Il filosofo di campagna, Brunswick, [1765] (La serva accorta)

 ATTO PRIMO
 
 
 SCENA PRIMA
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini. LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza,
 s’abbandonna allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Nozze infelici!
 LESBINA
 Non così parlereste,
15s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
 nell’età, nel costume e nell’amore,
20far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
                                             Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso.
 EUGENIA
                                                    Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
25almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
 Meglio sola che male accompagnata,
 così volete dir; sì sì v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo?
 
    Se perde il caro lido,
30sopporta il mar che freme.
 Lo scoglio è quel che teme
 il misero nocchier.
 
    Lontan dal caro bene
 soffro costante e peno
35ma questo cuore almeno
 rimanga in mio poter.
 
 SCENA II
 
 DON TRITEMIO e detta
 
 DON TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
40Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 Di questo o di quel fiore,
 di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò.
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
45Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
50di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio,
 gettato sono;
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
55Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca, son bella
 cicoria novella,
 mangiatemi presto;
60coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
65Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella;
 prima che ad invecchiar ti veda il fato,
70esser colta dovresti in mezzo al prato.
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
75   Non raccoglie le mie foglie
 vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello
 o vuo’ star nel prato ancor.
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
80m’ha detto che con lei non farò niente.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
 il genitor felice). (Da sé)
 DON TRITEMIO
 Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
85e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
 (Sorte, non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                          Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
90Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
 vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                 Sì signor.
 RINALDO
                                                     Dirò...
95Se fossi degno... Troppo ardire è questo.
 Ma! Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 DON TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
 per venir alle corte, io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
100Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
105Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
110Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volentieri.
 
    La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
115La figlia mi chiedeste
 e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
120   Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no,
 perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
125la mia ragion sta qui.
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
130ch’io debb’andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Taci amor nel seno mio,
135fin che parla il giusto sdegno
 o prendete amabil pegno
 i miei torti a vendicar.
 
    Fido amante è ver son io.
 Ogni duol soffrir saprei
140ma il mio ben non soffrirei
 con viltade abbandonar.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga, accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
145   Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
 e doppoi si mangerà;
150del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
155Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
160zappe, trebbie, rastei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il sudetto
 
 LA LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
165avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
170Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volontieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accena un villano)
175Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo, io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
180qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone, ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
185strappazzata la dote e la fanciulla,
 la nobilità ti riducesse al nulla.
 LA LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, e pure
 così non usa.
 NARDO
                           È vero,
190ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LA LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
195Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
200ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
205Voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorebbe poverina...
210Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà.
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
215ma la vuo’ maritar da contadina.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
220   Vedo quell’albero
 che ha un pero grosso,
 pigliar nol posso,
 si sbalzi in su.
 
    Ma fatto il salto,
225salito in alto,
 vedo un perone
 grosso assai più.
 
    Prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo,
230vado più in su.
 Ma poi precipito
 col capo in giù.
 
 SCENA VIII
 
 Sala in casa di don Tritemio con due porte.
 
 EUGENIA e RINALDO, indi LESBINA
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
235Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
240Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari.
 Né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur siete curioso?
245Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate;
250a me condur lasciate la facenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
255Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idol mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                    Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA IX
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito.
 Troppo presto volea far da marito.
260Ecco il ricco villano!
 Ora son nell’impegno!
 Tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
265Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
 Potete in questo loco
 aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspetterò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
270Sareste per ventura
 la figliuola di lui, venuta qui?
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
275Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
 Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Eh furbetta, voi mi avete
280conosciuto a drittura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
 Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
285Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
290Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
 (Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, s’io non so,
295son così; non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
 che col labro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua.
 Sapete cos’è?
300Voltatevi in là
 lontano da me.
 
    Vuo’ partire, mi sento languire.
 Ah! Col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA X
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
305che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
 ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
310compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio;
 vi saluto di core.
 NARDO
                                 Ed io vi abbraccio.
 DON TRITEMIO
 Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 DON TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
315Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
 Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
 che sperare mi fa d’esser amato.
 DON TRITEMIO
 È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                (Oh ciel sia ringraziato). (Da sé)
320Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
 il cor le inteneriva
 e ne aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                     E viva, e viva.
 Eugenia, dove sei? Facciamo presto,
325concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me son lesto.
 DON TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XI
 
 LA LENA e detti, poi LESBINA
 
 NARDO
 Che volete voi qui? (Alla Lena)
 LA LENA
                                       Con sua licenza,
 alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
330Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 LA LENA
 Signor zio, com’è bella?
 NARDO
 La vedrai. È una stella.
 LA LENA
 È galante e graziosa?
 NARDO
 È galante, è gentile ed è amorosa.
 LA LENA
335Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
 che l’ha la madre sua fatta per me.
 Appena ci siam visti,
 un incognito amor di simpatia
340ha messo i nostri cuori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
 ridente ho l’animo,
 nel sen mi palpita
 brillante il cor.
 
 LA LENA
 
345   Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
 risveglia ed agita
 novello ardor.
 
 LESBINA
 
    Sposino amabile, (Esce da una camera)
350per voi son misera;
 mi sento mordere
 dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
    Vieni al mio seno,
 sposina mia.
 
 LA LENA
 
355Signora zia,
 a voi m’inchino.
 
 A TRE
 
 Dolce destino,
 felice amor.
 
 LESBINA
 
    Parto, parto; il genitore.
 
 NARDO
 
360Perché parti?
 
 LESBINA
 
                            Il mio rossore
 non mi lascia restar qui. (Entra nella camera di dove è venuta)
 
 NARDO
 
    Vergognosetta
 la poveretta
 se ne fuggì.
 
 LA LENA
 
365   Se fossi in lei,
 non fuggirei
 chi mi ferì.
 
 DON TRITEMIO
 
    La ricerco e non la trovo.
 O che smania in sen io provo!
370Dove, diavolo, sarà?
 
 NARDO, LA LENA
 
 Ah ah ah.
 
 DON TRITEMIO
 
    L’ho cercata su e giù;
 l’ho cercata qua e là.
 
 NARDO, LA LENA
 
 Ah ah ah.
 
 DON TRITEMIO
 
375Voi ridete? Come va?
 
 NARDO
 
 Fin adesso è stata qua.
 
 DON TRITEMIO
 
 Dov’è andata?
 
 LA LENA
 
                             È andata là. (Accenna ov’è entrata)
 
 DON TRITEMIO
 
 Quando è là, la troverò
 e con me la condurrò. (Entra)
 
 NARDO
 
380   Superar il genitore
 potrà ben il suo rossore.
 
 LA LENA
 
 Non è tanto vergognoso
 il suo core collo sposo.
 
 A DUE
 
 Si confonde nel suo petto
385il rispetto coll’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello,
 via porgetemi l’anello,
 che la sposa allor sarò.
 
 LA LENA
 
 Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
390Ecco, ecco, ve lo do. (Le dà un anello)
 
 LESBINA
 
    Torna il padre, vado via.
 
 NARDO
 
 Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
 Il motivo non lo so.
 
 LA LENA
 
 Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
395Compatite, tornerò. (Torna nella camera di prima)
 
 NARDO, LA LENA
 
    Caso raro, caso bello!
 Una sposa coll’anello
 ha rossor... del genitor.
 
 DON TRITEMIO
 
    Non la trovo.
 
 NARDO, LA LENA
 
                              Ah ah ah.
 
 DON TRITEMIO
 
400Voi ridete?
 
 NARDO, LA LENA
 
                        È stata qua.
 
 LA LENA
 
 Collo sposo ha favellato.
 
 NARDO
 
 E l’anello già le ha dato.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla figlia?...
 
 NARDO, LA LENA
 
                          Signorsì.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla sposa?
 
 NARDO, LA LENA
 
                        Messersì.
 
 DON TRITEMIO
 
405   Quel ch’è fatto fatto sia.
 
 A TRE
 
 Stiamo dunque in allegria,
 che la sposa vergognosa
 alla fin si cangierà;
 e l’amore nel suo core
410con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo