Metrica: interrogazione
188 endecasillabi (recitativo) in La fondazion di Venezia Venezia, Valvasense, 1736 
Agl’atti, ai detti, a queste vesti, a questo
dà lode alla virtù, biasmo agl’errori,
le donne, i cavalier, l’armi e gl’amori.
detesta il vizio e divien giusto un empio.
scender vegg’io dal cielo? È diva o donna?
al dolce suon de’ miei canori accenti.
di me si preggi e quanto in questi lidi.
che non so dir se gracchi o pur se canti
se vendetta non fo d’un tal oltraggio.
se non ha ne’ suoi drammi oltre raggione
al cui piacer tutto s’accorda il mondo,
Cossa serve, fradei, l’arzento e l’oro,
che de ganzo vestie, carghe de zoggie
Caro sier Besso, ho sentio a dir da tanti
che me tocca a magnar sempre del pesce.
Cossa vustu de meggio? Un bon bruetto
                                      Caro sior pare
                                     Missier Besso,
no ho fatto altro mistier che de pescar
                                 Mo via, Dorilla,
vame a cata dei vermi int’el paluo,
pesta dei granzi e fa’ della pastella;
                                         Ti è parona
ti tratti chi per ti sbasisce e muor?
                                           Farme l’amor.
Via te l’insegnerò; fa’ quel che digo.
Voltete in qua; vardeme fissa in viso;
           Pulito; su via fame d’occhietto.
             Giusto cusì caro visetto.
deventar matto con sto novo imbroggio.
Vardar, schizzar l’occhietto e suspirar
diva e donna del mar ch’Adria s’appella,
l’aria in sì bel contorno! Oh come lieta,
e parte e torna a ribacciar la sponda!
non penetra l’invidia, ira non giunge,
dall’ingordisia vostra? In ste lagune
cossa spereu trovar? Qua no ghe nasce,
oltre i frutti del mar, che poche erbette,
Quietatevi buon vecchio; io ve lo giuro,
cupidiggia crudel noi qui non tragge,
                                         A prezzo d’oro
che la vostra innocenza ama e difende
che invidia non ammette o garra o fasto,
di diffenderla il peso e il frutto vostro.
esser degno d’invidia e non è vero.
Fortuna è solo dov’è il cor contento;
d’empio foco crudel che l’ira accese,
delle barbare schiere, onde scuotendo
sovra i cardini suoi, giustizia e fede.
Ma chi è colei che in rozzi panni avvolta
                                                  Quella è mia fia.
ebbe il natal fra le sals’onde anch’ella.
chi tien el pare e chi trattien el fio,
chi seguita el fradello e chi el mario.
                                            Vaga donzella,
Corrispondono al volto i spirti suoi.
son Besso e tanto basta, onde credeme.
scorrer dall’uno all’altro lido il mare,
de’ barbari corsari. In certo segno
quel che farà sier Besso sia ben fatto.
io m’eleggo in isposa, un certo foco...
                                            E chi è lo sposo?
a chi sprezza per ti... Ma sì, son matta
Cara, la stringo al seno e vi prometto
                                           Son contento.
Son fora, grazie al ciel, d’un gran intrigo.
piazze, palaggi e l’alta reggia e il tempio.

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