È una vecchia canzon che noi sappiamo.
Oh meschina di me! Li avete intesi?
Non ci stiamo a partir dal nostro sasso.
A parlar colla Lena io non ci vo.
ma vicino di lei non posso stare.
Fa’ quel che farò io colla mia Cecca.
possiamo bene divertirsi un poco.
Non rispondo certo. (Da sé filando)
Vi ho sentito cantar. (Alla Cecca)
Vi ho sentito cantare. (Alla Lena)
Andiamo via. (Piano alla Cecca)
Cecca. (S’alza e chiama Cecca)
Eh lo vedo. Sei cotta, poverina.
Aspettami, ch’i’ vengo. (Vuol seguire la Cecca)
sii cortese e gentil quanto sei bella.
Va la mandra dispersa al prato intorno,
custodirla per me. Torno fra poco.
Andar deggio diviato in altro loco.
altri farà per te, visetto bello.
Quel pastorello. (Accenna Pippo)
Come c’entrate voi? (A Pippo)
Lena gentil, troppo crudel sei tu.
Che ha che fare con me quello ch’è lì.
Io me ne vado via s’ei resta qui.
Chi non ti ama seguir non ti conviene.
Vanne da Elisa tua che ti vuol bene.
Sentimi... Non potrò. (Piano a Berto)
Fingi d’andare. (Piano a Pippo)
Berto, addio. (In atto di partire)
Già t’ho arrivato. (A Pippo)
Dalla Lisa sen va. (Alla Lena)
Ti dispiace ch’ei vada? (Alla Lena)
(Non so partir di qua). (Da sé)
(Non lasciar ch’egli vada, è un buon ragazzo
la Lena sarà tua, non dubitare). (Piano a Pippo)
(Fa’ a modo mio, non tel lasciar scappare). (Piano alla Lena)
Va’ dalla tua graziosa pastorella.
Tu sei quella, ben mio...
No, non son quella. (Parte)
Senti, senti crudel! Da me s’invola.
starsi sedendo in compagnia del conte.
Abbadar io non soglio ai fatti altrui.
lascio che ogniuno goda. Oh Silvio mio,
così fosse di me con chi dich’io.
parmi che poco sappia il suo dovere,
confidenza donando a un forastiere.
Ho da pensar per me misero e gramo
che non mi vuole amar quella ch’io amo.
Chi è colei che tu adori?
che mirare si possa al prato, al bosco.
di descriverla almen come potrò.
di ogni misero amante un dolce affetto.
ch’io cambiassi, infelice, e spoglie e nome.
Soffro la servitù, soffro la vita
per Lavinia diletta e per vederla
e per esser vicino al bel che adoro,
scordo la patria ed il natio decoro.
che m’ha voluto accompagnar fin qua.
negli antipodi ancora e nel Giappone.
di venire a graziarmi in questa parte.
senza sol, senza luna e senza stelle.
son venute a illustrare il bosco, il prato
ed io qual girasol vi ho seguitato.
povere luci mie tutta han perduta
per il mesto pallor di vedovanza.
Mio l’impegno sarà, se nol sdegnate,
di ravvivar quelle pupille amate.
suol le nubi scacciar Febo ridente,
che vi copre il bel viso e ingombra il cuore,
se qual vite feconda e fecondata
voi sarete a quest’olmo avvitichiata.
di sì bella beltà sono invaghito;
sarò qual mi vorrai... servo e marito.
l’amor, la grazia ed il più forte impegno.
all’opere più conte, Amor, che accendi
Venere, che sei madre del diletto,
e voi pianeti e voi minute stelle,
fate applauso di luce al mio contento.
pronuba generosa al nostro foco.
meco vicino in quest’albergo fido
qual Enea ricovrato alla sua Dido.
che a un amante rival vi lasci in preda.
s’io fossi Enea, se Iarba fosse qui,
a quel moro crudel direi così:
lo stato vedovil per me noioso;
e da lui la mia pace io bramo e spero.
Bene, ai comandi di vossignoria.
in un vaso che ho dentro al mio cestino
fior di latte raccolto in sul mattino.
e so che la padrona mi vuol bene.
Tu sei una buonissima figliuola;
senti, non voglio più vederti sola.
Sola non istò mai. La mamma mia
viene la Cecca a lavorar con me.
non è la compagnia che ti destino.
Vergognarti non dei, che le fanciulle
ed è cosa ben fatta il maritarsi.
Rispondimi di sì; sei tanto buona.
Farò quel che comanda la padrona.
Vado a prendere un nastro e torno or ora. (Parte)
e il mio Pippo vorrei. Quando lo vedo,
ma però lo vorrei sempre vicino.
ch’empie la stanza di novel splendore?) (Da sé)
Se non vien la padrona, io vado via). (Da sé)
Cintia, Venere o Clizia o luna o stella,
so che piace a’ miei lumi e so ch’è bella.
Meglio è ch’io me ne vada. (In atto di partire)
della gioia che in voi lieto respiro.
Vaglia per trattenervi un mio sospiro.
amoroso veleno infonde amore.
che non vorrei avvelenarmi anch’io.
escir potesse avvelenato strale...
Ah non vorrei che mi faceste male.
adorarvi e il cuor mio tutto donarvi.
non so s’abbia a dolermi o ringraziarvi.
come l’aspide rio tra fronda e fronda?
(Non intendo parola). (Da sé)
Che volete che dica? Io non lo so.
Cara semplicità quanto mi piaci!
Fortuna, degli audaci protettrice,
fammi in questo momento esser felice. (S’accosta per abbracciarla)
labbra gentili, pupillette ladre.
Andate via, che lo dirò a mia madre.
vi vorrà qualche cosa. Un regaletto.
Per esempio... sì bene. Un anelletto). (Da sé)
Vi torno a dir che mi lasciate stare.
da me lungi partire io vi consiglio.
Eccomi a’ vostri piedi. (S’inginocchia)
Giuro al nume d’amor, giuro d’amarvi.
Di darmi gelosia deh tralasciate.
fido amante, costante a voi sarò
fino... fino a quel dì... fin che potrò. (Parte)
del suo debole cor; ma pure io l’amo;
ed unirmi con lui sospiro e bramo.
se del conte la man sperar mi lice,
son contenta, son lieta e son felice.
Il burro questa mane si ha da fare.
Noi porteremo il latte alla cascina.
Si cangierà. (Parte con Pippo)
Hai molto duro il cor. (Alla Lena)
Mi voleva toccare ed io gridai.
E poi non ho gridato più.
vengono con il latte. Non lo stare
ed il tempo passar con allegria.
quel che nella cascina abbiamo fatto,
quattro forme di cacio e sei ricotte
fatte da queste belle giovanotte.
Tutto fo bene colle mie manine.
la Lena è una ragazza che consola;
tutto fa ben fuor d’una cosa sola.
Domandatelo a lei, la crudelaccia.
Perché vuo’ far quel che mi par a me.
Si risponde così? Sai tu chi sono?
Così colla padrona non si parla. (Alla Lena)
Via, non bisogna poi mortificarla. (A Pippo)
ritrovare convien, che vi sia grato.
Per me, signora, me l’ho ritrovato.
questo giovine qui che voi mirate. (Accenna Berto)
questa giovine qui mi prenderei. (Accenna Cecca)
Non ha niente in contrario il genio mio,
siete contenti voi? Lo sono anch’io.
mi prenderei questa ragazza qui. (Accenna la Lena)
Ragazzaccia, lo so perché ricusi.
Qualche amante miglior ti avrà ferita.
(Sarà del conte Ripoli invaghita). (Da sé)
Io ferita non sono in nessun loco.
Perché a Pippo meschin non doni il cuore?
Perché senza del cuor so che si more.
(Guarda che dall’Elisa ei tornerà). (Piano alla Lena)
Già so che dell’Elisa non è vero). (Piano a Berto)
Ma se Pippo foss’io gliela farei). (Da sé)
tutto a ripor nella dispensa mia.
con cui veniste cantuzzando or ora,
vuo’ che partite e che cantiate ancora. (La Lena, la Cecca, Pippo e Berto, riprendendo le robe loro e cantando una delle suddette strofe, partono)
lieti mirar questi pastori miei.
Certo un soggiorno tal non cambierei.
offrirvi un segno del rispetto mio,
frutti dell’opra mia vi reco anch’io.
non venisti tu ancor, gentil pastore?
Perché lieto non ho com’essi il cuore.
Ma già de’ mali miei pietà non spero.
Sei amante, meschino. È vero?
La mia bella non è lontan di qui.
che se invano lo svelo io morirò.
(Ama! Teme un rival! Sì, l’ho capito.
Ma di Lena sarà Silvio lo sposo). (Da sé)
giungesse a penetrar). (Da sé)
e l’amore e il timor già penetrai;
fidati pur di me, lieto sarai.
Grazie, superni dei, senza parlare
m’ha capito Lavinia e se speranza
chieder la man, chiedere il cuore in dono,
che se povero i’ son, vile non sono.
Ci hanno qui preparato una merenda.
dalla signora mia... Ma il conte Ripoli
ora sen vien. (Codesto mio rivale
non lo posso soffrir). Senti; colui
non lo lasciar entrar. Di già lo sai
che colla Lena tua fece il grazioso.
(Non lo lascierà entrar Pippo geloso). (Da sé)
Finché ci siamo noi non passerà.
Colla Lena il grazioso oggi non fa.
Non si risponde a un cavalier così.
Ho detto ch’io non so dov’ella sia
né per questo vi dissi una bugia.
Per ora non si può. (L’arresta)
Chi vuol vederla ha da parlar con me.
Vattene, temerario. (Vuol passare)
Eh non andate. (L’arresta)
Badate; ho anch’io le mani. (Lo minaccia col bastone)
che non vada nessun ne’ quarti suoi?
Tutti ci ponno andar, fuori che voi.
hanno dal cavalier le grazie istesse.
(Se gelosa è di me, dunque m’adora).
Voglio scolparmi. (In atto di andare)
Tal coraggio con me? (Vuol avanzarsi)
Coraggio avrò. (Si mette in difesa)
mi fa un po’ di paura il suo bastone). (Da sé)
da questa graziosissima faccenda
voglio andare a merenda. Oh se potessi
della Lena gentil quegli occhi bei. (Parte)
(Mi dispiace davver che non ci sia). (Da sé)
di mangiar, d’aspettar padrone siete.
Lena, che dici? Vuoi che l’aspettiamo?
principiamo a mangiar con allegria. (S’accosta alla tavola)
Andiamo. (Alla Lena) D’appetito anch’io sto bene. (S’accosta alla tavola)
Eccomi. (Quel briccone ancor non viene). (Da sé. S’accosta alla tavola)
portate un lume; ci vogliam vedere. (Ad un servitore da cui vengono recati i lumi)
un po’ la gola ci convien bagnare.
alla salute di chi ci vuol bene. (Versa a ciascheduno un bicchier di vino)
Son due ore che siamo in questa stanza.
E Pippo non ha niente di creanza.
Le solite finezze della Lena.
È in collera con te, Lena.
Ma bever non si dee senza cantare.
(Voglio nasconder il dolor ch’io sento). (Da sé)
Lena crudele, abbi di me pietà.
E chi t’ha detto che tu venghi qua?
Resta, Pippo, ove sei; e voi mangiate. (Dà a ciascheduna qualche cosa da mangiare)
Ah dov’è andato l’appetito mio?
Se non mangierai tu, mangierò io.
(Povero Pippo mio, mi fa pietà). (Quasi piangendo)
Vogliano lacrimare gli occhi tuoi?
rider mi fa costui, pazzo ch’egli è.
(Affé, che questa volta il manderei). (Da sé)
Ci siete poi venuto a mio dispetto.
o ti discaccierò da queste porte,
quando Lavinia sarà mia consorte.
Lasciate star le pastorelle in pace
e poi sposate chi vi par e piace.
non intendo levarle ai lor pastori;
ma giust’è la beltà s’ami e s’onori.
Vogliamo amarle ed onorarle noi.
(Se me ne desse un altro, il piglierei). (Alla Cecca)
scenda dal terzo cielo il dio d’amore
ad infiammarvi, pastorella, il core.
Viva, signor, la sua caricatura. (Al conte)
E viva il suo valor, la sua bravura.
Grazie rendo ad entrambi. Il ciel vi guardi
da ogni mal, dai nemici e dall’inopia
e doni a tutti due la cornucopia.
Dalla padrona mia. (Rusticamente)
(Ah! Non mi può veder). (Da sé)
vuo’ far col signor conte il dover mio;
ed un brindisi a lui vuo’ far anch’io.
Eh lascia stare... (Alla Lena)
Tu non c’entri. (Lo voglio tormentare). (Da sé)
non lo trattar sì male, poveraccio.
Eh! Signor conte, un brindisi gli faccio.
di chi non vuole, il suo bel cor son io.
E quel brindisi caro è tutto mio. (Parte)
Addio, Berto; Cecchina, addio anche tu.
Sì vado via; non ci vedremo più.
ma via non anderai; resterai qui.
Per il mondo anderò da pellegrino.
Lascia questa bestial malinconia.
non ti voglia, t’abborra e ti abbia in ira
ed io so che per te tace e sospira.
Addio, Berto mio caro, addio Cecchina.
La Lena ti vuol ben; lo so di certo.
se la vuoi guadagnar quest’è la via.
Diamole un pocolin di gelosia.
per rendere gelosa la tua bella
e farla divenir come un’agnella.
che le donne non possono tacere.
Voglio che la vi giunga all’improviso.
Una burla sarà degna di riso.
tu colla Lena ed io colla mia Cecca
staremo dolcemente in compagnia;
a ballare, a cantare andremo al fonte,
saltare al piano e sdrucciolar dal monte.
godere il fresco e rompersi il sedere.
credo piacerà poco. Sarà meglio,
se a te la compagnia noia non reca,
giocare al gioco della gatta cieca.
correre qua e là, pigliar, fuggire?
se potessi, la Lena io piglierei.
(Ancora qui costui?) (Da sé)
Io gli rompo la testa in qualche dì). (Da sé)
proverà che sa fare il mio bastone.
odioso teco e vuo’ giustificarmi.
sappi che la padrona ha comandato
e lo sposo esser deve o Silvio o tu.
Eccola. Il resto lo saprai da lei. (Parte)
Lena mia, Lena mia, parla, è egli vero
e poi, per quel che sento dalla gente,
è un povero pastor che non ha niente.
ch’io dica di voi due chi prenderò.
Bene, quando è così, vado io stesso
che di Silvio sarai sposa diletta.
Ti prenderò. (Fugge via vergognandosi)
Mi prenderà. L’ha detto, e viva, e viva.
Chi mi può pareggiare in questo dì.
La mia Lena alla fin detto ha di sì.
contento anch’ei sarà. Non v’è bisogno
Sono contento alfin; la Lena è mia.
Berto mio non si vede. Io non so mai
possa essere andato. In questo giorno,
ci dovrebbono dar letizia tanta,
non si vede venir? Così mi pianta?
di prendere il suo Pippo e non vorrei
ch’io mi avessi a sposar dopo di lei.
Non ti posso spiegare il mio contento.
che di nastri s’adorna il cappellino.
Eccola, Pippo, col suo chittarino.
Sa suonar, sa cantar; fa tutto bene.
Si sposeranno e Berto mio non viene.
Da quella volta in qua non l’ho veduto.
Mi maraviglio che non sia venuto.
che segua della Lena il matrimonio.
Son venuto ancor io per testimonio.
essere mi esibisco il protettore. (A Pippo)
Obbligato, signor, del suo favore.
la protezione fra di noi non si usa.
se vi servo, sarò da voi gradito? (Alla Lena)
Io mi farò servir da mio marito.
grata, se vuo’ servirvi, un poco più? (A Cecca)
Tenetevi la vostra servitù.
tant’e tanto staremo allegramente.
tento, provo, m’avanzo e parlo e dico;
ma alfine poi non me n’importa un fico.
che ho piacere di stare in allegria.
tu fai per l’allegria cose da pazzo.
per la testa non vuo’ malinconie.
Eccomi qui dalla padrona apposta
per concluder le nozze adesso adesso.
E vieni qui colla chitarra appresso?
ha cantato testé col chitarrino.
e con Pippo di già mi son scolpato.
poverina è furente, è disperata.
Or or da Pippo sarà consolata.
e fino che s’aspetta la padrona
voglio dirti, Cecchina, una canzona.
è una dolce pazzia che non dispiace.
fastidioso non è, non è vizioso,
spero che abbia a riuscir buono e amoroso.
sentito ho a dir ch’erano i loro amanti
gioie, oracoli, stelle; e, maritati,
diavoli in pochi dì son diventati.
per amor mio fra quelle spoglie occulto
è alla mia tenerezza un grave insulto.
l’amor, la fedeltà vale un tesoro.
Temerò sempre fin che giunga al segno...
Ecco la destra, del mio cuore in pegno.
eccovi di ritorno il vostro Enea.
Voi serbate nel cor la bella immagine;
ma il ritorno d’Enea tardo è a Cartagine.
della barbarità crudel deposito,
su, venite, vuo’ fare uno sproposito.
Vuo’ svenarlo sugli occhi alla mia Dido.
(È un bel pazzo costui). (Da sé)
Eccolo lì. (Accenna Costanzo)
Questi è un vile bifolco, è uno stivale.
che si è finto pastor per la sua dama.
la bella un dì peripezia d’Alceste.
qual Demetrio scoperto a Cleonice.
A un sì tenero amor chi può star saldo?
Tutto a sì bella azion mi passa il caldo.
coll’Elisa è impegnato; e mi ha promesso
e poi, meschina, mi abbandona adesso.
Ecco un’altra Didone abbandonata.
io darei... sì davvero... a quel pastore. (Accenna Silvio)
Veggo che vi dispiace il restar sola.
Ma questo qui non fa per voi, figliuola.
Costanzo ha nome e sarà mio marito.
posso i miei torti vendicare ancora.
Fuori di queste stanze andiam, vi aspetto. (Parte)
Eh ditegli, signora, che ho burlato.
guerra non voglio far. Ho cento belle
che mi corrono dietro; e posso sciegliere
la ricchezza, il decoro e la beltà;
e son sicuro della fedeltà.
facili a ritrovare io vi concedo;
ma le fedeli poi tanto non credo.
e so essere anch’io fido e non fido.
Se afflitta siete, io vi consolerò.
che troviam noi nelle ragazze belle;
parlano di sposar le tristarelle). (Da sé)
fuori di questo sol del matrimonio.
Tutti finora mi han desiderata
ed ora son da tutti disprezzata). (Da sé)
Sarò di voi modestamente amico.
Andate via; non me n’importa un fico.
Per cavalier son qui! Marito no.
Pazienza. Me la merito. Lo so!
Pippo briccone, mi vendicherò.
(Così senza volermi almen sentire
andarsi per vendetta ad esibire?) (Da sé)
Se lo vedo morir, non v’è pietà.
all’Elisa non disse: «Io ti vuo’ bene».
Basta, se non è reo, si scolperà.
Vuo’ mostrar non pensarvi.
Non vuo’ guardarla in volto.
fra di noi si confermi il matrimonio.
Ecco vi vuo’ servir di testimonio.
Farà grazie anche a noi. (Al conte)
scendi, vieni, invocato, a questa soglia.
(Me ne han fatto venire una gran voglia). (Da sé)