano a Panico)
                                                                   (Oibò). (Piano a Panico. Gli stromenti tornano a ripigliare l’aria di prima e i finti chinesi fanno fra di loro i soliti passi, colle solite ceremonie)
Se la nostra nazione or vi comanda,
la possiamo chiamar la Nuova Olanda.
si potrebbe chiamar China Olandese.
la possiamo chiamar Febre Terzana.
Io l’intitolerei Città Novella.
Ed io la chiamerei l’Isola Bella.
a diverso pensier finor si attiene,
sia al comun ben sagrificato il cuore.
che mi accesi di voi. Se dal destino
foste per opra mia serbata in vita,
par che il destin meco vi voglia unita.
in qual guisa da voi fur licenziati?
per cagion di me stesso, io non costumo.
Sono i finti chinesi andati in fumo.
eccoci tutti cinque in carne ed ossa.
                                     Stolido affatto.
                                         Panico è un matto.
contro il merito mio, grazie, signori.
Basta, basta; di ciò più non si parli;
                                    La grazia accetto,
la mia fede vi giuro e il mio rispetto.
                              (Ho piacer).
                                                       (Speranze addio).
(Se tace ognun deggio tacere anch’io).
                           Vostra mi rese amore.
(Restar senza un’amante io non vorrei).
Ah signor, tremo tutta. (A Roberto)
                                            Cosa è stato?
che l’insegna di guerra ha dispiegata.
spedì la nostra gente un legno a posta
e fu questa signor la sua risposta:
Quest’è ben altro che charabacà.
amici in voi sperar tutto mi lice.
raccogliete le genti all’armi usate;
l’oste chinese ad incontrare andiamo.
La nostra libertà noi difendiamo.
perché venga difeso il bel soggiorno.
Carolina vezzosa a voi ritorno. (Parte)
Vada e ritorni pur; se ne avvedrà.
a combatter voi pur? Qui cosa fate?
io non comando ai militar signori,
ma ai fabri, ai falegnami e ai muratori.
Ed io son quell’eroe che il ciel destina
ai salami, ai prosciutti e alla cucina.
si hanno da far onore. Io benché donna
voglio far come donna il poter mio.
                                   E lo vuo’ fare anch’io.
voglio andare cogli altri a far il bravo.
E se vado a morir? Valmonte, schiavo.
Stava appunto con essa il mio pensiero.
                                         Già si avvicina
vengo a prender da voi l’ultimo addio.
di darvi un tale addio doglioso e mesto.
Vi potranno ammazzar senza di questo.
                              Quanto mi spiace
                                              Chi sa? Può darsi
che dalla morte il mio valor mi esima.
Ah fosse morto almen tre giorni prima!
se a voi di gelosia dato ho il disgusto.
Io gelosa non son di quel bel fusto.
                                  Non piangerei.
                                          Buon viaggio a lei.
                                             (Mi trema il core).

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