alla triforme dea le voci giunsero;
esauditi sarete in breve termine.
perpendicolarmente inver l’ecclitica.
id est quando la luna al sol congiungesi,
che dal mondo volgare ecclissi appellasi.
pria che Cintia ritorni al suo decubito.
a quei che poco sanno per natura!
Oh che gran bel mestier ch’è l’impostura!
Chi finge di saper accrescer l’oro,
chi finge nome, titolo e figura,
oh che gran bel mestier è l’impostura!
ingannando egualmente i sciocchi e i dotti,
che un bravo cacciator trova i merlotti.
Eccone uno; ecco quel buon cervello
inventata dal mio sottile ingegno,
far un colpo galante ora m’impegno.
in che cosa si sta lei divertendo?
Nella speculazion di varie stelle
al capo di Medusa il Can celeste,
al cuore del Leon la Spiga d’oro
ed all’Orsa maggior l’occhio del Toro.
Anch’io d’astrologia son dilettante
è il non saper trovar dottrina alcuna,
chi mai sapia spiegar cos’è la luna.
che dai raggi del sol è illuminato;
ma in quel bel corpo luminoso e tondo
che credete vi sia? V’è un altro mondo.
che si vedon nel corpo della luna?
mi disse ch’ella avea gli occhi e la bocca.
Scioccherie, scioccherie. Le macchie oscure
son del mondo lunar colline e monti.
come da noi veggiam, ma son formati
indi s’alza bel bello e non si spacca,
onde l’uomo camina e non si stracca.
Oh che bel mondo! Ma ditemi, amico,
che arriva a penetrar cotanto in dentro
che veder fa la superficie e il centro.
ma le case, le piazze e le persone.
posso veder lassù per mio diletto
spogliar le donne quando vanno a letto.
col vostro canocchial veder anch’io?
solo inventor della mirabil arte,
voglio che ancora voi ne siate a parte.
Obbligato vi sono e vi sarò.
Vederete per voi cosa farò.
cose rare, per cui voi stupirete.
se con quel canocchial sì lungo e tondo
alla luna poss’io veder il fondo.
che dove io deggio entrar vengono fuori?
amanti della luna come lei.
fate ch’ella s’appressi al canocchiale,
movere le figure ad una ad una
creda mirar nel mondo della luna. (Partono i servi)
credono di veder la verità
e non sanno scoprir le falsità.
e sé stessi conoscere non sanno. (Si vede accostarsi alla cima del canocchiale una machina illuminata, dentro la quale si muovono alcune figure)
le lunatiche donne sol lassù
e lunatiche sono ancor quaggiù. (Buonafede esce dalla specula ridendo)
Ho veduto una cosa bella assai.
Se una ragazza fa carezze a un vecchio
non la sprona l’amor ma l’interesse.
ma che creppi il meschin non vede l’ora. (Buonafede esce dalla specula)
Una cosa per cui rido di cuore.
fosse nel nostro mondo praticato.
desser di bastonate un precipizio,
avrebbero le donne più giudizio. (Buonafede torna uscir dalla specula)
Oh questa assai mi piace!
di quello che fra noi si suol usare
da un uomo e da una donna praticare.
se gl’uomin non patisser la pazzia.
e per farvi veder che son contento
Eh prendetela, via, che io così vuo’.
Se volete così, la prenderò.
Certo, quel canocchiale è assai ben fatto.
Tutto, tutto si vede. Ho un gusto matto.
Io la caccia non fo alle sue monete;
custodita con tanta gelosia,
torla dalle sue mani e farla mia.
il signor segretario della luna.
il signor Buonafede. È vostro amico?
della mia strepitosa professione.
Egli ha una bella figlia.
che colla cameriera n’abbia tre.
Per Lisetta ancor io spasimo e moro.
Spera di maritar le proprie figlie
a un conte maritar la cameriera.
Corrisponde Flaminia all’amor vostro?
per le bellezze mie par impazzita.
E Clarice è di me pur invaghita.
Secondatemi dunque e non temete.
Un ottimo mezzan so che voi siete.
Io sacrificherò tutto il salario.
che prodigi sa far. Con il mio ingegno
che il signor Buonafede, o sia baggiano,
le tre donne ci dia colla sua mano.
preparate di far quel che dirò
e la parola mia vi manterrò.
egli non ha difficoltade alcuna.
Ed è questo un mestier che fa fortuna.
Tu dici male; Ecclitico è sagace
il fa perché Clarice ei spera e l’ama.
render contenti i desideri suoi
e vuol far il piacer pagar a noi.
Per cent’anni, padron, non parlo più.
denaro a proveder. Tu va’, m’attendi
d’Ecclitico all’albergo, ove domani,
spero che l’amor mio sarà contento.
Qualche volta il padron mi fa da ridere.
e il nome cambia ben e spesso agli uomini.
all’avaro si dice un bravo economo
e generoso vien chiamato il prodigo.
Così appella talun bella la femina,
perché sul volto suo la biacca semina.
a goder della notte il bel sereno.
ci ritrova colà, misere noi.
come fossimo noi tele di ragno?
al nostro genitor convien soffrire.
stanca di questa soggezion noiosa,
non veggo l’ora d’essere la sposa.
avrem di soggezion finiti i guai?
Anzi sarem soggete più che mai.
Aman la libertade al par di noi
ed abbada ciascuno ai fatti suoi.
Felici noi, se ci toccasse in sorte
un marito alla moda. Ah sventurate,
o che al mondo di là lo manderei.
Vorreste forse avvelenarlo?
dalle donne si fan morir rabbiosi.
spererei con Ernesto esser felice.
che a contemplar or l’una, or l’altra stella.
Finché ei pensa alla luna ovvero al sole,
la sua moglie farà quello che vuole.
Maritarci da noi senza dir niente.
Ciò so che non conviene a onesta figlia
io temo che all’amor ceda ragione.
che non uscite dalla vostra stanza.
che non posso soffrir di star serrata.
cacciatemi di casa e maritatemi.
non castigarei te ma tuo marito.
Né castigo maggior dar gli potrei,
quanto una donna pazza qual tu sei.
mi lasciassi un po’ troppo intimorire
e avessi per rispetto a intisicchire.
nel mondo della luna, avrei speranza
castigata veder la sua baldanza.
È anco presto, aspetta un poco.
Ho posta già la panatella al foco.
Brava, brava. Lisetta, oh se sapessi
le belle cose che ho vedute!
di mirar dentro al tondo della luna.
Sai che ti voglio ben. Può darsi ancora,
se tu mi sei fedel, se non ricusi
ch’io ti faccia veder quel che ho veduto.
vostra serva fedele e se mi lice
(invaghita però sol del contante).
della ventura mia ti voglio a parte.
le prodezze vedrai d’un canocchiale.
Vorrei che un canocchial si desse al mondo
del mio povero cor che sol per voi
(Egli è pazzo da ver, se me lo crede).
serve di canocchial il mio pensiero.
(Ma non vede che questa è una pazzia).
Doman ti vuo’ menar dal bravo astrologo,
vedrai quel che si pratica lassù
dalle donne da ben, come sei tu.
Non è di quelle serve impertinenti
che quando hanno la grazia del padrone
vogliono in casa far le braghessone.
Qualche cosa di grande vi sarà.
in quest’ora importuna a disturbarvi.
Un segno d’amicizia io vengo a darvi.
Oh che buona ventura a me vi guida?
V’è nissun che ci ascolti?
l’unico galantuom ch’io stimo ed amo.
Onde vi vengo a usar per puro affetto
un atto d’amicizia e di rispetto.
Obbligato vi son. Ma che intendete
per sempre a licenziarmi.
Amico, addio. Non ci vedrem mai più.
Voi mi fate morir. Ma perché mai?
Tutto confido a voi. Sapiate, amico,
del bel mondo lunar con lui mi vuole.
trasportato lassù per mio destino
e sarò della luna cittadino.
Come! È vero? Oh gran caso! Oh me infelice,
se resto senza voi! Ma in qual maniera
la voce di lassù poté arrivare?
un astrologo v’è come son io
che ha fatto un canocchial simile al mio.
Congiunti nella cima i canocchiali
e levato il cristallo, o sia la lente,
sento quel che si dice in l’altro mondo
e col metodo stesso anch’io rispondo.
Oh prodigio! Oh prodigio! Ed in che modo
Dalla terra alla luna vi è un gran salto.
mi ha fatto schizzettar certo licore
leggiermente alla luna io volerò.
Schizzettatemi un po’ di quel licore
che v’ha mandato il vostro imperatore.
che se n’avesse a mal sua maestà.
È un signor di buon cor, non parlerà.
vi voglio soddisfar. Quest’è il licore.
vuo’ che se lo beviam metà per uno.
sottilizzar le membra in forma tale
che andremo in su, come se avessim l’ale.
se pentito già siete, io solo bevo. (Finge di bevere)
mi sembra di volare. Oh me felice!
Or or sarò nel mondo della luna. (Straluna gli occhi)
il resto del licor dunque e bevete.
Ma le figliole mie? Ma la mia serva?
grazia per esse ancor s’impetrerà.
Son qui. Bevo, aspettate. (Beve)
Io bevuto non ho. Fra pochi instanti
dal sonnifero oppresso e addormentato,
crederà nella luna esser portato).
Uomo sopralunar fatto già sono.
tutte le vostre membra e goderete.
Accomodatevi. (Lo fa sedere)
State pronto a salire e consolatevi.
ditemi dove sono. In terra o in aria.
Vi andate a poco a poco sollevando.
Ma come uscir potrem... da questa stanza?
nel mondo della luna. Egli ancor dorme
esser non crederà nel mio giardino
fra le delizie peregrine e rare.
e a ogni nostro disegno aderiranno.
Lisetta nulla sa ma non importa,
nel mondo della luna trasportata.
e acciocch’egli aderisca alle mie voglie
gli ho promesso che lei sarà sua moglie.
Oggi ciascun di noi sarà felice.
son pronti i giochi, i suoni, i balli e i canti,
cose che pareran prodigi o incanti.
a sostener la mia caricatura,
vado tosto a cambiar spoglie e figura. (Parte)
sciogliendo i spirti che fissati ha l’oppio,
in sé ritornerà. (Gli pone un vasetto sotto le narici)
la figliola fra il sonno e la vigilia.
Eh! Dove sono? (Si alza bel bello)
Dove la sorte tutti i beni aduna,
nel bellissimo mondo della luna.
dello splendor che fa più bello il giorno?
Dell’aria salutar che spira intorno?
Oh che aria dolcissima e soave!
nascer le rose e i gigli. (Si vedono a spuntar i fiori)
degli augelli canori. (S’odono a cantar i rusignoli)
Son fuor di me, non so dove mi sia.
agitati dai dolci venticelli. (Odesi un concertino principiato dai violini ed oboè in orchestra, colle risposte de’ corni da caccia e fagotti dentro la scena)
suonan meglio dei nostri sonatori.
Or vedrete ballar ninfe e pastori. (Escono ballerini, quali intrecciano una bella danza)
Oh che ninfe gentili! Oh che fortuna!
Oh benedetto il mondo della luna!
con quell’abito andar innanzi a lui,
s’egli non ve ne manda uno de’ sui.
con i paggi e i staffieri. Il gran monarca
Quante gran riverenze avrò da fare?
non vuol adulatori. Egli è un signore
ch’è tagliato alla buona e di buon core.
Andiam. Non vedo l’ora di vederlo.
sospirar non si sente o bestemmiare.
ognuno puol andar dal suo sovrano;
e può bacciargli il piè non che la mano.
che per farvi piacer qui venirà.
E la mia cameriera e le mie figlie
han ius particolare a questo impero,
perché va colla luna il lor pensiero.
Parmi che dica il vero; anzi Lisetta
ora è meco amorosa, or sdegnosetta.
forse si cangierà. Ben mi ricordo
della donna menata per il naso.
alla maestà nostra e non a noi?
del mondo sublunar dove son nato.
né di titoli mai v’è carestia.
Io stella sono ed Espero m’appello;
esco primiera a vagheggiar la luna.
dalla costellazion della mia stella.
Io non so che mi dir; voi tutto Ernesto
che nella nostra corte abbiamo noi
un buffon che somiglia tutto a voi.
Grazie a vostra bontà del paragone
ma io per dirla a lei non son buffone.
chi sa far il buffon è fortunato.
Cappari! Egl’è informato.
Vi piace il nostro mondo?
a chi un mondo sì bel non piaceria?
una grazia, signor, ancor vi chiedo.
Chiedete pur, che tutto io vi concedo.
una stella cometa ad invitarle.
del mondo sublunar! Poiché le stelle
e voi stessi laggiù non conoscete.
Ha ragion, ha ragion; non so che dire.
che vuo’ senza recarvi pregiudizio
la vostra cameriera al mio servizio.
ma questa volta la vogliam per noi.
quel che si fa laggiù nel basso mondo.
che aver possan i nostri occhi lunari
è il mirar le pazzie dei vostri pari.
E non ho ancora lor dato marito,
perché non ho trovato un bon partito.
Avete fatto ben. Nel vostro mondo
soglion far qualche volta i matrimoni;
uno è il capriccio e l’altro è l’interesse.
Dal primo ne provien la sazietà,
dal secondo la nera infedeltà.
come appunto parlar deve una stella.
non v’è alcun che sia fido ad una ingrata.
nella tasca portar ampolle o astucci
utili delle donne ai svenimenti.
una corda portare e quando fanno
le facciam rinvenir con battiture.
e credetelo a me che il so per prova.
Questo è un mondo assai bello, assai ben fatto.
oh che mondo felice! Oh che bel mondo!
Me lo voglio goder. Vuo’ andar girando
Non so s’abbia d’andar di là o di qua. (L’eco risponde da varie parti)
e mi sento a chiamar di qua e di là.
Vorrei venire e non vorrei venire;
Oh che spasso, oh che spasso! Oh che bel mondo!
siete sbirri, sicari o ladri siete?
a questo nostro mondo è già arrivata. (Gli levano la benda)
caro signor Ecclitico, ch’io sappia?
e adesso non so dir dove mi sia.
Lisetta, avete avuta la fortuna
d’esser passata al mondo della luna.
da credere a sì fatte scioccherie.
che pel vostro bel viso arde d’amore.
ma nel mondo lunare egli è passato
e anch’io doppo di lui son arrivato.
non mi fate adirar. Per qual cagione,
ditemi, uscir di casa mi faceste?
foste qui da una nuvola portata.
Orsù tali pazzie soffrir non voglio.
Vuo’ saper dove tende quest’imbroglio.
domandatelo a lui che lo saprà.
Io vado a ritrovar sua maestà. (Parte)
Non capisco la sua caricatura.
Oh che moda graziosa! Oh che figura!
Fortunata davver chiamar ti puoi.
Questo è il mondo lunar, te l’assicuro.
che una nuvola qui m’avrà portata.
sei venuta a goder sì grand’onore.
Quello che devi far t’insegnerò;
tu devi voler bene al tuo padrone.
Lo sapete, signor, non sono avvezza.
colla malizia che si fan da noi?
Qui ognuno si vuol ben con innocenza.
E sbandita è quassù la maldicenza.
Oh se fosse così, saria pur bello
se nel vostro operar vi sia tristizia.
Eh qui tutto si fa senza malizia.
Oh cara mano. (La stringe)
Voi me l’avete stretta sì furioso
che mi parete alquanto malizioso.
credi, Lisetta mia, come un bambino.
Egli è tanto innocente quanto è bello).
Che dite? Ch’io son bello?
Quando lo dite voi, sarà così.
Senza malizia già v’abbraccierò.
Dite che il loro imperator li aspetta. (Partono due servi)
Vuo’ procurar, fin che la sorte è amica,
il premio conseguir di mia fatica.
Ti saluto; buondì, Cecchino mio.
Si conoschiamo bene fra di noi.
Bella, Cecco non son ma vostro sono,
Lisetta, vezzosetta e graziosina,
vi voglio far lunatica regina. (Dalla parte lateral esce un trono per due persone)
(Io non vorrei che il nostro imperatore
Ecco il trono per voi, se l’aggradite.
Cotante cose stravaganti io vedo
che dubito di tutto e nulla credo.
Doppo s’aggiustaremo fra di noi.
È questa una ragion che non mi spiace.
giacch’egli mi vuol far sì bell’onore.
Non hai timore della sua tristizia?
Eh qui tutto si fa senza malizia.
il nostro imperator, come un bambino.
Lei è mio... Ma se poi... Ma s’io non sono...
Eccelso imperator, la fortunata
ancor non hanno avuta la fortuna
di venire nel mondo della luna.
Un araldo lunare ha già recato
che in viaggio sono e che saran fra poco
ancor esse discese in questo loco.
Perché dite discese e non ascese?
Per venire dal nostro a questo mondo,
Or perché dite voi scendono in giù?
Voi poco ne sapete. Il nostro mondo
che l’uom verso la luna il camin prenda,
convien dir che discende e non ascenda.
Son ignorante, è ver, ma mi consolo,
che se tale son io non sarò solo.
che la coppia gentil scender si vede.
siate le benvenute. Ah, che ne dite?
Bella fortuna aver un genitore
ch’abbia fatto per voi quel ch’ho fatt’io!
splenderete quaggiù come due stelle.
di politica assai voi ne sapete.
Siete un uom virtuoso senza pari.
Cedon gli uomini a voi famosi e chiari.
grazie rendete a lui di tanto onore.
del mondo della luna imperatrice.
Mentre quel della luna è un grande impero.
vi siete ricordata alfin di noi.
e alla vostra bontà mi raccomando.
Conducetela tosto alle sue stanze
e insegnatele voi le nostre usanze.
con gli uomini non van da solo a sola.
le femmine ci van pubblicamente
e non lo fanno mai secretamente.
giacché il mio genitor non se ne lagna,
con Espero gentil che m’accompagna.
La mia stella ancor io non troverò?
del mio trono lunar cerimoniere,
con Clarice gentil fate il bracciere.
che mia figlia da un uom sia accompagnata.
ma si serve da noi sol per rispetto
e non lo fanno qui con altr’oggetto.
col lunatico mio cerimoniere.
come una imperatrice di cartone.
e nello stesso tempo anco sposare.
Ringrazierò la vostra cortesia.
(E pur sento un tantin di gelosia).
e si facciano i gran cerimoniali.
per la pompa real l’alto apparato. (La orchestra suona il ritornelo del quartetto e intanto Cecco fa la incoronazione di Lisetta, poi scendono dal trono)
datemi da sedere. Arricordatevi
Vogl’esser obbedita e rispettata
e se farete ben, vi sarò grata.
E null’a lui mai riportar di me,
mentre ognuno di noi pensa per sé.
vuo’ che l’astrologia tutti studiate,
senza che a commandarvi apra la bocca.
per le bellezze mie, ditelo in modo
di non farmi arrossir. Se la fortuna
aiutar vi vorrà con delle mancie,
né la vostra fortuna impedirò.
Ma che vedo? Son qui le mie padrone?
Che padrone? Son io la maestà;
mi metterò in contegno e gravità.
(Divertiamoci un poco). (A Clarice)
che il sognato piacer si gode in pace).
(Facilmente si crede a quel che piace).
All’uso feminil mormoreranno).
Del nostro primo mondo mi scordai,
come se non ci fossi stata mai.
non si ricorda più del primo stato.
Come vi piace il mondo della luna?
Sì sì, vi voglio far questo favore.
è proveduta ancor de’ cicisbei?
insegna della luna il galateo
essere posto in uso il cicisbeo.
e saria il non averlo una increanza.
fra i lunatici umori il più corrente,
tacerà, soffrirà, non dirà niente.
verrà a bever da voi la ciocolata.
andrà a beverla anch’egli in altro loco.
trova egli stesso il cavalier servente.
che ti lasci acciecar dall’ambizione?
E non vedi che questa è una illusione?
a causa della tua sciocca credenza.
Lo so che per invidia voi parlate.
Io sono imperatrice e voi creppate.
Io sono imperatrice e voi crepate.
Oh guardate, garbata signorina!
Con me, che son regina e monarchessa,
voler venir a far la dottoressa?
Ma purtroppo è così. Quando si dona
convien sempre temer qualche insolenza.
è il vizio che a costoro il cor martella.
si mormora da loro a più non posso
e si taglian agli altri i panni adosso.
le figlie, quando sono da marito,
si maritano tosto e non si aspetta,
come talor nel vostro mondo usate,
che le femine sian quasi invecchiate.
nascon laggiù colla malizia in corpo.
appena una ragazza sa parlare
cosa vuol dir sta cosa e poi quest’altra;
e con il praticar diventa scaltra.
sanno dove che il diavolo ha la coda.
Ma Flaminia non sa, non sa Clarice
distinguer dalla rapa la radice.
altrimenti così non stanno bene.
Io mi rimetto a quello che farà
vostra più che lunare maestà.
Ecco viene Flaminia, ecco Clarice,
corteggiando la nostra imperatrice.
Brave, brave, ragazze, mi piacete.
e quanto prima vi mariterò.
vuo’ che siam promotori e testimoni
di due altri felici matrimoni. (Va in trono con Lisetta)
lieto la sposerò con tutto il core.
Oh felice momento! Oh lieta sorte!
nel vederti gioir giubilo anch’io.
con i vostri sponsali anco Clarice.
e della destra sua sospiro il dono.
Anzi con tutto il cor lo prenderò.
Oh felice fortuna! Oh lieto amore!
il vederti contenta mi consola.
che sian le mie figliole maritate.
acciò non si rendesse un giorno vano,
congiungetele voi di vostra mano.
questa funzione al genitor conviene.
Ognun vada a goder la sua fortuna
e bisogno non v’è più d’altra luna.
or ch’è ognuno di noi lieto e giocondo,
tornar tutti potiam al nostro mondo.
e grazie a Bonafede noi rendiamo.
Meglio dunque con voi mi spiegherò.