e partite fra voi le cure e i pesi.
altri all’ago, altri all’orto o alla cucina,
dove il nostro comando or vi destina.
Obbedite, servite e poi sperate,
Se goder non si può, si spera almeno.
per sua felicità muore cantando.
abbiam noi sottomesso il fier orgoglio,
tener l’abbiamo incatenato al soglio.
mie fedeli compagne e consigliere,
gli uomini per tenere a noi soggetti?
di natura superbo e orgoglioso,
scuote e lacera il fren, quand’è pietoso.
tener gli uomini avvinti e incatenati.
tutto soglion soffrire; e quanto sono
più sprezzanti le donne e più crudeli,
essi son più pazienti e più fedeli.
È ver, ma crudeltà consuma amore.
accenderli ben bene a poco a poco
e poi del loro amor prendersi gioco.
Né troppo crude né pietose troppo
essere ci convien, poiché il disprezzo
eccita la pietà soverchio usata.
La fierezza è temuta e non amata.
ed il sesso virile a noi si prostri.
Ognun pensi a suo senno; io vuo’ costoro
aspramente trattar; voglio vederli
un leggiero piacer mi paghin caro. (Parte)
che per troppo voler s’avesse a perdere
l’acquistato finor dominio nostro.
che nei vezzi, nei sguardi e in le parole.
Spade e lancie trattar, loriche e scudi
non è cosa da noi. Se l’uom si scuote,
val più un braccio di lui che dieci destre
di femine vezzose e tenerelle
ch’hanno il loro potere in esser belle.
saggiamente parlate e a voi la sorte
ma il senno ed il saper più che virile,
del vostro corpo graziosetto e bello
ha supplito con darvi assai cervello,
vi diè il nome di Tulia con ragione,
poiché sembrate un Tulio Cicerone.
siano leggi migliori, onde si renda
impossibile a l’uom scuotere il giogo.
Che se l’uomo ritorna ad esser fiero
farà strage crudel del nostro impero.
puol recar alla donna il fier rigore!
soffrir li fa la servitude in pace
e la femina gode e si compiace.
Io fra quanti son presi ai lacci nostri
amoroso, fedele e semplicino,
e lo tratto, perché mi adori e apprezzi,
con soavi parole e dolci vezzi.
Graziosino, lo schiavo a me soggetto. (Parte il servo)
merita ch’io gli faccia buona ciera,
se mi serve e mi fa da cameriera.
Eccolo ch’egli viene. Ehi Graziosino.
e in tre mesi ho fatt’io mezza calzetta.
Lasciate il lavorar. Venite qui.
Obbedirete sempre i cenni miei?
Io faccio quello che comanda lei.
E vederete del mio amore il frutto.
Queste parole mi consolan tutto.
Oh benedette sian le mie bellezze!
a servirmi qualora vi comando.
mi recarete il cioccolato al letto;
mi dovrete allestir la tavoletta;
starete in anticamera aspettando
e se verranno visite a trovarmi
e come fanno i buoni servitori
voi dovrete aspettar e star di fuori.
Se farete così vi vorrò bene.
farò tutte le cose più triviali;
laverò le scudele e gli orinali.
impiegarvi non vuo’. Voi siete alfine
il mio fedele amato Graziosino,
tanto caro al mio cor, tanto bellino.
Oh che gusto, oh che gusto! Ah che mi sento
andar per il contento il cor in brodo.
Graziosin fortunato! Oh quanto io godo!
d’un corrisposto amore. Aman le belve,
amano i sordi pesci, aman gli augelli,
e quei che amar non san son tutti matti.
questo capel, che colla polve è intriso,
fa risaltar mirabilmente il viso.
spargo fiamme e faville; e questa bocca,
che sembra agli occhi miei graziosa e bella,
fa tutte innamorar quando favella.
invaghite di me; schiavo son io
ma sovra il loro cor tutt’ho l’impero.
Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,
il nastro, la paruca, i guanti, tutto,
tutto assetar conviene e gli occhi e il labro,
colle dolci parole e i dolci sguardi,
si prepari a vibrar saette e dardi.
Mia sovrana, mio nume, a voi m’inchino.
vengo, mia bella, a incenerir le piume.
vi potreste chiamare un farfallone.
non pronuncia che grazie e bizzarie.
La vostra non sa dir che scioccherie.
quelle belle incensar guancie adorate.
Andate via di qua; non mi seccate.
i fumi del mio cor, porterò altrove
il mio affetto sincero e la mia fede.
Voi stacarvi da me! Voi d’altra donna
Voi dovete sofrir le mie catene.
spezzate voi questa catena ingrata.
umilmente m’inchino e vado via.
di servirmi fedel con tutto il core
ed ora mi lasciate? Ah traditore!
come s’io fossi un uom zottico e vile,
e studio invan di comparir gentile.
abbastanza gentil, grazioso e bello.
quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
per render grazie al vostro dolce amore.
io vi possa baciar la bella mano.
Oh signor no; voi lo sperate invano.
Ah quel dolce rigor più m’incatena!
morirò, schiatterò, se lo bramate.
Basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
con questo sospirar, con questo piangere.
le donne insuperbite più diventano
e gli amanti per gioco allor tormentano.
al povero Giacinto? Egli sospira.
l’impero di quel cor voi perderete.
lo perderei colla pietade e i vezzi.
a saziarsi di tutto e cambiar spesso.
sono di cor più tenero di lei,
quanto basta severa e orgogliosa;
ma son, quando fia d’uopo, anco pietosa.
freno di lor l’affetto e la baldanza,
fra il timore li tengo e la speranza.
de’ vostri servi il più fedel son io.
che sol quando per voi, bella, m’adopro,
felicità nel mio destino io scopro.
siete pentito ancor d’avervi reso
suddito e servo mio? Vi pesa e incresce
della smarrita libertà primiera?
Sembravi la catena aspra e severa?
sospirati, voluti e cari sempre
al mio tenero cor! Sudino pure
sotto l’elmo i guerrieri; Astrea tormenti
i seguaci del foro; e di Galeno
studi e s’affanni il fisico impostore.
di chi mena sua vita in duri stenti,
godo, vostra mercé, pace e contenti.
i vassalli ed i servi e non crudeli
siamo coll’uom, qual colla donna è l’uomo.
prive d’autorità, come se nate
non compagne dell’uom ma serve e schiave,
condannate dal vostro ingrato sesso,
far per noi si dovria con voi lo stesso.
Ma nostra autorità, nostro rigore
ed il vostro servir, che non fia grave,
sarà grato per noi, per voi soave.
d’amor la prigionia? Finché un amante
fra il dovere e l’amor, fra il dolce e il giusto,
pace intera non ha ma poiché tutto
s’abbandona al piacer gode e non sente
i rimorsi del cor... Ma oh dio! Purtroppo
li risento al mio sen, malgrado al cieco
abbandono di me fatto al diletto,
e mi sgrida l’onore, a mio dispetto.
se possibile sia, scacciar dal cuore
il residuo fatal del mio rossore.
poiché son vostro amante e vostro servo,
ma ohimè, che Ateone è diventato un cervo!
Io crudele non son qual fu la dea.
Arder tutto mi sento ai vostri rai.
miratemi nel volto, a poco a poco
come per vostro amor son tutto foco.
Acqua, acqua, padrone, acqua vi vuole
ho le parole tue tutte ascoltate.
Bastonate a un par mio? Deh Aurora, a voi
Siete schiavo di Cintia, io non comando.
vi dilettate di rapire altrui
Faccio quello ancor io che fanno tante.
voi dovrete tremar dell’arte mia.
vada tutto sossopra il nostro impero.
La dolce libertà che noi godiamo
conservare si dee ma per serbarla
da tre cose guardar noi si dobbiamo.
dalla incostanza e dalla gelosia.
Il tirannico impero poco dura.
e sdegno fa di gelosia il furore.
la cara libertà che noi godiamo,
fide, caute, pietose esser dobbiamo.
se acquistar più vassalli io cerco e bramo.
Nostro poter, nostra beltà risplende
ci recano in tributo i loro cuori.
libere amar potiam chi noi vogliamo.
i dritti altrui. Ma colle smorfie e i vezzi
gl’uomini non si fanno cascar morti,
per far alle compagne insulti e torti.
ognuna si conduca come vuole
finché la libertà goder si puole.
Il diverso parer, che nelle varie
pensar mi fa che utile più saria
introdurre fra noi la monarchia.
far si potrebbe eterno e in questa guisa,
se una femina sola impera e regge,
tutti avranno a osservar la stessa legge.
Non mi spiace il pensier ma chi di noi
a sostener la nuova monarchia?
il rigor porre in uso e la clemenza.
con dolci di pietà soavi frutti
in catene tener gl’uomini tutti.
degli uomini frenar sapia l’orgoglio.
si proponga di noi; ciascuna ai voti
il proprio nome esponga e il trono eccelso
che dai voti maggiori eletta sia.
l’urna e i lupini; ed io, poiché la prima
fui a proporre il nobile progetto,
prima m’esponga e i vostri voti aspetto.
Ora il pensier comun vi sarà noto.
Voi non avete avuto neanche un voto.
e la vana ambizion vostro costume.
in virtù della dolce cortesia.
voi non avete neanche un voto solo.
per cui fatta mi vien questa ingiustizia.
(Questa volta senz’altro il regno è mio).
il bossolo del sì per voi è vuoto.
è un torto manifesto che mi fate.
Per quello che si vede e che si sente,
a ognuna piace il comandar sovrano
e soggiogarle si procura invano.
giungerò forse ad occupar il soglio).
vada ciascuna a essercitar l’impero
e libero il regnar resta fra noi.
che possiamo regnar noi donne unite,
se la pace voltar ci suole il tergo
quando siamo due donne in un albergo?
questo debba durar dominio nostro.
assoluta regnar. Ah questa sete
di comandar è naturale in noi
e ogni donna ha nel capo i grilli suoi.
Osservate, compagni, ecco un naviglio
Mirate sulla prora i naviganti
volontari venir schiavi ed amanti.
è circondato dalla calamita
che l’uomo di lontan tira ed invita.
ma ogni donna ne tien la sua porzione.
a questi del piacer lidi felici,
dite, venite amici ovver nemici?
a servire e goder de’ vostri amori.
e senza discrizione imprigionateli. (Sbarcano Ferramonte e tutti gli naviganti; e frattanto si suona alternativamente nella barca e nella orchestra)
più in me cresce il desio di regnar sola).
Se sola regnerò starò più bene.
quindi mi son, per non andar con loro,
mentre la libertade è un gran tesoro.
Questo tesor l’abbiam sagrificato
alla legge fatal del dio bendato.
che il cuor sagrificate ai visi belli!
Misera gioventù, misera gente,
nata per divertirsi e non far niente!
nell’amar, nel servir le nostre belle.
bell’impiego davver, degno di voi!
E non vi vergognate? E non sapete
e che l’uomo tener vinto ed oppresso
è il trionfo maggior del loro sesso?
che si liscia, s’imbianca e si colora.
e le femine poi di ciò si vantano.
cento soglion tradir un doppo l’altro.
dalla catena vi discioglierete.
Ah purtroppo egli è ver! Parole e sguardi,
schiavi della beltà, son tutt’incanti.
La libertà mi sembrerebbe or pena.
sì facile non è mirarla spenta,
liberarsene affatto invan si tenta.
La vogliamo vedere. O regnar voglio
o di tutte le donne è fritto il soglio.
Non mi posso veder compagni intorno
vogliano comandar come fo io.
o sarà il primo a sostener mio sdegno.
Vi domando perdono e a voi mi prostro.
ch’ho lavata la colpa in mar di pianto.
Ogni errore passato io vi perdono.
Balzar il cor per il piacer mi sento.
di donarmi un bel volto ed un gran core.
(S’è bravo com’è bel, sarà un poltrone).
armato a’ vostri cenni il braccio mio
svenerà, se fia d’uopo, il cieco dio.
mi passerò, se lo bramate, il petto.
Or di sangue virile io non ho sete.
cento donne e non più, per parte vostra.
e meco regnerete; e quando mai
ricusaste obbedir il mio precetto,
vi passerò con questa spada il petto.
per dirla, non vorrei morire ancora.
risolver tosto. O delle donne il sangue
o rimaner per le mie mani esangue.
tutte le donne ammazzerò del mondo.
Sulla mia beltà lo giuro.
credete a me, non ve ne pentirete.
per piacer al mio ben? Sì sì, si faccia,
se uccidessero poi le donne me?
Penserò, studierò, risolverò.
ah! che se la rimiro io vengo meno).
l’ucciderò senza mirarla in viso).
Son un novello immitator d’Orlando.
Perché... Nol posso dir... perché giurai.
Forse di Cintia per gradir l’affetto
mi volete cacciar la spada in petto.
trafigetemi pure; eccovi il seno.
Ahi che non posso più; già vengo meno. (Gli cade la spada di mano)
Caro il mio Giacintino, io vi perdono.
chi vi diè questa spada ed a qual fine.
e un leggiero favor voi mi negate?
Tutto, tutto dirò; Cintia volea...
Cintia sola sarà, voi tutto amore
siete bello di volto e bel di core.
della vostra bontà sì belli effetti.
Sono... Non so che dir. Son incantato.
per desio di regnar volea bel bello
delle misere donne far macello?
L’invidia, l’ambizione e l’avarizia
faran precipitare il nostro regno;
e abbiam per sostenerlo poco ingegno.
questa spada mirar nel seno mio,
voglio provar anch’io di far lo stesso.
La vendetta è commune al nostro sesso.
sarà l’essecutor del mio pensiero.
ma io non posso più; se spesso spesso
credetemi, davvero io crepperò.
Eh Graziosino mio, siamo traditi.
Sì, la vedo. (Con timore)
Questa spada dovea passarmi il petto
serbato ha il viver mio da tal disgrazia.
Signora mia, con vostra buona grazia. (In atto di partire)
Allorch’io sento favellar di morte,
il cuor mi batte in seno forte forte.
Amo un ingrato che per me non sente
né timor né pietà. Cintia ha trovato
chi volea secondar il suo dissegno;
accesa vanamente e invendicata
rimanere dovrò? Son disperata.
per un uomo, ammazzar femina imbelle.
Queste, lo dico anch’io, son bagatelle.
Perché, a dirla, ho un pochino di paura.
e so cos’è la femina arrabiata.
pazienza vi vorrà. Cercar dovrò
uno che non mi sapia dir di no.
Tutto farò quel che volete voi.
Cacciargliela nel seno...
non so cosa mi far. Se vil mi rendo,
la mia poltroneria scopro a drittura.
Graziosin, ora è tempo, animo e core.
morirò, se la morte mia bramate.
Ma a me la crudeltà non comandate.
Perché mi fan le donne compassione.
Al lume di ragion conosco e vedo
delle donne gl’inganni e l’error mio.
di farmi vergognar de’ tristi affetti.
uomo qual fui nelle primiere spoglie,
pien d’eroici pensieri e caute voglie.
tanto tempo servito a queste maghe?
Le femine, sian brutte o siano vaghe,
e servito che ci han si lascian poi.
troppo han di forza sovra il nostro cuore.
Questo ceto di donne traditore
Per invidia fra lor si son sdegnate
e si son da sé stesse rovinate.
per il desio d’occupar sole il regno,
ardono fra di lor d’ira e di sdegno.
(Un’altra volta vi vorrà ingannare).
Che far degg’io? (A Ferramonte)
Idolo mio, venite; a questa legge
Amor e fedeltà io vi prometto.
a veder queste femine umiliate
venir con un pochino di vergogna
come le cagnoline da Bologna.
senza far onta al mio viril decoro,
acquistato il mio core avrà un tesoro.
non vi faccia la donna un brutto gioco.
cauto mi ha reso e colla donna accorta
cieco più non sarò. Tulia peraltro
questa spada serbata io non avrei,
per troncare con questa i lacci miei.
Onde amarla poss’io senza timore
che ingannare mi voglia il di lei cuore.
Siete femine tutte indiavolate.
Causa la vostra troppa vanità.
al furore degli uomini in balia?
Io sono schiavo di vusignoria.
Se volete ch’io mora, morirò.
Ah! Se voi morirete, io crepperò.
m’ha consigliato ad essere crudele;
ma, se una donna poi gli andasse appresso,
come un poltron cascherebbe anch’esso.
gattipardi, pantere, orsi e mastini
mi sento a divorar negl’intestini.
Io vi voglio salir. Ma Giove irato
e la terra mi affoga e il mar mi accoppa,
ahimè, mi danno un maglio sulla coppa.
Andate col malan che il ciel vi dia.
entran di dominar le frenesie,
si vedono da lor mille pazzie.
La femina tradir non può l’usanza
e anche pazza mantiene la incostanza.
mi conosci, briccon, sai tu chi sono?
giurami fedeltà con obbedienza;
abbassa il capo e fammi riverenza.
Eh via che siete pazza...
Giurami fedeltade a tuo dispetto
o ch’io ti caccio questo stile in petto.
Piano, piano, son qui, tutto farò.
della donna tener gl’uomini sotto.
e gl’uomini vuon star a noi di sopra.
finalmente ha da star soggetta a noi.
a voi, signora, non sta bene in bocca,
perché alle donne comandar non tocca.
Ma voi siete mio schiavo.
ma veggo alfin che la bellezza nostra
è assai migliore e val più della vostra.
abbassate l’orgoglio e inginocchiatevi.
amor da me né ch’altri amar vi voglia,
se negate di usar questa obbedienza.
Farlo mi converrà, per non star senza.
pietà nel nostro cor ritroverete.
e la pietà dal vostro core attendo.
Vi terrò, v’amerò, vi sposerò.
Quel che di voi farò lo sentirete.
Lode al ciel, finalmente s’è veduto
le donne superbette che comandano.