Il filosofo di campagna, Siena, Bonetti, 1756

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA e LESBINA
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai vicino a sera
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa onor dei fiori,
 fresca piaci ed innamori;
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza;
 s’abbandona, allor che perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta non più,
 che cotesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per fuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che delle donne è il fior.
 Troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25l’intesi ragionar.
 EUGENIA
                                 Nozze infelici
 sarebbero al cor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorrà consorte,
 l’abborrisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cuor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Ohimè!...
 LESBINA
                                       V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco. Un cavalier gentile,
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi niega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange; e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io v’offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da comprometter molto
 e posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno.
 Se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir. Sì sì v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Agitata in seno al mare,
 sotto il ciel funesto e nero,
55non m’appare alcun sentiero,
 son portata a naufragar.
 
 SCENA II
 
 LESBINA e poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 Questo, anch’io la capisco,
60insegna la prudenza,
 se non s’ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea per desinare.
 DON TRITEMIO
65Poco fa ti sentii cantarellare.
 LESBINA
 È ver; colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amore.
 LESBINA
                                        Eh no, signore.
70Di questo e di quel fiore,
 di questo e di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 Qualche strofetta canterò a proposito.
 DON TRITEMIO
75Ah ragazza... Farei uno sproposito.
 LESBINA
 Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovane,
 son fresco e bello,
80son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio,
 gettato io sono,
 non son più buono
85col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca, son bella,
 cicoria novella,
90mangiatemi presto,
 coglietemi su.
 
    Se resto sul prato
 radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
95raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
 Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella,
100prima che ad invecchiarti venga il fato,
 esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora;
 dovreste alla signora
 pensar, caro padrone.
105Or ch’è buona stagione,
 or ch’è frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato.
 Sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
110Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
 Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
115che ogni erba si contenti
 d’aver qualche governo,
 pur che esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così mal troncata,
120per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh, sentite
 una altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
125   Non raccoglie le mie foglie
 vecchia mano di pastor;
 
    voglio un bello pastorello.
 E vuo’ star nel prato ancor.
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
130m’ha detto che con lei non farò niente.
 Ma pure io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò;
 e col tempo con lei tutto farò.
135Per or d’Eugenia mia
 liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
140il genitor felice).
 DON TRITEMIO
 Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
 e da tutti filosofo è chiamato.
 RINALDO
 (Sorte non mi tradir). Signor... (A don Tritemio)
 DON TRITEMIO
                                                            Padrone.
 RINALDO
145S’ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro n’ascolto e più se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare;
150son cavaliere e sono i beni miei
 vicini a’ suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ella ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                   Sì signor.
 RINALDO
                                                       Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                              Intendo il resto.
 RINALDO
155Dunque, signor...
 DON TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
 per venire alle corte, vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir.
 DON TRITEMIO
                                       Per cortesia,
 non venite a morire in casa mia.
 RINALDO
160Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe un’increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  Di beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
165Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Ch’io speri?
 DON TRITEMIO
                                                  Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
170La ragion?
 RINALDO
                       Vuo’ saper.
 DON TRITEMIO
                                              Sì, volentieri.
 
    La mia ragione è questa;
 mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
 e la ragion vorreste;
175la mia ragion sta qui;
 non posso dir di sì,
 perché vo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancor
 un’altra ne dirò.
180Rispondo: «Signor no,
 perché la vo’ così»;
 e son padron di dirlo,
 la mia ragion sta qui.
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione, indegna,
185d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debba andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
190o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Se nieghi a me l’oggetto
 del mio soave affetto,
 l’alma di sdegno armata
195vendetta alfin vorrà.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga, accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
200se da noi fu coltivato!
 Presto, presto, a lavorare,
 a potare, a seminare,
 e dipoi si mangerà.
 Del buon vin si beverà;
205ed allegri si starà.
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
210l’avolo ed il bisavolo e il trisavolo
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
215con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 son gli uomini tra noi sempre gl’istessi.
220Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e de’ teatri
 zappe, trebbie, rastrelli, vanghe e aratri.
 
 SCENA VI
 
 LENA e detto
 
 LENA
 (Eccolo qui! La vanga
 è tutto il suo diletto).
225Se foste un poveretto,
 compatirvi saprei; ma siete ricco,
 avete dei poderi e de’ contanti,
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
230piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio a maneggiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
235Sì, volentieri; presto,
 comparisca un marito; eccolo qui,
 vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo, io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace?
 LENA
                                       Signor no.
 NARDO
240Va’ veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con parrucca e spada.
 Vedi, ride Mongone e ti corbella. (Al villano che parte ridendo)
 Povera vanarella!
245Tu sposeresti un conte ed un marchese,
 perché in meno d’un mese,
 strapazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LENA
 Io non voglio un signor né un contadino.
250Mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LENA
                                               Ch’abbia un’entrata,
 qual a mediocre stato si conviene,
 che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai,
255se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie
 e non usano molto amar la moglie.
 Per pratica comune
260nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, e pure
 così non usa.
 NARDO
                           È vero,
265ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso e diventar ridicolo.
 LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposto le nozze, io ben lo so.
 NARDO
270Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
275Ieri solo è venuta
 ed oggi la vedrò.
 LENA
                                 Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne,
 sono le donne poi tutte compagne.
 LENA
280Ammogliatevi presto, signor zio,
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io sono una orfanella
285che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio,
 vedete, caro zio,
 ch’io sono nell’età.
 
    La vostra nipotina
290vorrebbe... poverina...
 Sappiate... M’intendete...
 Muovetevi a pietà.
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
295La si mariterà la poverina
 ma la vuo’ maritar da contadina.
 Ecco! Il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
300Vorrebbe il contadino
 divenir cittadino. Il cittadino
 cerca nobilitarsi
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
305qualchedun si contenta.
 Alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quant’è più alto.
 
    Vedo quell’albero
 ch’ha un pero grosso,
310pigliar nol posso,
 si balzi su.
 
    Ma fatto il salto,
 salito in alto,
 vedo un perone
315grosso assai più,
 
    prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo,
 vado più in su;
 ma poi precipito
320col capo in giù.
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se m’amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
325il soverchio rigor vi vuole oppressa,
 deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                               Ai numi il giuro,
 non sarò d’altri, se di voi non sono.
 Ah se il mio cuor vi dono,
 per or vi basti e non vogliate ingrato
330render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè, chi viene?
 RINALDO
 Non temete, è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi signora mia.
 EUGENIA
335Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattor contando dei denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo,
 voi pur siete curioso.
340Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo; e il padre vostro
345ha detto e comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
350ma son amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate.
 A me condur lasciate la faccenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
355ritiratevi, sì questo mi preme,
 ma non andate a ritirarvi assieme.
 Voi di qua, voi di là, così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA e poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attaccava
360prestamente al partito;
 troppo presto volea far da marito.
 Ecco il ricco villano.
 Ora son nell’impegno.
 Tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
365Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora vi son io.
 NARDO
 Buondì a vosignoria.
 LESBINA
                                         Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
 Potrete in questo loco
370aspettar chi v’aggrada.
 NARDO
                                            Aspetterò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so.
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliuola di lui, venuta qui?
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
375Alla cera mi par...
 LESBINA
                                   Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
 Il cuor d’una zittella,
380se si tratta di un uom, non ha favella.
 NARDO
 Eh furbetta, furbetta. Voi m’avete
 conosciuto a drittura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
 Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
385Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dov’andate?
 LESBINA
                          Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
390Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia...
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
 (Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
395(Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, s’io non so.
 Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
 che col labbro spiegar non si può.
 
400   Miratemi qua.
 Sapete cos’è?...
 Voltatevi in là,
 lontano da me.
 
    Voglio partire, mi sento languire...
405Ah col tempo spiegarmi saprò.
 
 SCENA XI
 
 NARDO e poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
 Fingere ancor potrebbe, è ver purtroppo,
 ma è un cattivo animale
410quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio.
 Vi saluto di cuore.
 NARDO
                                    Ed io v’abbraccio.
 DON TRITEMIO
415Ora verrà la figlia.
 NARDO
                                    È già venuta.
 DON TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
 Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
 Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
420che sperare mi fa d’essere amato.
 DON TRITEMIO
 È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                (Oh il ciel sia ringraziato).
 Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
 il cor le inteneriva
425e n’aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                   E viva, e viva.
 Eugenia dove sei? Facciamo presto,
 concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me son lesto.
 DON TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XII
 
 LENA e detti e poi LESBINA
 
 NARDO
 Che volete vo’ qui?
 LENA
                                      Con sua licenza.
430Alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 LENA
 Signor zio, com’è bella?
 NARDO
 La vedrai, è una stella.
 LENA
435È galante e graziosa?
 NARDO
 È galante e gentile ed amorosa.
 LENA
 Vi vorrà ben.
 NARDO
                           Si vede
 da un certo non so che
 che l’ha la madre sua fatta per me.
440Appena ci siam visti,
 un incognito amor di simpatia
 ha messo i nostri cuori in allegria.
 
    Son pien di giubbilo,
 ridente ho l’animo;
445nel sen mi palpita
 brillante il cuor.
 
 LENA
 
    Il vostro giubbilo
 nelle mie viscere
 risveglia ed agita
450novello amor.
 
 LESBINA
 
    Sposino amabile,
 per voi son misera,
 mi sento struggere
 dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
455   Vieni al mio seno,
 sposina amabile.
 
 LENA
 
 Signora zia,
 a voi m’inchino. (A Lesbina)
 
 A TRE
 
 Dolce destino,
460felice amor!
 
 LESBINA
 
    Parto, parto, è il genitore.
 
 NARDO
 
 Perché parti?
 
 LESBINA
 
                            Il mio rossore
 non mi lascia star qui.
 
 NARDO
 
    Vergognosetta,
465la poveretta
 se ne fuggì.
 
 LENA
 
    Se fossi in lei
 non fuggirei
 chi mi ferì.
 
 DON TRITEMIO
 
470   La ricerco e non la trovo;
 oh che smania in seno io provo,
 dove diavolo sarà.
 
 LENA, NARDO
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
    L’ho cercata su e giù.
 
 A DUE
 
475Ah ah ah.
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete? Come va?
 
 A DUE
 
 Fino adesso è stata qui.
 
 DON TRITEMIO
 
 Dov’è andata?
 
 A DUE
 
                             È andata là.
 
 DON TRITEMIO
 
 Quando è là, la troverò.
480E con me la condurrò. (Parte e poi torna)
 
 NARDO
 
    Superare il genitore
 potrà bene il suo martire.
 
 LENA
 
 Non è tanto vergognoso
 il suo core con lo sposo.
 
 A DUE
 
485Si confonde nel suo petto
 il rispetto con l’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello, (Torna)
 via, porgetemi l’anello,
 che la sposa allor sarò.
 
 LENA
 
490Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
 Ecco, ecco, ve lo do.
 
 LESBINA
 
    Torna il padre, vado via.
 
 NARDO
 
 Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
 Il motivo non lo so.
 
 LENA
 
495Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
 Compatite, tornerò. (Parte)
 
 LENA E NARDO
 
    Caso raro! Caso bello!
 Una sposa coll’anello
 ha rossor del genitor.
 
 DON TRITEMIO
 
500   Non la trovo. (Torna)
 
 NARDO, LENA A DUE
 
                               Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete?
 
 NARDO, LENA A DUE
 
                        È stata qua.
 
 LENA
 
 Collo sposo ha favellato.
 
 NARDO
 
 E l’anello già le ho dato.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla figlia?
 
 A DUE
 
                       Signorsì.
 
 DON TRITEMIO
 
505Alla sposa?
 
 A DUE
 
                        Messersì.
 
 A TRE
 
    Quel ch’è fatto fatto sia.
 Stiamo dunque in allegria
 che la sposa vergognosa
 alla fin si cangerà;
510e l’amore nel suo core
 con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo