che di giubilo ha colmato
quest’albergo e il nostro cor.
e a servirla da braccier.
S’ella ha voglia di tacere,
il silenzio dee osservar.
Non ho tanti crini in capo
quanti al mondo ne ho veduti
Si è scoperto che il suo merto
sta nel gioco di bassetta.
O in qualch’altra facendetta
che svelar non tocca a me.
Se mentisse il corazziere...
Se non fosse vero il foglio...
Via di qua brutto pensiere,
via di qua, che non ti voglio,
il servente appassionato...
Non è vero, non può stare,
io lo so con chi ho da fare,
sorellina chiachiarina...
Ma se avesse... Se mostrasse...
Se fingesse... Se bramasse...
Oh che rabbia, oh che dispetto!
Io non so che voglia dire
che mi batte in seno il cor.
Mia signora, ha da sapere...
chi ha servito a comandar.
sarò sempre una meschina».
Gliel’ho detta netta e schietta,
mia brafura conterà. (Al marchese)
quando ti feder papà. (A Marianna)
che mia spata fa tremar. (Al marchese)
Ti no star più la Cecchina,
star la pella marchesina,
to papà ti consolar. (A Marianna)
Ah tar Taifle! Nix diforzio,
star marito, star consorzio,
Star tua sposa, star onesta
Non vi state a incomodar.
Eccola qui. (Dà la mano a Tagliaferro)
Signorsì. (Dà la mano a Marianna)
Perdonanza domandar. (Al marchese)
Io vi prego a perdonar. (A Marianna)
(Il padrone è un bel poltrone,
che di più non si può far).
Star contenta? (A Marianna)
Dar parola? (Al marchese prendendolo per la mano)
Ah main Sozz allegra star. (A Marianna)
Ah main Herr, non mi purlar. (Al marchese)
che quel giorne quando torne
testa, brazzi mi tagliar. (Parte)
È partito? (A Sandrina e Paoluccia)
Se n’è ito. (Al marchese)
Sposo mio, che mai v’ho fatto?
Non son cieco, non son matto
e il divorzio s’ha da far. (A Marianna)
E di qua se n’ha d’andar. (A Marianna)
Questo mondo è pien di scale,
V’è chi scende, v’è chi sale,
chi va suso e chi va giù.
Ah mi sento oppresso il core
dallo sdegno e dall’amore
e non so se più m’alletta
la vendetta o il dolce amor.
due passioni in me possenti.
e un fierissimo rigor. (Parte)
il mio core e la mia pace
Ah rispondermi già sento:
«Il tuo core altrui cedesti
speri invan di rintracciar!»
Non vi chiedo amiche stelle
ricche spoglie e ricco tetto.
Basta sol che il mio diletto
Se peggiora il mio destino
aprir bocca al ciel non oso;
ma rapirmi il caro sposo!
Sono allegra, son contenta
dello sposo che mi adora.
Ah mi brilla il cor nel petto.
Che piacere, che diletto!
della pace del mio cor. (Parte)
Flanden Pastet non foler,
Ah tar Taifle come dir? (Con ira)
Carne star de bestia grossa (Placido)
che affer corni e non portar.
Rind tatesco, Rind chiamar. (Con forza)
Maledetto, non saffer? (Con ira)
chi star bestia che tirar?
Jo, star manze, jo trofato, (Con allegria)
Lesse, roste fol mangiar. (Partono tutti due)
Ah Mengotto, io son felice,
il mio sposo mi vuol bene
Sono anch’io per voi contento.
(Non sa nulla a quel ch’io sento
dello sdegno e del furor).
Tutto, tutto vo’ scordarmi,
voglio amarvi di buon cor.
Tutto, tutto mi ho scordato,
sol mi è grato il vostro amor.
Più di sdegno non s’accenda
la spietata e cruda face,
fra noi regni amor e pace
Ah tar Taifle, cospettone,
star tatesco, star barone,
Padre mio, che cosa è stato?
Chi Mariandel strapazzato
per mia spata fol mazzar.
(Per timore sento il core
Chi star questa? (Accennando Sandrina)
che Mariandel strappazzar. (Minaccia Sandrina)
Per pietà. (Trattenendo il colonnello)
Non mi ha fatto alcun dispetto
che un bacino le vuo’ dar. (Bacia Sandrina)
Chi star questa? (Accenando Paoluccia)
Tu mia figlia maltrattar. (Minaccia Paoluccia)
No, papà. (Trattenendo il colonnello)
e lei pur vogl’io baciar. (Bacia Paoluccia)
No star questa? No star quella?
e con lui foler sfogar. (Minaccia il marchese)
Ah signore... (Con paura)
No, non fate. (Trattenendo il colonnello)
Vel protesto, v’ingannate;
Non star vero? (A Marianna)
foler testa a ti tagliar. (Minaccia Mengotto)
Per pietà. (Trattenendolo come sopra)
non più in guerra si ha da star.
Quel ch’è stato stato sia
non ci venga a disturbar.
non più in guerra si ha da star.
Se mai più di voi sospetto,
prego amor che in vita mia
non mi doni alcun piacer.
Se per voi non serbo in petto
quell’affetto che conviene,
prego amor che un dì di bene
Al festin poss’io ballare
con chi vien? con chi mi pare?
ch’io già sono indifferente.
per reccarmi un dispiacer.
Che graziosa indiferenza!
Che amorosa compiacenza! (Con ironia)
No, con lui non ho piacer.
è pur grande il tuo poter. (Ognuno da sé)
Se mai più di voi sospetto
prego amor che in vita mia
non mi doni alcun piacer.
Se per voi non serbo in petto
quell’affetto che conviene,
ch’io non possa mai goder. (Rimproverandosi a vicenda)
se non viene accompagnato
buona figlia un tempo fu,
che non basta l’esser belle,