Quant’è buono il cioccolato
che si beve in compagnia!
fa più bello in tutto il dì.
Venga pur, non mi confondo,
ne vuo’ dare a tutto il mondo;
beva ogniun fin che ce n’è.
La mia parte ancor per me.
Se restiamo a incommodarvi,
Oh che grazia! oh che servizio!
che ci fate a restar qui! (Al conte e alla contessa)
Figlia mia, non è così? (A donna Emilia)
son padroni in casa nostra.
Bontà vostra e nostro onor.
(Chi mi ferma è il dio d’amor). (Da sé)
Ho che far col segretario,
ci vedremo all’ordinario.
Vostra serva. (A don Fabrizio)
Servitor. (A don Fabrizio)
Ah maggior d’ogni altro affetto
è l’amor dell’amistà. (Partono tutti fuor che don Fabrizio)
di alloggiar chi pare a me;
e se loco più non c’è... (A Giacinto)
Via scrivete, concludete... (Al segretario)
«L’esibisco di buon cor...» (Dettando)
Non mi fate più il dottor. (A Giacinto)
«Non mi resta che gloriarmi
vostro amico e servitor». (Dettando)
Insolente seccator. (A Giacinto)
Che faceste? Che scriveste? (Al segretario)
«L’esebisco di bon cor... (Leggendo quel che ha scritto il segretario)
Non mi fate più il dottor.
Non mi resta che gloriarmi
vostro amico e servitor...
Ignorante, via di là. (Al segretario)
Insolente, via di qua. (A Giacinto che ride)
Via di qua, via di là. (A tutti due)
Che ignoranti, che birbanti
che mi tocca a sopportar!
Via di qua, via di là; (Li due partono)
non li posso tollerar. (Parte)
Se m’accesi a quei bei lumi,
colpa è sol del dio d’amor.
Quel bel volto, i bei costumi
mi han piagato in seno il cor.
che fatal, crudele addio!
Che spietato e rio dolor! (Parte)
sarò amico e servitor; (Alla contessa)
alla sposa serbo il cor. (A donna Emilia)
Ho viaggiato ed ho imparato
a servire e a far l’amor.
Fra i Spagnuoli ed i Francesi,
fra gl’Inglesi e gli Olandesi
finché siete in fresca età,
dietro ogniun vi correrà;
quand’è andato il primo fiore,
e in vecchiezza, che sarà?
non sperate carità. (Parte)
No, signor, bene obbligata. (A don Fabrizio)
(Ha la mano un po’ sudata,
non mi voglio insudicciar). (Da sé)
Mio signor, le son tenuta
di volermi accompagnar. (Al cavaliere)
Presto, presto, se più resto
qualche mal mi venirà. (Parte servita dal cavaliere senza badare a don Fabrizio)
non mi bada e se ne va. (Parte)
Delle donne il cor è fatto
come appunto un limoncello;
una fetta a questo e a quello
Com’è sciocco, com’è matto
chi pretende averlo tutto!
ma nessun non l’averà. (Parte)
necessaria è al viaggiatore
un po’ più di civiltà. (Al cavaliere)
In Olanda siete stata? (Alla marchesa)
Sì, signor, l’ho praticata.
Che vi par di quel paese?
un po’ più di proprietà. (Alla marchesa)
In Germania siete stato? (Al cavaliere)
Sì, signora, ci ho passato.
Che trovaste? Che vedeste?
è il viaggiar di qua e di là!
Ma, signor, non mi abbadate? (Al cavaliere)
Di Versaglies raccontate. (Alla marchesa)
Tra di voi ve la godete. (Alla marchesa)
Vienna d’Austria descrivete. (Al cavaliere)
Vi dirò... Venite qua. (A don Fabrizio e alla contessa)
Alma forte, cor costante,
No, non merta quel sembiante
tal insulto, tal disprezzo.
Lo può far chi non è avvezzo
(Poverin, mi fa pietà). (Da sé)
quel che in seno il cor mi fa?
Quando siete a me vicino,
pare appunto un martellino
che dei colpi ognior mi dà.
della sua semplicità). (Parte)
Vi ha colpito, vi ha ferito
per la dama il dio d’amor? (Piano a don Fabrizio)
Non mi celo, ve lo svelo,
io mi sento un fiero ardor.
se vi son buon servitor. (A don Fabrizio)
Poverello, il vecchiarello!
secondate il pazzo umor. (Alla marchesa piano)
più brillante farsi ognor.
Poverello, il vecchiarello!
La marchesa già si è resa
tutta vostra di buon cor. (Piano a don Fabrizio)
Ei lo crede, non si avvede. (Alla marchesa)
Tutta vostra, già si mostra. (A don Fabrizio)
Che grazina! Che amorino!
Nel cor mio sì dolce ardor.
Viva, viva il dio d’amor.
Leghi amor i cuor sinceri
l’allegria si accresca ognor. (Si porta un bicchiero di vino per ciascheduno)
Questa man che ti concede
pegno sia della mia fede,
pegno sia d’un vero amor.
Più non sento il rio tormento
che mi strugge in seno il cor.
Tutto vostro è questo cor.
sei pur caro, sei pur bello!
Cresci pure a poco a poco,
dolce foco, amato ardor. (Partono)
che di ciò non ve ne tocca,
più per voi stagion non è.
voi sareste un bel sposino
È già fatto il matrimonio,
don Fabrizio è testimonio
Ah l’avrete a far con me.
schioppi, spade ed un cannone.
Quell’ingrata, quel briccone
Poverino, pazzo egli è. (Partono)