Eh fermate, pastori, e non sì tosto
perché oscurasi il sole e fischia il vento
vogliate concepir sì gran spavento.
non togliete le agnelle alla pastura,
cantate di piacer, non di paura.
che mi sento morir dalla paura.
Hai paura! Di che? Fermati, aspetta.
Tremo che non mi colga una saetta.
che non possa arrivarti il cielo irato?
con i fulmini suoi giunge per tutto.
fuggir quando si può. Qui siam soggetti
all’acqua, al vento, ai fulmini, ai baleni;
dentro di quella torre e ripararci.
ad altri fuor che a me passar non lice.
che là dentro si chiude in quel serraglio,
dove penetra il sol per un spiraglio?
Io soltanto lo so, sol io lo vedo,
e mi fermo talora a parlar seco.
Stupisce ognun che un uomo si rinchiuda
né si possa saper chi diavol sia.
Misera umanità! Senza sua colpa
è quel meschino in prigionia venuto,
per cagion d’un tiranno...
Aiuto, aiuto. (Scopia un fulmine, il quale percote nella torre e ne precipita una parte. Poponcino atterritto fugge)
È stanco il ciel di tollerar l’ingiusta
ecco il carcere aperto e Celidoro,
se colpito non l’ha qualche saetta,
or or lo vedo comparirmi in fretta.
che sapere vorrà quel che finora
e vorrà senza dubbio il principato.
Or di entrar non mi fido. Andar vogl’io
il principe Ruggiero, acciò creduto
liberato il prigion per opra mia.
Vedrei pur volentieri i primi moti
né ciel né terra né persona al mondo
fuori di me, sin dalle fasce chiuso
e da ogni ben di questa vita escluso.
Leggea sol qualche libro e allora quando
sentia le donne mentovar, pareva
rallegrato il suo cor dalla lettura,
per opra della gran madre natura.
Ecco Febo rischiara il ciel turbato.
un perfetto piacer. Godea le fiere
cacciando, unita a voi, sposo diletto,
ed un fiero timor mi assalse il petto.
voi stessa tormentar; misero mondo
se volesse ciascun qual voi solete
sempre il male temer. Goder conviene
di momento in momento il dolce, il bene.
chiuso colà dal vostro genitore,
il rimorso m’assale ed il timore.
Vano timor. Del padre mio non cerco
l’arbitrio o la ragion. I suoi decreti
e de’ retaggi miei contento io godo.
funesta eredità goder vi piace.
facile vagheggiar or questa, or quella,
di quel fare il vezzoso ad ogni bella.
V’amo, Lisaura mia, ma con più forza
amor per voi mi scalderebbe il petto,
Non si può dubitar ciò che si vede.
amo voi sola. A voi tutto riserbo
più vezzosa, più bella io l’ho perduta.
(Qual bellezza gentil non più veduta?) (Rimane sorpreso vedendo Ruspolina)
(Eccolo già sorpreso). (Osservando Ruggiero)
(Non può far resistenza alla natura). (Da sé)
La pecora non trovo e pur dovrebbe
Vo cercando un’agnella e non la trovo.
Del vostro dispiacer, spiacere io provo.
Oh che tenero cor! (Con ironia)
se i sconsolati consolar proccuro.
Siete tenero assai, sì, lo confesso,
spezialmente però con il bel sesso.
(Femmina più gentil non vidi mai).
Sì, poverina! (A Ruggiero)
Movetevi a pietà d’un’infelice.
trascurar di soccorrere una bella.
Supplite voi per la smarrita agnella.
pianger per il destin barbaro e crudo
potete rimediar con uno scudo.
Voi me lo consigliate? (A Lisaura)
giacché il vostro dover non conoscete.
troppo vuol, nulla avrà).
è gelosa di voi vostra sorella?
Questo fra due fratelli è troppo affetto.
accendermi nel seno un miglior foco.
non intendo da me cosa vogliate.
(Seguasi la finzion). Son io, mia bella,
un cavalier del principe Ruggiero.
che a me siano pietosi i vostri rai.
Oh padron mio, voi v’ingannate assai.
che mi parla d’amor all’improvviso
non mi move a pietà, mi move al riso.
di supplire m’impegno a onesti patti.
Tutte belle parole e tristi fatti.
s’io torno a casa senza l’agnellina,
per porre all’ira della madre il freno?
Vi vorrebbe uno scudo almeno, almeno.
Prendetelo, mia cara. (Le dà un anellino)
Obbligatissima. (Lo prende)
Or la perdita vostra è risarcita.
risarcita da voi fate che sia.
se non avrete il vostro cor nel petto,
il core d’un agnello o d’un capretto.
E non è robba per vusignoria.
Orsù voglio da voi... (Accostandosi)
gl’uomini di dir voglio non son usi
e paura non ho di brutti musi.
io ve lo renderò (ma non per ora).
Seguitela da lungi e il di lei tetto
Vincerò quell’orgoglio e sarà mia.
lungamente al pregar resiste invano
ed ha facile il cor come la mano.
Dove son! Dove vado? Ove m’aggiro?
Sono libero alfine, alfin respiro.
Questo ciel, questa terra e questo verde
Quel che mondo si chiama è bello assai.
di rompere la torre e fraccassarla.
che mi tenea serrato, se lo trovo
Ma è quello che mi porta da mangiare.
trovarmene saprò... Ma dove? E come?
e d’uscire trovar non so la via.
con i vostri agnellini in compagnia.
Consolatevi pur la notte e il dì,
che anch’io quando potrò farò così.
(Chi è colui che mi guarda attento e fiso?)
Qualche nume sarà dal ciel calato).
(Agl’occhi miei non mi rassembra ingrato.
Ah mio nume celeste... (Corre verso Cetronella)
Aiuto, aiuto. (Si ritira con timore)
nume del ciel, la grazia vostra imploro.
(Prendo un po’ di corraggio). Ma, signore,
io non sono una dea; sono una donna.
siete dell’uom. Voi la gentil compagna,
destinata da Giove a starci accanto.
esce dagl’occhi vostri; ah, ch’io mi sento
misto il cor di dolcezza e di tormento.
altro viso di donna ancor veduto?
chiuso finor con barbara fierezza;
oh che volto! Oh che labbro! Oh che bellezza!
in un viso mortal sì vaghi rai.
Ne vedrete di me più belle assai.
altra maggior beltà. Voi m’accendete
porger qualche ristoro a tanto foco.
sconosciuto desio per voi nel core.
ma come non so dir; voi lo saprete.
delle leggi, sinor, poco istruito.
accendere e smorzar del sen l’ardore.
Son vostro, siete mia, non repplicate.
di cercare i parenti e in questa cosa
che si deve accordar fra voi e me
d’altra gente bisogno ora non c’è.
che non siate una donna. Io non ho letto
che femmina gentil in verde etate
si facesse pregar come voi fate.
No che donna non siete... Eppur nel petto
Questa smania non so che cosa sia.
Farò veder s’io son amante o stolto...
Ma perdono l’ingiuria a quel bel volto.
Cetronella, alla fin ti ho ritrovata.
(Deh vieni Poponcino). (A Poponcino)
Chi è costui? (A Cetronella)
(Parente?...) (Piano a Cetronella)
(Taci. Convien dir così). (Piano a Poponcino)
Parente, vieni qui. (A Poponcino)
Ah giuro al ciel, ti spaccherò la testa. (Alza il bastone)
Ma se del nostro amor non fian contenti,
tutti del mondo ucciderò i parenti.
è assai bella, mi piace; affé la voglio.
(Liberatemi voi da quest’imbroglio). (Piano a Calimone)
La conoscete voi? (A Celidoro)
affé ne vederete una tempesta.
Altre adesso non vedo e voglio questa.
(Povera me! Mi vedo disperata).
Fidatevi di me. Voi l’averete;
vi pose in libertà, vogl’io narrarvi
e qual parte nel mondo aver dovete.
Quella donna gentil non lascierò.
non vi rispetterò, se m’ingannate.
Oimè! Alfin se n’è andato.
ma con te non vogl’io più far l’amore.
Colui vuole ammazzare i tuoi parenti.
Ei fa della mia testa una polpetta.
Potrai abbandonarmi? Ah crudelaccio!
E delle donne ve ne sono assai.
Non voglio con colui qualch’altro intrico.
Non son parente e non chiamarmi amico.
mi disprezzi così? Così favelli?
Vi son degl’occhi belli in quantità?
Sì ma un cor come il mio non vi sarà.
fedele come il mio, schietto e sincero;
quando amor mi colpisce, amo davvero.
Chi è mai questi che dorme? Il padre mio
Poi restando qui sol si è addormentato.
e tosto che di lui viddi l’aspetto,
dentro di me gl’ho concepito affetto.
Oh davvero, davvero... Son qui sola...
Ho soggezione... Me nasconderò. (Si ritira)
dalla carcere sua, colla mia mano
riparerò l’ingiurie della sorte
e dal sonno passar farollo a morte. (Caccia la spada per ucciderlo)
Svegliatevi, signor. (Scuote Celidoro e si ritira)
Lascia la spada. (S’alza, s’avventa a Ruggiero e lo disarma)
Indegno... (Contro Ruggiero)
Colui non fuggirà sempre il mio sdegno. (Parte)
(Di Ruggiero prevedo il rio destino).
Lo troverò. Ma chi dal sonno mio
Son stata io. (Scoprendosi)
al petto del meschin vibrar l’acciaro.
Io feci al viver suo schermo e riparo.
Ha salvata la vita al suo germano).
Poss’io sposarla? (A Calimone)
Basta, basta... Tu sei vezzosa e bella.
(Egli ancora non sa ch’è sua sorella).
in atto allora di ferirvi il petto
misto in seno di sdegno e di paura.
(Tutt’opra della gran madre natura).
per trafiggere il cor di quell’indegno.
Dunque di scellerati è pieno il mondo?
dove solo i miei dì finor passai?
a starvene colà cheto e raccolto.
Ma colà non vedrei di donna il volto.
le donne a rimirare con diletto
non le sa, non le può staccar dal petto). (Parte)
Dunque figlio son io di nobil padre?
ed a me si conviene un principato?
tutto non mi narrò. Vuo’ che mi dica
quali son gl’inimici e chi son io.
Ah chi sa che colui non sia l’indegno
che mi usurpa i miei beni e la mia morte
Se lo trovo ammazzar lo vuo’ a dritura. (Correndo con la spada alla mano s’incontra in Ruspolina)
Depongo il ferro e vostro schiavo io sono. (Getta la spada)
Voi avete il mio cor vinto e placato.
come l’altra mi piace e m’innamora).
Dunque vi sposerò più facilmente.
Che dite di sposare! Io non so niente.
(Che vedo? Ruspolina e Celidoro?)
che disturbi a nessun le gioie sue.
Ma se voglio sposarvi tutte due.
Che stile! (Con sprezatura)
Se avete tai pensieri andate via.
Voi siete in queste cose ignorantissimo.
Eruditemi voi, care bellezze,
e lasciatevi far delle carezze.
Colle fanciulle non si fa così.
Non si fan le carezze il primo dì.
insegnatemi voi cosa far deggio
per piacervi una volta e non sdegnarvi.
Care, son qui da voi. Su via parlate.
Ben volentier pel padre mio, che brama
spegner la sete in fra gl’estivi ardori,
a raccor vengo i cristallini umori.
s’incontrano soldati e cavalieri,
vengo malvolentieri. Ciascheduno
e mi dicon ch’io son troppo modesta.
Presto mi spiccierò. (S’avvia verso la fonte)
Fermati. (Incontrandosi in Dorina)
La pietade, il timor mi rese ardita.
Perché dunque sottrarlo all’ira mia?
(Non sa d’essere ancor di lui germana).
chiudasi in forte rocca e là sia spenta.
Ogni lieve periglio or mi spaventa).
Misera me! Chi mi soccorre? Oh dei! (I soldati la circondano)
L’hanno arrestata ed il comando è mio.
e custodita sia cautamente.
Non ardite parlar. (Con collera)
Dunque m’abbandonate? (A Calimone)
tu lo vedi, conviene aver pazienza.
(Ma del cielo oprerà la providenza).
d’usar più la pietà. Se non distruggo
questo sangue nemico o nol disperdo,
le mie ragioni al principato io perdo.
va crescendo Dorina, è necessario,
ch’una in carcere vada e l’altro a morte.
Celidoro finora a’ cenni miei,
voi, per cui son de’ stati miei l’erede,
attendete da me premio e mercede.
(D’un tiranno crudel sprezzo i favori).
(Egli il premio averà de’ traditori).
Ha perduto Ruggiero ogni ritegno.
Il suo barbaro sdegno ormai eccede
e non merita più né amor né fede.
liberarla vogl’io dalla prigione.
Venite qui, quel che vi narro udite,
ascoltatemi bene e innorridite.
per mia figlia, sinora ignota a tutti,
per voler di colui che avvinto e oppresso
Presto la sorellina ove dimora?
Badate a me, non ho finito ancora.
ha mandato Dorina ora in prigione.
voglio strappargli il core. (Vuol partire)
Solo far nol potete. Egli è difeso
Io li farò cader tutti svenati.
l’ira mia moderar contro il ribaldo.
siete voi per effetto di natura.
Ma vi vuole prudenza e non bravura.
Una spada, una lancia, un buon bastone
e se so da per me trarmi d’impaccio.
vuo’ liberar. Vuo’ che Ruggiero mora
gl’amorosi, modesti insegnamenti,
nella scuola d’amor farò portenti.
e il principato e la corona è vostra.
ma quando due lo san lo sanno tutti
e si è sparsa la voce ai vecchi e ai putti.
Non temete di nulla; ecco una spada.
quel che finor per principe adoraste?
Non vorrei che fingeste o m’ingannaste.
e le donne vorria tutte per lui.
Credo ne prenderebbe insino a trenta.
È troppo, è troppo; non si può soffrirlo.
fino a due, fino a tre...
Non si prende altra donna che una sola.
Godersela convien sino ch’è viva.
Questo scoglio davver mi sembra fiero.
moririan pochi colla moglie appresso.
una cosa per l’uom sì trista e fella?
Credere nol potrò... Ma questa spada
non voglio inutilmente; amici, andiamo.
Che liberar la mia germana io bramo.
che usurpommi finora il principato.
di Maiorica il solo e vero erede.
che avete qualche cosa in voi di grande.
E le mie principesse io vi farò.
Io sono un’ordinaria pastorella.
Io nobile non sono e non son bella.
Non curo nobiltà; sol la bellezza
e però mi piacete tutte due,
perché ciascuna ha le bellezze sue.
Ha un valor la sua grazia strepitoso.
Io conosco me stessa e non mi vanto.
Celidoro anche lui vi ha conosciuta
che per tale conosce ancora voi.
superar questa volta il vostro ingegno.
Non la cedo a nessun quando m’impegno.
Gran sapere in lei si trova!
Aiuto aiuto... Oimè cosa sarà? (Vengono i soldati, le prendono tutte due e le conducono via)
misto a quello d’amor di sdegno il foco.
ardisce vagheggiar la pastorella.
E gli par più di me vezzosa e bella.
voglio sacrificar. Da’ servi miei
a quest’ora la credo in ceppi avvinta.
Quest’indegna rival la voglio estinta.
m’avete fatta strascinar fin qua?
Non voleva già voi ma Ruspolina.
è stata presa e sarà quivi or ora.
voi abbiate sofferto un tale oltraggio.
che l’avesse con me. Non vi è nessuno
E fo quando poss’io tutti contenti.
e non vuo’ della gente mormorare.
Della mormorazion io son nemica.
Qualunque ardisce darmi gelosia
Una donna prudente è sempre tale
e chi opra ben non ha timor del male.
ma non so accomodarmi. Anche l’altr’ieri
con il qual si diceva e sì e no.
merta d’essere amata e mi rincresce
recato i sensi miei abbian timore.
Ma se vien Ruspolina... Eccola, indegna,
la sua baldanza ad infierir m’insegna.
Vi ringrazio di cor di un sì bel dono.
non ti ricordi la perduta agnella!
Ch’egl’era ha detto a me vostro germano.
dall’altra tua compagna pastorella.
con quel ch’è vostro sposo a testa a testa.
Ma non voglio dir male...
E sa finger così? Guardie, ove siete? (Entrano le guardie)
serbatela in prigione a’ cenni miei.
E sia lo stesso di costei.
Sono stata ingannata. Io non credea
che quel tale signor fosse ammogliato.
e non soglio toccar gl’altrui mariti.
e per me non si trova compassione.
ma fuggendo morir da lance o dardi,
tant’e tanto si muore o presto o tardi.
È vero, lo so anch’io che morirò;
ma tardetto vorrei più che si può.
Animo; ci son io; di che temete?
vi veniremo dietro (di lontano).
avete per colei tanta premura?
Per effetto di sangue e di natura.
a riacquistar il vostro principato.
Amici, andiamo e parlerem del resto. (Celidoro s’avvia per la salita seguito da’ suoi armati. Popponcino resta indietro di tutti, mostrando il suo timore. S’apre la porta del castello e si cala il ponte, da dove escono combattenti. Celidoro ed i suoi retrocedono al piano, Poponcino si ritira fuggendo. Celidoro si svia combattendo, segue la zuffa, dopo la quale Celidoro ed i suoi vittoriosi salgono ed entrano nel castello. Poponcino dopo di tutti godendo della vittoria sale ancor esso e tutti entrano nel castello, sempre col suono dei tamburi)
Oh quanti morti! Oh quanto sangue, oh quanta
viva il mio Celidoro evviva, evviva.
Buon vecchio, ecco Dorina.
Ah padre mio... (A Calimone)
Vieni meco, che tutto alfin saprai.
Grazie al ciel, grazie a voi che così presto
mi toglieste dal piè dei lacci il peso.
Quel che a me tu facesti, ecco, ti ho reso.
Tutt’opra della mia somma bravura.
Vengo. Affé son curiosa assai, assai. (Parte)
(Principe Celidoro è dunque nato?)
(Una sposa vorrà simile a sé).
(Una fortuna tal non è per me).
voi pur col mio valore io liberai.
Anch’io, credete, ho combattuto assai.
mi teneva là dentro ingiustamente.
Potete ringraziar la mia bravura.
se il suo valore ha dimostrato ognuno,
si dividan le prede una per uno.
quello che più v’aggrada fra di noi.
Voglio voi, voglio voi. (A Celidoro)
Vogliono tutte due me per marito.
che non si può sposarne che una sola?
dite che a tutti due porga ristoro.
Io voglio per marito Celidoro.
Facciam così, mio caro Celidoro,
prendiamo da noi stessi una di loro.
(Se non è Celidoro io non lo voglio).
(Se non è Celidoro è un brutto imbroglio).
Ove fuggo, infelice? Ove m’ascondo?
fuggitivo Ruggiero, oppresso e vinto,
or fra’ lacci sarà, se non estinto.
finirò i giorni miei fra le ritorte?
pastorella non son ma principessa.
ninfa di questi boschi or più non sono.
e Calimone ne potrà far fede.
Ah voi siete felice ed io la sola
di ricovro, d’aiuto e di pietade
dovrò perir nella fiorita etade.
(Mi move a compassion). Se darvi io posso
ritrovatemi voi. Non so in qual parte
vi posso offrir per sicurezza. Intanto
per volere del ciel fosse perduto
Calimon vi darà consiglio, aiuto.
l’offerta generosa. Il ciel vi serbi
a destino del mio più lieto e certo
e coroni la sorte il vostro merto.
Itene, che vi seguo. Sventurata!
Sento di lei pietà. Del caro sposo
e il principe Ruggiero è un incostante.
troppo pericolosa. Io sono ancora
innesperta gl’è ver per tal mestiere
e a difendermi bene or mi preparo.
di levarmi lo sposo e il principato.
ch’io l’ho fatto perché vi voglio bene.
impedir ch’io divenga una signora;
far che cada in favor della rivale!
Maledetto l’amor che mi fa male.
un amante fedel? Non val più assai
d’un principato e ancor d’una corona
ma io la stimo men della ricchezza.
Andate via, che siate maledetto.
parla da dottoressa naturale.
meco sarà per le ragioni sue,
onde le avrò perdute tutte due.
avete la mia sorte procurata.
che m’amate davvero e che lo so.
se volesse sposare una signora,
Io tutti sposerei fuori di te.
se credessi morir, nol guardo più.
per una che il suo cor tutto gli dona,
se credesse morir, non l’abbandona.
Tu sarai un villano, io principessa.
Può darsi che la cosa ancor sia varia.
Questi finora son castelli in aria.
quando dell’eccelenza mi darai.
Volgono armati a questa volta i passi,
io mi nasconderò fra questi sassi. (Si cela dietro una bassa rupe)
Amici, ogni speranza è ormai perduta.
Divengono i nemici ognor più fieri
e noi spenti saremo o priggionieri.
L’arte si tenti ove la forza è vana.
Nascondiamoci qui fra queste rupi;
a momenti passar. Testé lo seppi,
attendiamolo al varco e in lui sia spenta
la ria cagion che i danni miei fomenta. (Si cela fra’ dirupi cogl’armati)
vogliono assassinarlo... Torna gente... (Si nasconde nel luoco di prima)
Voglio un po’ respirar. Fra questi sassi
di quest’acque il rumor m’alletta e piace.
E goderò qualche momento in pace.
(Mi vuo’ con l’arte assicurar di lui).
Non useran la forza ma l’inganno.
la mia mano in difesa e la mia spada.
l’insidiare, il tradir. Gente sì trista
usar l’inganno e macchinar la frode.
guida nascostamente i servi suoi
ed è questo che parla ora con voi.
Soldati. (Chiama e pone mano alla spada)
Ah che m’hanno i codardi abbandonato.
Sì, mi rendo. (Getta la spada)
Così tosto t’arrendi al paragone?
per non far ch’egli avesse altra paura,
con un colpo spicciarselo a dritura.
Di svenare un codardo io non mi degno.
che dar mi puoi. Più della morte istessa,
è più fiero tormento il mio rossore.
ch’egli l’ha fatto per poltroneria.
Ninfa gentil, vi sarò grato anch’io.
Cibo troppo leggiero è la speranza.
E senz’altro pensier vi sposerò.
Senz’altri testimoni? A testa a testa?
Se voi volete me, s’io voglio voi,
se concluso fra noi fia il matrimonio,
ritrovaremo un qualche testimonio.
Basta che mi piacete e siete bella.
La natura ci ha fatti tutti eguali,
ciascuno abbiamo i nostri capitali.
Dunque finiamola una volta.
Le parole lasciam; veniamo ai fatti.
Prima vuo’ che facciamo alcuni patti.
Or siam tutti contenti. Altro non resta
che mandi intorno a ricercar la sposa.
anche qui fra di noi la troverà.
degna di tanto onor spera esser ella.
Non si conviene ad una pastorella.
Calimone anche voi con vero affetto.
Ricordatevi il patto e non si può. (A Celidoro)
che tutti siamo fatti d’una pasta.
Cetronella mi piace e tanto basta.
con titolo cambiar più confidente,
ora della mia man ti fo un presente.
Oh via l’accetterò per farti grazia.
che mi par ragionevole ed umana.
Lisaura sarà serva ed io sovrana.
Eccomi. Che si vuol? Che veda io stesso
Movetevi a pietà de’ nostri affanni.
Sì, mi movo a pietà; liberi siete.
che bagna il mar verso il Levante; io voglio
spingendomi a ciò far sol la natura.
Oh affetto di natura portentoso.