Metrica: interrogazione
440 endecasillabi (recitativo) in Le donne vendicate Venezia, Fenzo, 1751 
spiritose, brillanti e modestine!
stando voi qualche volta in compagnia.
                                       Giuro a Bacco,
ch’oggi mi batterei con tutto il mondo.
beviamo un’altra volta e poscia andate.
Un piacere più bel non ebbi mai.
anche dal petto il cor mi leverei.
son furioso, terribile e feroce,
quando sono vicino a una bellezza,
tutta cangio in amor la mia fierezza.
che d’amor mi prometta onesto frutto,
spendo, servo, sospiro e faccio tutto.
Per le donne cavarsi il cor dal petto? (A Flaminio)
Per le femine far trista figura? (A Casimiro)
Imparate da me. Faccio all’amore
e non piango e non getto i soldi miei.
Una certa canzone a tal proposito
da Menichin che non avea denaro
ma però galantuom, mio amico caro.
e nulla spende e le deride in faccia.
Io non so cosa dir. Buon pro vi faccia.
per aver da una donna una finezza
e mi fuge ciascuna e mi disprezza.
Vorei sprezzarle anch’io... Ma, poverine,
Sono troppo impegnato per quel sesso
e sempre le amerò quanto me stesso.
                                     Con chi l’avete?
e con quanti malnati e malcreati
dicon mal delle donne. Io sono stato
E a chi ne dice mal, corpo di Bacco,
vuo’ le braccia fiaccar, tagliar le rene.
Eh amico, io delle donne dico bene.
Se ritrovo Volpin, se lo ritrovo,
e ch’io son delle donne il difensore.
una donna che m’ami e sia costante?
Dunque la cercherò. Sentito ho a dire
quante sono le donne in questo mondo
e che ognuno la sua pretender possa.
Anch’io la troverò... Ma se la mia
fosse nata in Turchia? Non so che dire;
un turco prenda pur quella di là,
ch’io ne prenderò a sorte una di qua.
Io che cerco occasion d’immortalarmi,
delle donne i nemici, o a dieci o a cento,
io le donne difendo e non pavento.
non far come facesti... Eh c’intendiamo.
non mi cader di mano in sul più bello.
con coraggio, con forza e con bravura.
Vada via la viltà, via la paura.
                                  Sì, me l’han detto
le figliuole dell’oste qui vicino.
canta contro di noi le canzonette;
D’avervela insegnata il merto è mio.
                                       Vuo’ che si penta
                                 Confesso il vero
                                       Anch’io l’amai;
voi mi badate come fossi un cavolo?
Ma che cosa ho fatt’io che mi scacciate?
perder di queste belle le finezze;
aggiustarla vedrò con due carezze).
(Ah! Se n’è avuto a mal della canzone.
Eleonora gentil, pietà vi chiedo.
han publicata questa mia canzone;
e le donne l’han meco con ragione).
                                   Son a pregarvi...
Basta, basta così; non vuo’ ascoltarvi.
Io vi risponderò coll’irvi e l’arvi.
Queste parole voi le avete dette;
noi non siam galeotte o maledette.
Questa mi vuol più ben; si placherà).
                                                  E ben, che dite?
                                     Niente, niente,
vi pettino ben bene la parrucca.
So pur che a me diceste tante volte:
                                                 Ah disgraziato,
io dunque quella son che tu burlasti,
Tu galeotto sei tu, tu maledetto.
Troppo contro di te arrabiata sono.
Vien qui, cane, vien qui; non ti ramenti
per aver un tantin della mia grazia?
                                 Ma io di voi
e in quelle tutte son compresa anch’io,
onde teco vuo’ far nel tempo stesso
le mie vendette e quelle del mio sesso.
non v’è caso di renderle placate.
Ma che cosa ho da far? Da disperarmi?
m’han già privato delle grazie sue,
vi posso rimediar con altre due.
                                    Amico, intesi
che due belle con voi siano sdegnate,
perché avete le donne maltrattate.
Io che farci non so. Mi prendo gusto
sento ridere gli altri e rido anch’io.
Eh che di donne non v’è carestia.
par che stiano le donne ad aspettarli
e che vadan talvolta a ricercarli.
che ciò vero non è. So che per farsi
una sposa, un’amante ed un’amica
ci vuole, padron mio, tempo e fatica.
Voi volete alle donne entrar in grazia
                                     E voi volete
                                     Caro amico,
quando ne dico male applaudon tutti,
quando ne dico ben stan tutti mutti.
di cui so che voi stesso amante siete.
Non dite mal, se bene gli volete.
Ho pigliato quest’uso ed è difficile
ch’io me n’astenga più. Ma se ho perduto
e con queste supplire a me conviene.
ch’io provo nell’aver più innamorate.
da tutta la città le ingiurie e l’onte
fa ch’io ritrovi un uomo di valore,
voglio far a Volpin cavar il cuore.
Son offesa, son punta e son sdegnata.
porterò da per tutto e stragi e morte.
                                       Oh cospettone!
Sol ch’io metta la mano a questa spada,
faccio che l’inimico a terra cada.
dimmi; tu mi conosci, non è vero?
in cui a più di sei tagliai la faccia?
Ed a trenta o quaranta e gambe e braccia?
che la vendetta sospirata avrò.
Tutti quei che volete ammazzerò.
                                            Eh con colui
io lo faccio morir sol da paura.
Domandate a Tiburzio il valor mio.
credo che siano tutte baggianate).
delle povere donne ha detto male.
di difender le donne il vanto è mio.
                                            Sì mio tesoro,
ma qual mercede poi voi mi darete?
ch’hanno i fedeli ed onorati amanti,
che accusano le donne d’incostanza,
la loro infedeltà la nostra avanza.
vivere a modo loro e voglion poi
che siam costanti noi; e, se la donna
dell’esempio dell’uomo si prevale,
a tutto lor poter ne dicon male.
delle donne l’onor vendicherò.
strapazzate le donne abbi in tal guisa?
colle quali sinora ho ragionato,
e fra tant’altre cose che m’han dette
                                Certi bei spirti
quando san delle donne parlar male.
                                      Se noi sapessimo
scriver e questionar, com’essi fanno,
bene ci pagherian l’ingiuria e il danno.
Cugina, amai Volpino, io non lo nego,
                                       Vostra rivale
ma son nemica di Volpino adesso.
che a voi s’inchini un vostro servitore?
è già dal mio servizio licenziato.
non è degno di star vicino a noi.
                                  Siete un malandrino.
                                 Siete un animale.
con cui ci avete detto maledette.
Ma non ho detto a voi; non ho parlato
ho detto le persiane e le chinesi.
sentirci strappazzar dai detti vostri.
Or dovrete soffrire i sdegni nostri.
Questa cosa va mal; va male assai,
rispettar il bel sesso e dirne bene.
la signora Eleonora ho accompagnato.
sapete pure che l’impegno è mio.
Eh questa volta l’ho servita io.
mi chiamò, m’accostai; le diedi il braccio;
l’ho condotta sin qui! Di voi, amico,
Eleonora senz’altro sarà mia.
                                     Eh giuro a Bacco,
                                  Rocca o torrione,
Ma, caro amico, voi vi riscaldate.
                                      Oh questa è bella;
                                        Voi l’amor suo?
noi vogliamo così, così sarà.
Ma, caro amico, voi vi riscaldate.
ha trovato il servente e fa vendetta).
che venuta voi siate a ritrovarmi.
Eh, signor Roccaforte, favorisca;
                                     Molt’obligata.
al festino condurmi questa sera.
                                        (Ei si dispera).
                                           Avete inteso; (A Roccaforte)
ed essere dovete il mio servente.
                                          (Freme di sdegno).
                                          (Ingrato!)
                                                               (Indegno!)
la nostra casa gentilmente onora.
Frenarmi non potei. So che si tratta
e so che tutte abbiam lo stesso impegno
di vendicarci di Volpino indegno.
Parli ognuna di noi; proponga ognuna
qual castigo sarebbe più addatato.
discacciarlo da noi sarà un tormento,
un castigo sarà che val per cento.
Se lo scacciamo noi, si troverà
chi per qualche ragion l’accetterà.
farlo morir di rabbia disperato.
invece di penar, com’è il dovere,
vero o falso che sia, gode un piacere.
punir con gelosia. Sugli occhi suoi
per farlo disperar dargli martello.
In quella canzonetta ch’ei cantava,
cantava or da soprano, or da tenore.
che obligato venisse quel villano
a dovere cantar sempre il soprano.
                                    Si è veduta
io mi son per prudenza ritirato.
                                          Ecco una sfida
al nemico Volpino. In due maniere
la virtù delle donne e il merto loro,
poi difender con l’armi il lor decoro.
Il dritto a noi di favelar conviene,
poiché tutte di lingua stiamo bene.
Vedrete far del traditor macello
coll’auspicio gentil del vostro bello.
se dirà, se farà quanto promette,
l’accetterem per nostro difensore;
ma, se saran fallaci i detti suoi,
la vendetta alla fin farem da noi. (Parte)
                             Cosa farete?
S’uomini mi verranno per i piedi,
l’onta che fece a noi Volpino ingrato.
Voglio con tutti quanti esser severa.
Pur che il reo non si salvi, il giusto pera.
ma non odio però gl’uomini tutti.
Vendicarmi vorrei solo di quello
e per me ritrovarne uno più bello.
che di lontano a circondar mi viene
e so che delle donne dice bene).
che rendermi potria lieto e felice).
                                          Gentil donzella,
                                   Con voi ragiono.
Io né saggia, signor, né bella sono.
quanto meno ostentate la bellezza.
E se tale foss’io, qual per bontade
a trattare le donne coi disprezzi.
                                    E che sperate,
                                      Ah Doralice,
se voi lo concedete, io parlerò.
Che più dirmi potea, se apertamente
detto avesse d’amarmi? Oh me beato!
Senz’aver favellato io sono inteso;
voglio accender un core e il trovo acceso.
E non voglion sentir le mie ragioni?
sono tutte così. Quando in la testa
le cose a modo lor si son cacciate,
ragione o non ragion, sono ostinate.
più mal di quel ch’ho detto pel passato.
Non ne vuo’ più saper, son arrabbiato. (Vien un servo e gli dà un viglietto, poi parte)
Schiavo suo. Viene a me? La riverisco,
e mi manda senz’altro un qualche invito.
«Una disfida Roccaforte invia».
«Prima colle ragioni e poi coll’armi
sosterrà delle femine l’onore
delle femine tutte il difensore».
sostener quel ch’ho detto mi preparo.
Contro tutte le donne or mi dichiaro. (Va per partire)
                                           Sì signora.
E contro lei, se fa bisogno, ancora.
Ma che cosa ho da far? Tutte arrabbiate
Io, che più non mi vedo accarezzato,
parlo contro di voi da disperato.
Caro, venite qui, vi voglio bene;
Andatevi ben ben a far squartare.
                                 Così le donne
                                         Eh siete avvezze,
per ingannar, a finger le carezze.
Ma giacch’è rotta, rotta sia per sempre.
tutto il male dirò che dir poss’io;
di dir mal delle donne? Oggi doveasi
ma s’aspetta, s’aspetta e mai non viene;
e si dice finor più mal che bene.
                                      Dove alla pugna
prima colle parole e poi coll’armi,
e vicini già sono alla tenzone.
                                       Signora mia,
delle donne son io buon servitore;
ma per battermi poi non ho gran core.
e terrà d’Eleonora la ragione.
che combatta per me? Dovrò valermi
d’un difensor che non ho eletto io?
Questo non sarà mai. Vada chi vuole,
io non ci voglio andar; pria che si dica
in grazia d’altra donna procurata,
mi contento di stare invendicata.
Venga meco al cimento. Io mi protesto
                                        Eccomi lesto.
Rendi ragion, perché col labro audace
                                        Oh se volessi
render ragion del mal ch’ho detto, avrei
da parlar quattro mesi e forse sei.
                                       Perché sanno
sotto specie del ben venderci il danno.
colpa è del comprator, non di chi vende.
Conoscon l’uomo, quando è innamorato;
e fanno del meschin strage e strappazzo.
deve alle sue passion ponere il freno.
Impari l’uomo a innamorarsi meno.
Gl’uomini nel mentir sono più audaci.
amanti di discordie e di vendette;
con cui si oltraggia il feminile onore.
Presto meco a pugnar vieni, se hai core. (Impugna la spada)
                                         A poco a poco.
                                                   Eccomi qui.
dal vostro labro la parola è uscita
ed io, Volpin, vi donerò la vita.
Ehi mettiamoci in guardia, padron mio.
(Il bravo difensor muor da paura).
Io difendo le donne, eccomi a te. (Eleonora colla spada, che trova, di Roccaforte, sfida Volpino)
                            Io con l’armi. E cosa credi
A combatter con me vieni, se hai core.
Animo, combattete, evviva il sesso.
Ah, sì signora, vinto mi confesso. (Minacciato da Eleonora)
                                          Evviva il sesso.
sprezzato, disarmato, svergognato.
Non so più cosa far, son disperato.
                                 Voglio appiccarmi.
                                      Non ho coraggio
                                    (Se io credessi
Che diranno di me gli amici miei?
(Per la paura dir così conviene).
                                    Come?
                                                    Davvero,
                                  Dunque...
                                                       Ma temo
Giuro sull’onor mio che dico il vero.
trattarvi come prima e amarvi in pace,
dire tutto quel ben che voi sapete.
ma non so se a dir bene io riuscirò.
col nemico commune? Olà scacciate
                                             Egli è pentito
l’ho preso sotto la mia protezione.
un che vinto già fu dalla mia mano.
chi più ardisca parlar male di voi.
Volpino è già pentito e mi ha promesso,
pentirsi d’aver detto maledette.
far ch’egli con ragion possa dir bene.
saranno in sala aperta, e non già chiusa,
godo le glorie anch’io; ma più mi cale,
il possesso goder del vostro affetto.
                                  Io ve lo giuro.
se mi siete fedel, più non m’importa
se gl’uomini vuon dir male di noi.
è una colpa crudel contro natura.
Sempre ben ne dirò, come or ne dico,
perché son delle donne buon amico.
non prendete a sprezzar gl’uomini tutti,
perché si vederan dei casi brutti.
non fidare cotanto io vi consiglio.
che gl’uomini vi lascino da un canto.
                                              Che cosa importa?
studio di parer belle? Ed a qual fine
coltivate la guancia, il labro, il crine?
Queste son l’armi vostre; e, se vinceste
s’abbi a temer in voi grazia e bellezza.
voglion essere fatti e non parole.
che so esser brillante e valorosa,
che son buona per l’una e l’altra cosa.
farò cose stupende e cose strane.
Andate, andate ad infilzar le rane.
fu caso e non viltà. Quello son io
Non chiamate Tiburzio in testimonio;
che si pela e si mangia in carnevale.
sì, delle donne il difensor son io.
Quello ch’io far destino si vedrà.
aggiustarla con lei. Voglio provarmi
per vincer d’una femina il rigore).
                                        Signora mia...
                                        Andate via.
                                         Va’ via di qua.
e in segno del mio amor, del mio rispetto,
regalarvi vorrei quest’anelletto.
                                    Sì.
                                            (State salda). (Ad Eleonora)
                                          Sì, è bellino.
de più grandi e più bei da me ne avrete.
(Voi me ne donerete de più belli). (A Roccaforte)
questa gioia da collo... Ma... pazienza.
                                    (Ehi state forte). (Ad Eleonora)
                                       (Non la prendete.
grande sei sette volte più di quella).
                                                     E assai più bella.
                    Non la voglio.
                                               Non la vuole.
questo poco denar che m’è avanzato.
(Via, per farlo arrabbiare ed acciò veda
che bisogno non ho de’ suoi quattrini,
prestatemi una borsa di zecchini).
(Sì, signora, e vi è dentro anco l’anello).
                                               Deh aggradite
(Forte, non l’accettate; son qua io).
                                 Mia cara Emilia,
ho parlato mai sempre con rispetto.
Vi ho donato in mercé tutto il mio affetto.
                                         Se il poverino
si disdice, si pente e scusa chiede,
ch’è pentito si vede; e non è poco
e chieda scusa a tante donne in faccia.
Venga, chieda perdono e lo rimetto.
Eh di farlo venir l’impegno è mio. (Parte)
                                         Bravo, bravo.
                                              Evviva, evviva.
Presto, l’atto si scriva in protocollo.
«Volpin lo disse colla corda al collo».
Scrivasi: «Di condurlo ebbe l’onore
Roccaforte, del sesso il difensore».
                                        Vi perdoniamo.
di dir bene di voi, se mai potrò.

Notice: Undefined index: metrica in /home/apostolo/domains/carlogoldoni.it/public_html/library/opera/controllers/Metrica/queryAction.php on line 8

Notice: Trying to access array offset on value of type null in /home/apostolo/domains/carlogoldoni.it/public_html/library/opera/controllers/Metrica/queryAction.php on line 8