De gustibus non est disputandum, Venezia, Fenzo, 1754

Vignetta Frontespizio
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Appartamenti.
 
 ERMINIA e CELINDO, sedendo vicini l’uno all’altro in fondo della scena. ROSALBA e il conte RAMERINO ad un tavolino giocando fra di loro alle carte. Il CAVALIERE DI ROCCAFORTE ad un altro tavolino scrivendo. Don PACHIONE sedendo da un altro lato, bevendo la cioccolata. Poi la baronessa ARTIMISIA. Li sei personaggi sudetti, ciascheduno stando al loro posto, cantano li seguenti versi, mostrando avergli ciascuno in un foglio a parte
 
 
    Il mondo è bel, perch’è di vari umori.
 Vari sono degli uomini i caprici.
 A chi piacciono l’armi, a chi gli amori.
 A chi piaccion le torte, a chi i pastici.
5De’ gusti disputar cosa è fallace;
 non è bel quel ch’è bel ma quel che piace.
 
 Artimisia
 Bravi, me ne rallegro.
 Godo che in casa mia
 la giornata si passi in allegria.
10Che si canta di bello?
 il Cavaliere
                                          Alcuni versi
 da me stesso composti in questo punto.
 Veggendo che ciascuno
 variamente s’impiega e si ricrea,
 col faceto mio stil così dicea:
15«De’ gusti disputar cosa è fallace,
 non è bel quel ch’è bel ma quel che piace».
 Artimisia
 Questo l’accordo anch’io.
 Ciascheduno ha il suo gusto. Io pure ho il mio.
 Ecco la mia nipote
20col suo futuro sposo,
 godono nel parlar d’amor, di foco.
 Mia cugina ed il conte amano il gioco.
 Voi cavaliere amate
 la dolce poesia,
25il piacer, l’allegria;
 ed il signor Pachione, il poverino,
 ama i ragù, la cioccolata e il vino.
 don Pachione
 E voi, che cosa amate?
 Artimisia
                                            Anche il mio genio
 più d’una cosa che d’un’altra è amico.
30Ho il mio gusto ancor io ma non lo dico.
 il Cavaliere
 Dunque m’insuperbisco
 di questi versi miei. Ciascun si vanti
 del suo gusto parzial, li legga e canti. (Dà un foglio ad Artimisia. Tutti s’alzano, ripeton la canzona sudetta; indi partono tutti fuorché Artimisia e Rosalba)
 
 SCENA II
 
 ARTIMISIA e ROSALBA
 
 Artimisia
 Voi, cugina garbata
35vi dilettate di giocar. Badate
 che dovrete pagar, se perderete,
 poiché, se nol sapete,
 gli uomini han ritrovato,
 quando giocan con noi, la bella usanza
40che il non farsi pagar sia un’increanza.
 Rosalba
 Credetemi, non soglio
 né per vizio giocar né per diletto.
 Non so dir per qual cosa io senta affetto.
 Tutto mi piace e niente mi dà pena.
45Faccio quel che di far mi vien promosso
 e contento ciascun, se farlo io posso.
 Artimisia
 Bravissima; in tal guisa
 gradindo tutti e non negando mai
 voi vi farete degli amici assai.
 Rosalba
50Questo è il mio gusto.
 Artimisia
                                          È il mio tutto all’apposto.
 A voi ve lo confido.
 Godo a far disperare e me ne rido.
 Fingo d’esser gelosa e non lo sono;
 dar altrui gelosia mi dà diletto.
55Chi ha per me dell’affetto
 ho piacere talor che si disgusti.
 E se pianger lo vedo? È il re dei gusti.
 Rosalba
 Io no; soffrir non posso
 che un amante sospiri e se ’l vedessi
60una lacrima trar sugli occhi miei,
 non so dir, non so dir quel ch’io farei.
 
    Ho un cuor sì tenero,
 sì dolce ho l’animo
 che tutti gli uomini
65mi fan pietà.
 
    Quando sospirano,
 quando mi pregano,
 no, non so fingere
 la crudeltà. (Parte)
 
 SCENA III
 
 ARTIMISIA, poi don PACHIONE
 
 Artimisia
70Misera semplicetta!
 Del tuo tenero cuor ti pentirai.
 In altri proverai
 la crudeltà che nel tuo sen non cova.
 Fede, sincerità più non si trova.
75Io che lo so m’ingegno
 far quel che gli altri fanno
 e ad ogni ingannator pronto ho un inganno.
 Godo che in questa villa
 vengano a divertirmi
80le congiunte, gli amici e i spasimati.
 Ma non avrei divertimento alcuno,
 senza farli arrabbiare ad uno ad uno.
 don Pachione
 Madama sentirete
 questa mattina un piatto
85eccellente, esquisito.
 Artimisia
                                        E chi l’ha fatto?
 don Pachione
 Io, io, colle mie mani;
 fattomi preparar pentole e fuoco
 sono andato in cucina e ho fatto il cuoco.
 Un pezzo di vitello
90che ha tre dita di grasso,
 cotto colle tartufole e il presciutto;
 oh vita mia! Me lo mangerei tutto.
 Artimisia
 Voi, signor don Pachione,
 siete per quel che sento un bel mangione.
 don Pachione
95Può darsi in questo mondo
 oltre quel del mangiar gusto migliore?
 Artimisia
 Sì, può darsi.
 don Pachione
                            Qual è?
 Artimisia
                                             Far all’amore.
 don Pachione
 L’amore è un bel piacere,
 non lo nego, lo so, godo star presso
100d’una donna gentil, vezzosa, amena
 ma mi piace di farlo a pancia piena.
 Artimisia
 Dunque invan mi lusingo
 che per me sia venuto a favorirmi
 don Pachione gentil. Per lui nel cuore,
105lo dirò con rossor, provo il martello
 ed ei pensa al prosciutto ed al vitello?
 don Pachione
 Voi, madama, per me?...
 Artimisia
                                                Sì, cieco tanto
 siete per non vederlo? Ad una donna
 vedova, qual io son, non isconviene
110palesar l’amor suo, dir le sue pene.
 don Pachione
 Ma voi del cavaliere
 invaghita non siete?
 Artimisia
                                        Ah no, mi piace
 in voi l’allegro viso,
 il pingue corpo e la robusta schiena.
115Ma più di me v’alletterà una cena.
 don Pachione
 Madama, se credessi
 che diceste da ver...
 Artimisia
                                       Ve l’assicuro.
 (S’altro lume non hai, resti all’oscuro).
 don Pachione
 Dunque...
 Artimisia
                      Dunque non resta
120che assicurarmi almen per mio decoro
 che gradite il mio amor.
 don Pachione
                                               Ah sì, v’adoro.
 Artimisia
 Qual sicurtà mi date?
 don Pachione
 Chiedete e comandate.
 Artimisia
 Ecco comando e chiedo
125che v’astenete in faccia mia dall’uso
 di soverchio mangiar. Scarso alimento
 all’amante bastar suol per usanza;
 sia l’amor vostro cibo e la speranza.
 don Pachione
 Madama, io morirò.
 Artimisia
                                        Morir più tosto
130che all’amante spiacer comanda amore.
 don Pachione
 (Quel prezioso vitel mi sta sul cuore).
 Artimisia
 Ben, che dite? Poss’io
 sperar nel vostro amor? Vile cotanto
 sarete voi di preferir la gola
135al più tenero amor?
 don Pachione
                                       No, vi prometto...
 arder costantemente al vostro foco.
 Artimisia
 E giurate.
 don Pachione
                      Che mai?
 Artimisia
                                          Di mangiar poco.
 don Pachione
 Cospetto!
 Artimisia
                     Senza questo
 è inutile il giurar, vano è l’affetto.
140Lo promettete voi?
 don Pachione
                                      Sì, lo prometto.
 Artimisia
 Poco alfin, signor, vi domandai.
 don Pachione
 Chiedeste poco ed io promissi assai.
 
    Ventre mio, non v’è più festa,
 ti prepara a digiunar;
145oh che dura legge è questa
 far l’amore e non mangiar.
 
    Quegli occhietti vezzosetti
 ponno il cuore consolar.
 Ma i capponi, ma i piccioni
150ventre mio s’han da lasciar!
 Oh che dura legge è questa
 far l’amore e non mangiar. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 ARTIMISIA, poi il CAVALIERE
 
 Artimisia
 Ecco un gusto esquisito
 far patir l’appetito a un mangiatore,
155far che trionfi della gola amore.
 Nulla di lui mi cal. Sol nel mio petto
 qualche tenero affetto
 del cavalier di Roccaforte io sento
 ma ho piacere anche a lui di dar tormento.
160Eccolo, è allegro in viso. Signor no,
 no mi piace così. Se mi vuol bene,
 dee soffrire per me tormenti e pene.
 il Cavaliere
 Idolo del cuor mio...
 Artimisia
                                       Che bella grazia!
 Che parole affettate!
165Idolo del cuor mio! Voi m’annoiate.
 il Cavaliere
 Questa espression d’amore
 m’è venuta dal cuore. Ah lo sapete
 se il mio labbro è sincero,
 se v’adoro, mio ben...
 Artimisia
                                          No, non è vero.
 il Cavaliere
170Cielo, tu che mi vedi,
 aria, tu che m’ascolti,
 terra che mi sostieni,
 testimoni del ver, della mia fé,
 alla tiranna amabile
175ditelo voi per me.
 Artimisia
 Marmi che sordi siete,
 travi che non vedete,
 quadri che non parlate
 collo spirto vital che in voi non è,
180s’è un amante ridicolo
 ditelo voi per me.
 il Cavaliere
 Oimè, come cangiaste
 in poch’ore, crudel, sensi e favella.
 Siete voi Artimisia?
 Artimisia
                                        Sì, son quella.
 il Cavaliere
185No che quella non siete.
 Uno spirto maligno,
 di quei che son per l’aria condannati,
 d’atomi conglobati
 una spoglia fallace han colorita,
190un silfo menzognero
 d’Artimisia le vesti usurpa e ingombra.
 Artimisia non sei.
 Artimisia
                                    Chi sono?
 il Cavaliere
                                                         Un’ombra.
 Artimisia
 Menti; ma tu piuttosto
 uno spettro sarai; stammi discosto.
195Un demone d’Averno,
 condensato il vapor di luogo immondo,
 sotto spoglia viril venuto è al mondo.
 Che si nasconde in te veggo purtroppo
 Farfarello ribaldo o il diavol zoppo.
 il Cavaliere
200Ah no, ben lo ravviso,
 non può in sì dolce riso
 una larva celarsi. I tuoi begli occhi
 col loro lume alterno
 spiran fuoco, egli è ver, ma non d’inferno.
 Artimisia
205E tu che nel mio seno
 il foco hai raffreddato
 uno spirito sarai freddo, agghiacciato.
 il Cavaliere
 Madama, in confidenza,
 che novitade è questa?
 Artimisia
                                            Esaminate
210voi stesso e lo saprete.
 il Cavaliere
 Se esamino il cuor mio
 colpa alcuna non ha.
 Artimisia
                                        (Lo credo anch’io).
 il Cavaliere
 Ditemi per pietà...
 Artimisia
                                     Voi non m’amate.
 il Cavaliere
 Stelle! Per qual ragion dite voi questo?
 Artimisia
215Perché un vero amator deve esser mesto.
 Voi ridete con tutti,
 fate lo spiritoso,
 il bello ed il vezzoso;
 componete canzoni,
220promovete lo spasso e l’allegria.
 Dee un amante affettar malinconia.
 
    Non curo un galante
 che a tutte fa il bello;
 il cuor dell’amante
225lo voglio per me.
 
    I sguardi, gli accenti,
 l’affetto, la fede,
 quel braccio, quel piede,
 quel labro, quegli occhi
230nessuno mi tocchi,
 lo voglio per me.
 
    Risetti, scherzetti,
 giochetti, balletti
 non s’hanno da fare,
235vuo’ tutto per me. (Parte)
 
 SCENA V
 
 Il CAVALIERE, poi ERMINIA e CELINDO
 
 il Cavaliere
 Oh genio stravagante!
 Uno spirto brillante,
 un costume vivace
 è pur quel che diletta, è quel che piace.
240E Artimisia mi vuole
 mesto, tristo, languente, addolorato?
 Oh di donna gentil gusto sguaiato.
 Come è possibil mai
 che un uom del mio costume,
245promotor de’ piaceri e dei diletti,
 trattenga il riso e la mestizia affetti?
 Farlo mi proverò.
 Ma! Cospetto di Bacco! Io creperò.
 Celindo
 Cavaliere, di voi
250ora andavamo in traccia.
 il Cavaliere
                                                Comandate.
 Erminia
 Perché turbato in faccia?
 Celindo
 Qualche mal vi è accaduto?
 Non vi ho mesto così mai più veduto.
 il Cavaliere
 Nulla, nulla... Pensavo...
255a certi conti della mia famiglia.
 (M’è venuta in pensiero
 cosa che mi può far mesto davvero).
 Celindo
 D’uopo abbiamo di voi. Poeta amico
 sui vicini sponsali
260e d’Erminia e di me versi ha formati
 d’uno stile bizzarro e inusitati.
 Risponder si vorrebbe ai carmi suoi;
 ecco, amico, il perché si vien da voi.
 il Cavaliere
 Versi... versi... Son belli?
 Erminia
                                                Anzi bellissimi.
 il Cavaliere
265Lasciate ch’io gli veda.
 (Artimisia non c’è).
 Celindo
                                       Eccoli.
 il Cavaliere
                                                      (Parmi
 d’avere il fuoco addosso.
 Leggerli non vorrei... Ma far nol posso).
 Erminia
 Ammirate lo stil.
 Celindo
                                  Stile che invero
270al Berna stesso in leggiadria non cede.
 il Cavaliere
 Leggiamoli. (Artimisia ora non vede).
 «Se d’un paio di nozze amor sei vaggo...»
 Che bel verso! Mi piace.
 
 SCENA VI
 
 ARTIMISIA e detti
 
 Artimisia
                                               (Il cavaliere
 legge e ride; sentiamo).
 il Cavaliere
275«Tendi l’arco fatale
 che ferisce talor senza far male».
 Oh benissimo detto!
 Artimisia
 (Ride, giubbila e gode. Oh maladetto!)
 Celindo
 Seguite.
 il Cavaliere
                   Oh che piacer!
 Erminia
                                                Sentite il resto.
 il Cavaliere
280Gusto non ebbi mai maggior di questo.
 «Amor farai così...»
 Artimisia
 Che di bello si legge?
 il Cavaliere
                                         (Eccola qui).
 Artimisia
 Compatite se anch’io vengo ed ascolto;
 veggo ridente in volto
285il cavalier vezzoso,
 qualche cosa sarà di portentoso.
 il Cavaliere
 (Il rimprovero intendo).
 Erminia
                                               È un madrigale
 fatto per noi.
 Celindo
                           Non ha in bellezza eguale.
 Artimisia
 E il cavalier gentile
290gode del vago stile e brilla e ride.
 Me ne rallegro assai.
 il Cavaliere
                                        Costei m’uccide.
 Artimisia
 Via, leggete.
 il Cavaliere
                          Signora...
 Amico perdonate,
 leggere più non posso.
 Artimisia
                                           Eh seguitate.
295Ma se forse per me vi trattenete,
 se vi do soggezion, parto; leggete.
 il Cavaliere
 (Mi tormenta).
 Celindo
                               Su via.
 Seguite i versi. Or sentirete il buono.
 il Cavaliere
 (Fra il diletto e il timor confuso io sono).
300È partita; leggiamo.
 Erminia
 Da capo.
 il Cavaliere
                   Sì, da capo principiamo.
 «Se d’un paio di nozze amor sei vago».
 Eccola lì.
 Celindo
                    Che avete?
 Erminia
 Leggere non volete.
 il Cavaliere
305Sono fra il sì e il no.
 (È partita Artimisia). Io leggerò.
 
    «Tendi l’arco fatale...»
 Non posso mi vien male,
 non posso legger più.
 
310   «L’arco d’amor fatale
 ferisce e non fa male».
 Che stile! Che concetti.
 Che versi benedetti!
 Mi fanno giubbilar.
 
315   «Amor...» Colei mi vede.
 «Lo stral...» Colei mi sente.
 Non posso seguitar.
 
 SCENA VII
 
 ERMINIA, CELINDO ed ARTIMISIA
 
 Celindo
 Che stravaganza è questa?
 Erminia
 Io non la so capir.
 Artimisia
                                   (Che bello spasso!
320Che piacer, che diletto!)
 Celindo
 Vedeste il poveretto
 che parte delirando?
 Erminia
                                         Il cavaliere,
 non so dire perché, non par più quello.
 Artimisia
 Nol sapete? Il meschin perso ha il cervello.
 Celindo
325È pazzo il cavalier?
 Artimisia
                                      Nol sapevate? (A Celindo)
 Celindo
 Mi dispiace per voi, perché l’amate.
 Artimisia
 Eh Celindo, Celindo
 non è vero ch’io l’ami. Anzi per questo
 il meschino delira.
330Questo mio cuor sospira...
 Basta, non vuo’ dir nulla.
 Non vuo’ far disperar questa fanciulla.
 Erminia
 Come, signora zia?
 Artimisia
                                      Niente nipote.
 Il ciel vi benedica.
335Vi son parente e amica,
 invidio il vostro ben ma non usurpo
 uno sposo gentile ad una sposa.
 (Ho piacere che sia di me gelosa).
 
 SCENA VIII
 
 ERMINIA e CELINDO
 
 Celindo
 Non intendo che dica.
 Erminia
                                           Ah traditore.
340Io l’intendo, lo so. Lo sa il mio cuore.
 Celindo
 Erminia, non è ver...
 Erminia
                                         Se ver non fosse
 che all’ingrata mia zia serbaste affetto,
 in faccia mia non ardirebbe anch’essa
 svelare il foco suo.
 Celindo
                                    Ma, ve lo giuro,
345non l’intendo, non so...
 Erminia
                                            Taci spergiuro.
 
    Un labbro mendace,
 se parla, se giura,
 gl’inganni procura,
 rimorsi non ha.
 
350   Coperta da un velo
 la fé degli amanti,
 son tutti incostanti,
 non hanno pietà.
 
 SCENA IX
 
 CELINDO, poi don RAMERINO
 
 Celindo
 Qual da fulmine colto
355pastor ch’esser non sa morto o ferito,
 gli accenti del mio ben m’hanno stordito.
 Ma d’Artimisia il labbro
 quai detti pronunciò? Mi ama ella dunque,
 ella aspira al mio foco e la nipote
360non ha rossor di rendere infelice?
 E sugli occhi di lei lo svela e dice?
 don Ramerino
 Amico, non conviene
 l’ore all’ozio donar. Di chi ci onora
 le finezze gradir si mostra poco.
 Celindo
365Che volete da me?
 don Ramerino
                                     V’invito al gioco.
 Celindo
 Deh lasciatemi in pace.
 Ramerino
                                             Io non pretendo
 insidiarvi la borsa. Una partita
 sol per divertimento
 fino all’ora di pranzo.
 Celindo
                                          (Oh che tormento!)
 Ramerino
370Scegliete il gioco voi.
 Celindo
                                         Ma se vi dico...
 Ramerino
 Del tresette scoperto io sono amico.
 Vi darò quattro punti...
 Celindo
                                             Ora non posso.
 Ramerino
 Che vi turba Celindo? Ah convien dire,
 se ricusate il bel piacer del gioco,
375che vi opprima il cordoglio e non sia poco.
 Celindo
 Sì l’affanno mi opprime. Erminia, oh dio!
 dubita che di fede
 a mancarle cominci e non mi crede.
 Ramerino
 Compatisco il martir che vi dà pena.
380Ma per distrarre appunto
 da sì tristo pensiere
 la mente sbigottita,
 meco fare dovreste una partita.
 Celindo
 Deh per pietà...
 Ramerino
                                Credetemi che il gioco
385tutt’altro fa scordar. Quando seduto
 io sono al tavolier, mi scordo a un tratto
 degli affar, degli amici e de’ parenti;
 e quel ch’è meglio ancora
 tutti i debiti miei mi scordo allora.
 Celindo
390Per me tutto fia vano;
 non ritrovo piacer, pace non trovo
 se dell’idolo mio lo sdegno io provo.
 Non l’inutile gioco,
 non le feste, i teatri, il ballo, il canto
395mi potrian consolar, s’io vivo in pianto.
 
    Misero, senza il dolce
 conforto di speranza,
 misero sol m’avvanza
 l’affanno ed il dolor.
 
400   Perde la face il lume,
 se priva è d’alimento,
 come la face al vento
 langue nel seno il cor. (Parte)
 
 SCENA X
 
 Don RAMERINO solo
 
 don Ramerino
 E pur l’amore istesso,
405sia piacer, sia tormento o gelo o foco,
 perfetta analogia serba col gioco.
 Gode talor l’amante,
 talor smania e delira.
 Ora ride chi gioca ed or sospira.
410Cento disprezzi a un cuore
 compensa una finezza;
 e una vincita sola
 lo sfortunato giocator consola.
 Rimedio è dell’amore
415talor cambiare il foco;
 suol la sorte cambiar chi cambia gioco.
 E alfin consuma i giorni
 e alfin manda la casa in precipizio
 l’incauto amante e il giocator per vizio.
 
420   Un nobile affetto
 lo spirto serena.
 Giocar per diletto
 si può senza pena.
 In uno è difetto,
425nell’altro è virtù.
 
    Febrifugo arcano,
 mortale veleno
 la medica mano
 sa porgere al seno
430col semplice indiano
 che vien dal Perù. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 Gabinetto d’Artimisia con tavolino e sedie.
 
 ARTIMISIA sola
 
 Artimisia
 
    Secondar l’amante ognora
 a me sembra una viltà;
 il nocchier si stima allora
435che a contraria se ne va.
 
    A me piace dir di no,
 quando gli altri dicon sì.
 Chi mi vuole io son così,
 chi non vuol se n’anderà.
 
440Elà, tosto si rechino (Viene un paggio)
 due cioccolate a me. Del cavaliere
 cerchisi e sappia ch’io lo bramo adesso.
 Itene e a don Pacchion dite lo stesso.
 Misero don Pacchione.
445L’ora del pranzo differir mi piace
 per vederlo languire e il cavaliere,
 che solo in ozio non può star mezz’ora,
 nella camera mia passeggia ancora.
 Eccoli tutti due.
 
 SCENA XII
 
 Il CAVALIERE, don PACCHIONE e detta
 
 il Cavaliere
                                Obbediente
450vengo, madama, a’ cenni vostri.
 Pachione
                                                            Anch’io
 faccio per obbedirvi il dover mio.
 Artimisia
 Mesti vi veggo e scoloriti in viso.
 Qualche affanno improviso
 v’agita, vi conturba e opprime il cuore?
455In verità, signore, (Al cavaliere)
 con tal malinconia
 voi mi fate una bella compagnia.
 il Cavaliere
 Sol per darvi piacer...
 Artimisia
                                          Basta, non voglio
 sentire altra ragione.
460Qual disgrazia è accaduta a don Pacchione?
 don Pachione
 Dirò... Per me non parlo,
 che non curo mangiar; ma veramente
 l’ora s’avanza e per destin fatale
 quel vitel sì prezioso anderà a male.
 Artimisia
465Ecco il solito stil...
 don Pachione
                                   Per me non parlo.
 Per me fatta non è quella pietanza.
 Io mi pasco d’amore e di speranza.
 Artimisia
 Sentite. (Al cavaliere)
 il Cavaliere
                   E poi direte
 che son io l’infedel che non v’adora.
 Artimisia
470Questa cosa finor non dissi ancora.
 il Cavaliere
 Dunque se del mio amor...
 Artimisia
                                                   Tacete. Io peno
 nel vedervi penar, miseri entrambi.
 L’ora infatti del pranzo
 avanzando si va; mi disse il cuoco
475che vi manca non poco a dar in tavola
 e affamata son io come una diavola.
 Qualche cosa si faccia almeno intanto.
 Diciamo una canzone,
 stiamo un po’ in allegria,
480beviam la cioccolata in compagnia.
 don Pachione
 Sì sì la cioccolata
 darà un po’ di ristoro.
 il Cavaliere
 Scemerà una canzone il mio martoro.
 Artimisia
 Eccola qui la canzonetta amena
485con musica e parole.
 Ecco la cioccolata a chi ne vuole.
 don Pachione
 (Questa è per me).
 il Cavaliere
                                      Porgete a me quel foglio.
 Artimisia
 Aspettate, che pria bevere io voglio.
 don Pachione
 (E quando me la dà?)
 il Cavaliere
                                           Potrei frattanto
490darle una ripassata.
 don Pachione
 Si raffredda quell’altra cioccolata.
 Artimisia
 Ho finito. Tenete;
 lo stomaco con questa reficiate;
 su bevetela presto; e voi cantate.
 don Pachione
495Signora, in verità...
 il Cavaliere
                                      Se mi permette...
 Artimisia
 Quel ch’io dico si fa né si ripette.
 
    Bevete, se mi amate
 non ci pensate su.
 Per amor mio cantate,
500non aspettate più.
 
 don Pachione
 
    Ah pazienza! Canterò.
 
 il Cavaliere
 
 Per piacervi, io beverò.
 
 don Pachione
 
    «Il misero augelletto
 vede chi mangia il miglio
505e nella gabbia stretto
 canta digiuno ancor».
 
 Artimisia
 
    Che vi par? Non è bellina?
 
 il Cavaliere
 
 Bella inver ma canta male,
 se vi piace, io canterò.
 
 don Pachione
 
510Egli canti, io beverò.
 
 Artimisia
 
    Seguitate. Mi piacete.
 Terminate, via bevete,
 che ambidue vi goderò.
 
 il Cavaliere, don Pachione a due
 
    Che pazienza, che tormento!
515Questo è gusto? Signor no.
 
 Artimisia
 
 V’è altro gusto? Signor no.
 
 don Pachione
 
    «Muore di fame il lupo,
 vede mangiare e freme...»
 
 il Cavaliere
 
    Ma gli manca sino il fiato.
520Deh lasciate...
 
 Artimisia
 
                             Signor no.
 
 don Pachione
 
    Se l’amico s’è annoiato,
 quegli avanzi...
 
 Artimisia
 
                               Signor no.
 
 don Pachione
 
    Canti chi vuol cantare,
 io non ne posso più.
 
 Artimisia
 
525   «Muore di fame il lupo...»
 Io non ne posso più.
 
 il Cavaliere
 
    «Vede mangiare e freme...»
 
 don Pachione
 
 No non ne posso più.
 
 Artimisia
 
    Dunque si canti insieme.
 
 il Cavaliere, don Pachione, Artimisia a tre
 
530Cantisi dunque su.
 
 a tre
 
    Fiero tormento è amore,
 fame crudel tormenta;
 viva chi si contenta,
 viva chi gode ognor.
 
 Fine dell’atto primo