Metrica: interrogazione
585 endecasillabi (recitativo) in Il mondo della luna Venezia, Fenzo, 1750 
alla triforme dea le voci giunsero;
esauditi sarete in breve termine.
perpendicolarmente inver l’ecclitica.
id est quando la luna al sol congiungesi,
che dal mondo volgare ecclissi appellasi.
pria che Cintia ritorni al suo decubito.
a quei che poco sanno per natura!
Oh che gran bel mestier ch’è l’impostura!
Chi finge di saper accrescer l’oro,
chi finge nome, titolo e figura,
oh che gran bel mestier è l’impostura!
ingannando egualmente i sciocchi e i dotti,
che un bravo cacciator trova i merlotti.
Eccone uno; ecco quel buon cervello
inventata dal mio sottile ingegno,
far un colpo galante ora m’impegno.
                              Sì, venga, mi fa grazia.
in che cosa si sta lei divertendo?
Nella speculazion di varie stelle
al capo di Medusa il Can celeste,
al cuore del Leon la Spiga d’oro
ed all’Orsa maggior l’occhio del Toro.
Anch’io d’astrologia son dilettante
è il non saper trovar dottrina alcuna,
chi mai sapia spiegar cos’è la luna.
che dai raggi del sol è illuminato;
ma in quel bel corpo luminoso e tondo
che credete vi sia? V’è un altro mondo.
che si vedon nel corpo della luna?
mi disse ch’ella avea gli occhi e la bocca.
Scioccherie, scioccherie. Le macchie oscure
son del mondo lunar colline e monti.
come da noi veggiam, ma son formati
indi s’alza bel bello e non si spacca,
onde l’uomo camina e non si stracca.
Oh che bel mondo! Ma ditemi, amico,
che arriva a penetrar cotanto in dentro
che veder fa la superficie e il centro.
ma le case, le piazze e le persone.
posso veder lassù per mio diletto
spogliar le donne quando vanno a letto.
col vostro canocchial veder anch’io?
solo inventor della mirabil arte,
voglio che ancora voi ne siate a parte.
cose rare, per cui voi stupirete.
se con quel canocchial sì lungo e tondo
alla luna poss’io veder il fondo.
che dove io deggio entrar vengono fuori?
fate ch’ella s’appressi al canocchiale,
creda mirar nel mondo della luna. (Partono i servi)
e non sanno scoprir le falsità.
e sé stessi conoscere non sanno. (Si vede accostarsi alla cima del canocchiale una machina illuminata, dentro la quale si muovono alcune figure)
e lunatiche sono ancor quaggiù. (Buonafede esce dalla specula ridendo)
                                          E cosa mai?
Se una ragazza fa carezze a un vecchio
non la sprona l’amor ma l’interesse.
ma che creppi il meschin non vede l’ora. (Buonafede esce dalla specula)
                                          E che, signore?
fosse nel nostro mondo praticato.
desser di bastonate un precipizio,
avrebbero le donne più giudizio. (Buonafede torna uscir dalla specula)
                                                 Che vuol dire?
di quello che fra noi si suol usare
da un uomo e da una donna praticare.
se gl’uomin non patisser la pazzia.
e per farvi veder che son contento
                                       Oh meraviglio!
Eh prendetela, via, che io così vuo’.
                                  Siete padrone.
Certo, quel canocchiale è assai ben fatto.
Tutto, tutto si vede. Ho un gusto matto.
Io la caccia non fo alle sue monete;
torla dalle sue mani e farla mia.
                                          Riverisco
il signor segretario della luna.
                                          Veduto uscire
il signor Buonafede. È vostro amico?
della mia strepitosa professione.
                                            Anzi n’ha due.
che colla cameriera n’abbia tre.
Per Lisetta ancor io spasimo e moro.
Spera di maritar le proprie figlie
                                          E così spera
a un conte maritar la cameriera.
Corrisponde Flaminia all’amor vostro?
                                            La mia Lisetta
per le bellezze mie par impazzita.
E Clarice è di me pur invaghita.
                                            Il ciel volesse!
Secondatemi dunque e non temete.
Un ottimo mezzan so che voi siete.
                                         Quando occorra,
Io sacrificherò tutto il salario.
che prodigi sa far. Con il mio ingegno
che il signor Buonafede, o sia baggiano,
le tre donne ci dia colla sua mano.
                     E come mai?
                                               Tutto saprete.
                                       E a che motivo?
egli non ha difficoltade alcuna.
Ed è questo un mestier che fa fortuna.
Tu dici male; Ecclitico è sagace
il fa perché Clarice ei spera e l’ama.
e vuol far il piacer pagar a noi.
Per cent’anni, padron, non parlo più.
denaro a proveder. Tu va’, m’attendi
d’Ecclitico all’albergo, ove domani,
spero che l’amor mio sarà contento.
Qualche volta il padron mi fa da ridere.
e il nome cambia ben e spesso agli uomini.
all’avaro si dice un bravo economo
e generoso vien chiamato il prodigo.
Così appella talun bella la femina,
perché sul volto suo la biacca semina.
a goder della notte il bel sereno.
al nostro genitor convien soffrire.
stanca di questa soggezion noiosa,
non veggo l’ora d’essere la sposa.
avrem di soggezion finiti i guai?
Anzi sarem soggete più che mai.
ed abbada ciascuno ai fatti suoi.
Felici noi, se ci toccasse in sorte
un marito alla moda. Ah sventurate,
                                       In pochi giorni
o che al mondo di là lo manderei.
                                                   Oibò.
dalle donne si fan morir rabbiosi.
spererei con Ernesto esser felice.
che a contemplar or l’una, or l’altra stella.
Finché ei pensa alla luna ovvero al sole,
la sua moglie farà quello che vuole.
                                          Evvi in tal caso
Maritarci da noi senza dir niente.
Ciò so che non conviene a onesta figlia
io temo che all’amor ceda ragione.
che non uscite dalla vostra stanza.
che non posso soffrir di star serrata.
                                    Sì, castigatemi;
cacciatemi di casa e maritatemi.
non castigarei te ma tuo marito.
Né castigo maggior dar gli potrei,
quanto una donna pazza qual tu sei.
mi lasciassi un po’ troppo intimorire
e avessi per rispetto a intisicchire.
nel mondo della luna, avrei speranza
castigata veder la sua baldanza.
                                           Addio, Lisetta.
                          È anco presto, aspetta un poco.
Ho posta già la panatella al foco.
Brava, brava. Lisetta, oh se sapessi
                                                   E cosa
di mirar dentro al tondo della luna.
                                       Senti, può darsi...
Sai che ti voglio ben. Può darsi ancora,
se tu mi sei fedel, se non ricusi
ch’io ti faccia veder quel che ho veduto.
vostra serva fedele e se mi lice
(invaghita però sol del contante).
della ventura mia ti voglio a parte.
le prodezze vedrai d’un canocchiale.
Vorrei che un canocchial si desse al mondo
del mio povero cor che sol per voi
(Egli è pazzo da ver, se me lo crede).
serve di canocchial il mio pensiero.
(Ma non vede che questa è una pazzia).
Doman ti vuo’ menar dal bravo astrologo,
vedrai quel che si pratica lassù
dalle donne da ben, come sei tu.
Non è di quelle serve impertinenti
che quando hanno la grazia del padrone
vogliono in casa far le braghessone.
                             Oh cappari, chi è qui?
in quest’ora importuna a disturbarvi.
Un segno d’amicizia io vengo a darvi.
Oh che buona ventura a me vi guida?
                                               No, siam soli.
                                            Voi siete
l’unico galantuom ch’io stimo ed amo.
Onde vi vengo a usar per puro affetto
un atto d’amicizia e di rispetto.
Obbligato vi son. Ma che intendete
                                   Vengo da voi
                                                 Oh dei! Per sempre?
Amico, addio. Non ci vedrem mai più.
Voi mi fate morir. Ma perché mai?
Tutto confido a voi. Sapiate, amico,
del bel mondo lunar con lui mi vuole.
trasportato lassù per mio destino
Come! È vero? Oh gran caso! Oh me infelice,
se resto senza voi! Ma in qual maniera
la voce di lassù poté arrivare?
che ha fatto un canocchial simile al mio.
Congiunti nella cima i canocchiali
e levato il cristallo, o sia la lente,
sento quel che si dice in l’altro mondo
e col metodo stesso anch’io rispondo.
Oh prodigio! Oh prodigio! Ed in che modo
Dalla terra alla luna vi è un gran salto.
mi ha fatto schizzettar certo licore
leggiermente alla luna io volerò.
                                    E come mai?
Schizzettatemi un po’ di quel licore
che v’ha mandato il vostro imperatore.
                                    E poi anch’io
                                     Ma non vorrei
che se n’avesse a mal sua maestà.
È un signor di buon cor, non parlerà.
vi voglio soddisfar. Quest’è il licore.
vuo’ che se lo beviam metà per uno.
sottilizzar le membra in forma tale
che andremo in su, come se avessim l’ale.
se pentito già siete, io solo bevo. (Finge di bevere)
                     Tenetemi, che ormai
mi sembra di volare. Oh me felice!
Or or sarò nel mondo della luna. (Straluna gli occhi)
                                       Ecco, tenete
il resto del licor dunque e bevete.
Ma le figliole mie? Ma la mia serva?
grazia per esse ancor s’impetrerà.
                        Son qui. Bevo, aspettate. (Beve)
Io bevuto non ho. Fra pochi instanti
dal sonnifero oppresso e addormentato,
crederà nella luna esser portato).
tutte le vostre membra e goderete.
                                              Ecco l’affetto
                                             Accomodatevi. (Lo fa sedere)
State pronto a salire e consolatevi.
                                      Lo credo anch’io.
ditemi dove sono. In terra o in aria.
Vi andate a poco a poco sollevando.
Ma come uscir potrem... da questa stanza?
                                         (Oh che babbione!)
nel mondo della luna. Egli ancor dorme
esser non crederà nel mio giardino
                                          Il tutto sanno
e a ogni nostro disegno aderiranno.
nel mondo della luna trasportata.
e acciocch’egli aderisca alle mie voglie
gli ho promesso che lei sarà sua moglie.
Oggi ciascun di noi sarà felice.
son pronti i giochi, i suoni, i balli e i canti,
cose che pareran prodigi o incanti.
vado tosto a cambiar spoglie e figura. (Parte)
sciogliendo i spirti che fissati ha l’oppio,
in sé ritornerà. (Gli pone un vasetto sotto le narici)
                               Flaminia...
                                                     Ei chiama
la figliola fra il sonno e la vigilia.
                                        Eh! Dove sono? (Si alza bel bello)
                                             Voi quello?
Dove la sorte tutti i beni aduna,
                               E non ve n’accorgete
dello splendor che fa più bello il giorno?
Dell’aria salutar che spira intorno?
nascer le rose e i gigli. (Si vedono a spuntar i fiori)
                                           Oh che bel mondo!
degli augelli canori. (S’odono a cantar i rusignoli)
                                       Oh che contento!
Son fuor di me, non so dove mi sia.
agitati dai dolci venticelli. (Odesi un concertino principiato dai violini ed oboè in orchestra, colle risposte de’ corni da caccia e fagotti dentro la scena)
suonan meglio dei nostri sonatori.
Or vedrete ballar ninfe e pastori. (Escono ballerini, quali intrecciano una bella danza)
Oh che ninfe gentili! Oh che fortuna!
Oh benedetto il mondo della luna!
                                       Non è permesso
con quell’abito andar innanzi a lui,
s’egli non ve ne manda uno de’ sui.
con i paggi e i staffieri. Il gran monarca
                                       Oh che bel mondo!
Quante gran riverenze avrò da fare?
non vuol adulatori. Egli è un signore
ch’è tagliato alla buona e di buon core.
Andiam. Non vedo l’ora di vederlo.
                                Qui in anticamera
sospirar non si sente o bestemmiare.
ognuno puol andar dal suo sovrano;
e può bacciargli il piè non che la mano.
che per farvi piacer qui venirà.
E la mia cameriera e le mie figlie
han ius particolare a questo impero,
perché va colla luna il lor pensiero.
Parmi che dica il vero; anzi Lisetta
ora è meco amorosa, or sdegnosetta.
forse si cangierà. Ben mi ricordo
                                Chi siete voi
del mondo sublunar dove son nato.
né di titoli mai v’è carestia.
                                             V’ingannate.
Io stella sono ed Espero m’appello;
esco primiera a vagheggiar la luna.
dalla costellazion della mia stella.
Io non so che mi dir; voi tutto Ernesto
che nella nostra corte abbiamo noi
un buffon che somiglia tutto a voi.
Grazie a vostra bontà del paragone
ma io per dirla a lei non son buffone.
chi sa far il buffon è fortunato.
                                                Or, che vi pare?
                                                In fede mia
a chi un mondo sì bel non piaceria?
una grazia, signor, ancor vi chiedo.
Chiedete pur, che tutto io vi concedo.
                                           Oh gente pazza
del mondo sublunar! Poiché le stelle
e voi stessi laggiù non conoscete.
Ha ragion, ha ragion; non so che dire.
che vuo’ senza recarvi pregiudizio
la vostra cameriera al mio servizio.
ma questa volta la vogliam per noi.
                                             Signorsì,
quel che si fa laggiù nel basso mondo.
che aver possan i nostri occhi lunari
è il mirar le pazzie dei vostri pari.
                                       Signorsì.
                                         Son ragazze.
perché non ho trovato un bon partito.
Avete fatto ben. Nel vostro mondo
soglion far qualche volta i matrimoni;
uno è il capriccio e l’altro è l’interesse.
Dal primo ne provien la sazietà,
come appunto parlar deve una stella.
non v’è alcun che sia fido ad una ingrata.
nella tasca portar ampolle o astucci
                                     Accostumiamo
le facciam rinvenir con battiture.
e credetelo a me che il so per prova.
Questo è un mondo assai bello, assai ben fatto.
oh che mondo felice! Oh che bel mondo!
Me lo voglio goder. Vuo’ andar girando
Non so s’abbia d’andar di là o di qua. (L’eco risponde da varie parti)
e mi sento a chiamar di qua e di là.
Vorrei venire e non vorrei venire;
Oh che spasso, oh che spasso! Oh che bel mondo!
siete sbirri, sicari o ladri siete?
a questo nostro mondo è già arrivata. (Gli levano la benda)
                                           E che volete,
caro signor Ecclitico, ch’io sappia?
d’esser passata al mondo della luna.
da credere a sì fatte scioccherie.
che pel vostro bel viso arde d’amore.
                                  Morto si finse
ma nel mondo lunare egli è passato
e anch’io doppo di lui son arrivato.
non mi fate adirar. Per qual cagione,
ditemi, uscir di casa mi faceste?
Orsù tali pazzie soffrir non voglio.
Vuo’ saper dove tende quest’imbroglio.
Io vado a ritrovar sua maestà. (Parte)
Oh che moda graziosa! Oh che figura!
Fortunata davver chiamar ti puoi.
                              Nel mondo della luna.
                                      No, te lo giuro.
Questo è il mondo lunar, te l’assicuro.
che una nuvola qui m’avrà portata.
sei venuta a goder sì grand’onore.
Quello che devi far t’insegnerò;
tu devi voler bene al tuo padrone.
Lo sapete, signor, non sono avvezza.
Qui ognuno si vuol ben con innocenza.
E sbandita è quassù la maldicenza.
Oh se fosse così, saria pur bello
                                        Credilo, è tale.
                                           Vien qua, Lisetta,
                                           Oh signor no.
se nel vostro operar vi sia tristizia.
Eh qui tutto si fa senza malizia.
                                             Oh cara mano. (La stringe)
Voi me l’avete stretta sì furioso
che mi parete alquanto malizioso.
credi, Lisetta mia, come un bambino.
Egli è tanto innocente quanto è bello).
                                                 Signorsì.
                                            Via, Lisettina,
                                           Oh questo no.
Senza malizia già v’abbraccierò.
                                      Così sarà.
                                           Io non lo so.
Dite che il loro imperator li aspetta. (Partono due servi)
Vuo’ procurar, fin che la sorte è amica,
il premio conseguir di mia fatica.
                                           Oh? Cosa vedo?
                                        Lisetta addio.
Bella, Cecco non son ma vostro sono,
vi voglio far lunatica regina. (Dalla parte lateral esce un trono per due persone)
(Io non vorrei che il nostro imperatore
                                      E ben, che dite?
Ecco il trono per voi, se l’aggradite.
che dubito di tutto e nulla credo.
Doppo s’aggiustaremo fra di noi.
È questa una ragion che non mi spiace.
giacch’egli mi vuol far sì bell’onore.
Non hai timore della sua tristizia?
                                     È innocentino,
il nostro imperator, come un bambino.
Lei è mio... Ma se poi... Ma s’io non sono...
                                              Al trono, al trono.
che in viaggio sono e che saran fra poco
ancor esse discese in questo loco.
Perché dite discese e non ascese?
Per venire dal nostro a questo mondo,
Or perché dite voi scendono in giù?
Voi poco ne sapete. Il nostro mondo
che l’uom verso la luna il camin prenda,
convien dir che discende e non ascenda.
Son ignorante, è ver, ma mi consolo,
che se tale son io non sarò solo.
che la coppia gentil scender si vede.
siate le benvenute. Ah, che ne dite?
ch’abbia fatto per voi quel ch’ho fatt’io!
splenderete quaggiù come due stelle.
Cedon gli uomini a voi famosi e chiari.
grazie rendete a lui di tanto onore.
Mentre quel della luna è un grande impero.
e alla vostra bontà mi raccomando.
e insegnatele voi le nostre usanze.
                                 Ehi, ehi, fermate.
con gli uomini non van da solo a sola.
                                       Contenta io vado,
giacché il mio genitor non se ne lagna,
con Espero gentil che m’accompagna.
La mia stella ancor io non troverò?
con Clarice gentil fate il bracciere.
                                              Eh no, non voglio
che mia figlia da un uom sia accompagnata.
ma si serve da noi sol per rispetto
e non lo fanno qui con altr’oggetto.
                                          Vado contenta
e nello stesso tempo anco sposare.
(E pur sento un tantin di gelosia).
per la pompa real l’alto apparato. (La orchestra suona il ritornelo del quartetto e intanto Cecco fa la incoronazione di Lisetta, poi scendono dal trono)
Vogl’esser obbedita e rispettata
E null’a lui mai riportar di me,
mentre ognuno di noi pensa per sé.
vuo’ che l’astrologia tutti studiate,
senza che a commandarvi apra la bocca.
per le bellezze mie, ditelo in modo
di non farmi arrossir. Se la fortuna
aiutar vi vorrà con delle mancie,
Ma che vedo? Son qui le mie padrone?
mi metterò in contegno e gravità.
(Divertiamoci un poco). (A Clarice)
                                               (È tanto sciocca
che il sognato piacer si gode in pace).
(Facilmente si crede a quel che piace).
                                      Vi ringrazio.
                                      Ragazze, addio.
                                              State zitta.
Del nostro primo mondo mi scordai,
non si ricorda più del primo stato.
Come vi piace il mondo della luna?
                                       Sediamo un poco.
Sì sì, vi voglio far questo favore.
                                     (Io me la godo).
è proveduta ancor de’ cicisbei?
                                          In questo mondo,
e saria il non averlo una increanza.
fra i lunatici umori il più corrente,
tacerà, soffrirà, non dirà niente.
verrà a bever da voi la ciocolata.
andrà a beverla anch’egli in altro loco.
                                  Fate così.
trova egli stesso il cavalier servente.
che ti lasci acciecar dall’ambizione?
E non vedi che questa è una illusione?
a causa della tua sciocca credenza.
Lo so che per invidia voi parlate.
Io sono imperatrice e voi creppate.
                                      No, non è vero.
Io sono imperatrice e voi crepate.
Con me, che son regina e monarchessa,
Ma purtroppo è così. Quando si dona
convien sempre temer qualche insolenza.
è il vizio che a costoro il cor martella.
si mormora da loro a più non posso
e si taglian agli altri i panni adosso.
si maritano tosto e non si aspetta,
come talor nel vostro mondo usate,
che le femine sian quasi invecchiate.
                                           E pur si dice
nascon laggiù colla malizia in corpo.
cosa vuol dir sta cosa e poi quest’altra;
e con il praticar diventa scaltra.
sanno dove che il diavolo ha la coda.
Ma Flaminia non sa, non sa Clarice
Ecco viene Flaminia, ecco Clarice,
corteggiando la nostra imperatrice.
Brave, brave, ragazze, mi piacete.
vuo’ che siam promotori e testimoni
di due altri felici matrimoni. (Va in trono con Lisetta)
                                     Sì, mio signore,
lieto la sposerò con tutto il core.
                                        Contentissima.
Oh felice momento! Oh lieta sorte!
nel vederti gioir giubilo anch’io.
con i vostri sponsali anco Clarice.
e della destra sua sospiro il dono.
                                           E perché no?
Anzi con tutto il cor lo prenderò.
                           E con la mano il core.
Oh felice fortuna! Oh lieto amore!
                                         Anzi ho piacere
che sian le mie figliole maritate.
                                           Signorsì...
acciò non si rendesse un giorno vano,
questa funzione al genitor conviene.
e bisogno non v’è più d’altra luna.
or ch’è ognuno di noi lieto e giocondo,
tornar tutti potiam al nostro mondo.
Meglio dunque con voi mi spiegherò.

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