Care spiaggie adorate a voi ritorno
l’allegrezza comun ombra funesta
nuovi stimoli reco al dolce riso.
Agl’atti, ai detti, a queste vesti, a questo
può comprender ciascun il nome mio;
dà lode alla virtù, biasmo agl’errori,
le donne, i cavalier, l’armi e gl’amori.
di sé mirando il vergognoso esempio,
detesta il vizio e divien giusto un empio.
Ma chi è colei che in maestosa gonna
scender vegg’io dal cielo? È diva o donna?
la Musica è costei, quella che tanto
a me sopra le scene usurpa il vanto.
onde libera andar per queste arene?
Tu qua, dove le cure alte d’impero
empion dei cittadin tutto il pensiero.
A que’ gravi pensier per cui sovente
più bisogno la mente ha di riposo
lieto ameno intervallo a recar vegno.
io sol posso tener gl’animi intenti
al dolce suon de’ miei canori accenti.
di me si preggi e quanto in questi lidi.
Tempo già fu che vaneggiava il mondo,
ora per la virtù rissorto è il zelo
ed io sono virtù che vien dal cielo.
Che parli di virtù? Misero nome
che non so dir se gracchi o pur se canti
potrà dirsi virtù? Miseri vanti.
né l’invidioso tuo vile costume
per cui tanto splendore hanno le scene.
fusti dal popol misto, allora quando
comparir su le scene io mi degnai.
se vendetta non fo d’un tal oltraggio.
Pensa chi sei, chi sono e allora poi
minacciosa così parla, se puoi.
Qual inganno vi spinge a garra ostile!
vivere in buona union, se pur può darsi
che concordia si trovi e regni pace.
Oggi l’una di voi non è bastante
senza l’altra piacer su queste scene.
spera invan riportar applauso e vanto;
se non ha ne’ suoi drammi oltre raggione
se conserva il rigor della tragedia,
anzi che dar piacer, suo canto attedia.
così il Genio dell’Adria oggi decide.
sovra di queste scene il primo loco?
Forsennata pazzia che sempre mai
tien entrambe sommerse in mar di guai.
quella l’avrà che cogl’uffizi sui
darà più gioco e più diletto altrui.
questo il campo sarà della battaglia;
provisi in questo dì. Pria la Commedia
al cui piacer tutto s’accorda il mondo,
sarò giudice giusto infra di voi.
Cossa serve, fradei, l’arzento e l’oro,
le ricche veste e le preziose tole
se el tesoro mazor no se possiede?
Digo la libertae dada dal cielo,
conservada da nu con tanto zelo.
che de ganzo vestie, carghe de zoggie
nega la volontà per complimento.
per forza e contragenio maridae
co se sol dir, le pillole indorae.
Caro sier Besso, ho sentio a dir da tanti
nu semo poveretti e me rincresce
che me tocca a magnar sempre del pesce.
Cossa vustu de meggio? Un bon bruetto
de bisatti marini o femenali,
un pospasto de cappe o masanette
xe meggio de pastizzi e de polpette.
che te fazzo magnar tante mattine?
pensemo a far le nozze; avanti sera,
farò quel che volé ma fin adesso
no ho fatto altro mistier che de pescar
né so cossa che sia sto maridar.
vame a cata dei vermi int’el paluo,
pesta dei granzi e fa’ della pastella;
de far una bellissima pescada.
I bottoli da bon o pur le cappe,
Tutto riceverò dalle to man.
ti ha da esser stasera mio mario
e gnanca ti me vardi? In sta maniera
ti tratti chi per ti sbasisce e muor?
Ma no sastu che mi no me ne intendo?
Via te l’insegnerò; fa’ quel che digo.
Voltete in qua; vardeme fissa in viso;
Pulito; su via fame d’occhietto.
Giusto cusì caro visetto.
El resto po te insegnerò stasera.
deventar matto con sto novo imbroggio.
Cossa ghe pensio mi de far l’amor?
Vardar, schizzar l’occhietto e suspirar
le xe cosse da matti da ligar.
el gusto del pescar za l’ho provà
né me voggio intrigar in novità.
ove alberga la pace ed il riposo;
diva e donna del mar ch’Adria s’appella,
lungi dallo furor dell’empio Marte
vivrem sicuri, in solitaria parte.
Oh come spira più soave e pura
l’aria in sì bel contorno! Oh come lieta,
come umile del mar la placid’onda
e parte e torna a ribacciar la sponda!
amar senza temer; diletto Oronte,
non penetra l’invidia, ira non giunge,
goder sicuri i fortunati amori.
sembra un di questi abitator felici.
gnanca la nostra povertà infelice
dall’ingordisia vostra? In ste lagune
cossa spereu trovar? Qua no ghe nasce,
oltre i frutti del mar, che poche erbette,
cibo anca scarso a zente poverette.
Quietatevi buon vecchio; io ve lo giuro,
cupidiggia crudel noi qui non tragge,
la nostra libertà nu no vendemo;
Come franco raggiona in sua favella!
Oh cara libertà tu sei pur bella.
che la vostra innocenza ama e difende
a vostro pro quivi ne scorta, avrete
in noi fidi compagni e non nemici.
Liberi voi, liberi noi, godremo
che invidia non ammette o garra o fasto,
di diffenderla il peso e il frutto vostro.
Quando la xe cusì, sbasso la testa
al decreto del ciel ma perché mai
aveu lassà le vostr’alte fortune
per abitar in povere lagune?
Fortuna è sol dove la pace alberga;
esser degno d’invidia e non è vero.
Fortuna è solo dov’è il cor contento;
esser felicitade ed è tormento.
d’empio foco crudel che l’ira accese,
delle barbare schiere, onde scuotendo
quivi siam scorti a stabilir la sede
sovra i cardini suoi, giustizia e fede.
Ma chi è colei che in rozzi panni avvolta
tanta ostenta beltade e leggiadria?
Quella che a noi sen vien...
ebbe il natal fra le sals’onde anch’ella.
xe per tutto el paese. I pescaori
colle fossine armai, parte coi remi,
vol deffender la nostra libertae.
chi tien el pare e chi trattien el fio,
chi seguita el fradello e chi el mario.
non temete di noi, qui non vedete
che veri amici e se mi lice il dirlo
in me vedete un cavaliero amante.
troppo saria precipitoso el salto.
Corrispondono al volto i spirti suoi.
Anco la povertade ha degli eroi.
son Besso e tanto basta, onde credeme.
Questi che qua vedé no xe nemici;
Delle ricchezze soe, dei so tesori
e in tanta povertà no viveremo.
saran vostra diffesa, ora potrete
scorrer dall’uno all’altro lido il mare,
de’ barbari corsari. In certo segno
alzeremo il leone e perché siano
facili i suoi progressi ad ogni lato
sarà il nostro leon leone allato.
quel che farà sier Besso sia ben fatto.
della nostra amistà fissar il nodo,
con vincolo di sangue egli si formi.
io m’eleggo in isposa, un certo foco...
Adasio caro sior, adasio un poco.
se gh’avesse de donne una dozena
tutte ghe le daria per una cena.
Te despiase a lassarme? E mi te zuro
che se i fasse de ti tanta triacca
Infame, desgrazià, cusì ti parli
a chi sprezza per ti... Ma sì, son matta
se la dixe dasseno, ecco la man.
Cara, la stringo al seno e vi prometto
fede costante ed un eterno affetto.
Da pare che te son te benedigo.
Son fora, grazie al ciel, d’un gran intrigo.
a formar la più vaga e più pomposa
di noderose travi e sovra queste
piazze, palaggi e l’alta reggia e il tempio.