Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, Venezia, Savioli, 1770

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Cortile spazioso, ornato di spoglie virili all’intorno, acquistate in varie guise dalle accorte femine. Termina il cortile con archi maestosi, oltre i quali vedesi la gran piazza, da dove entrano nel cortile sovra carro trionfale, tirato da vari uomini:
 
 TULLIA, CINTIA, AURORA, precedute da coro di donne, le quali portano seco loro delle catene e delle vittoriose insegne. Mentre si canta dal coro, gli uomini s’incatenano
 
 TULLIA, CINTIA, AURORA
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
 CORO
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù.
 
 TULLIA
5Ite all’opre servili
 e partite fra voi le cure e i pesi.
 Altri alla rocca intesi,
 altri all’ago, altri all’orto o alla cucina,
 dove il nostro comando or vi destina.
 AURORA
10Obbedite, servite e poi sperate,
 che il regno delle donne
 è di speranza pieno;
 se goder non si può, si spera almeno.
 CINTIA
 E chi vive sperando
15per sua felicità muore cantando.
 CORO
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
    Non fa scorno, non dà pena
 volontaria schiavitù. (Partono gli uomini incatenati, condotti dalle donne. Le tre suddette scendono dal carro, il quale si fa retrocedere per la parte donde è venuto)
 
 SCENA II
 
 TULLIA, CINTIA ed AURORA
 
 TULLIA
20Poiché del viril sesso
 abbiam noi sottomesso il fier orgoglio,
 tener l’abbiamo incatenato al soglio.
 Ma quai credete voi,
 mie fedeli compagne e consigliere,
25fian migliori i progetti,
 gli uomini per tenere a noi soggetti?
 CINTIA
 Questo nemico sesso,
 di natura superbo ed orgoglioso,
 scuote e lacera il fren, quand’è pietoso.
30Col rigor, col disprezzo,
 soglion le scaltre donne
 tener gli uomini avvinti e incatenati.
 Se sono innamorati
 tutto soglion soffrire; e quanto sono
35più sprezzanti le donne e più crudeli,
 essi son più pazienti e più fedeli.
 AURORA
 È ver, ma crudeltà consuma amore.
 Io consiglio migliore
 credo sia il lusingarli,
40finger ognor d’amarli,
 accenderli ben bene a poco a poco
 e poi del loro amor prendersi gioco.
 TULLIA
 Né troppo crude né pietose troppo
 essere ci convien, poiché il disprezzo
45eccita la pietà soverchio usata.
 La fierezza è temuta e non amata.
 Regoli la prudenza
 il feminile impero.
 Or clemente, or severo
50il nostro cor si mostri
 ed il sesso virile a noi si prostri.
 CINTIA
 Ognun pensi a suo senno; io vuo’ costoro
 aspramente trattar; voglio vederli
 piangere e sospirare,
55fremere, delirare;
 e vuo’ che, dopo lungo
 crudo servire e amaro,
 un leggero piacer mi paghin caro. (Parte)
 
 SCENA III
 
 TULLIA ed AURORA
 
 TULLIA
 Aurora, ah non vorrei
60che per troppo voler s’avesse a perdere
 l’acquistato finor dominio nostro.
 Donne alfin siamo e a noi
 forza non diè natura
 che nei vezzi, nei sguardi e in le parole.
65Spade e lance trattar, loriche e scudi
 non è cosa da noi. Se l’uom si scuote,
 val più un braccio di lui che dieci destre
 di femmine vezzose e tenerelle
 ch’hanno il loro potere in esser belle.
 AURORA
70Tullia, voi, per dir vero,
 saggiamente parlate; e a voi la sorte
 diè sesso feminile
 ma il senno ed il saper più che virile.
 Anzi madre natura
75alla breve statura
 del vostro corpo graziosetto e bello
 ha supplito con darvi assai cervello.
 Indi la madre vostra
 vi diè il nome di Tullia con ragione,
80poiché sembrate un Tullio Cicerone.
 TULLIA
 Raguniamo il consiglio.
 Facciam che stabilite
 sieno leggi migliori, onde si renda
 impossibile all’uom scuotere il giogo.
85Che se l’uomo ritorna ad esser fiero
 farà strage crudel del nostro impero.
 
    Fiero leon, che audace
 scorse per l’ampia arena,
 soffre la sua catena
90e minacciar non sa.
 
    Ma se quei lacci spezza,
 ritorna alla fierezza,
 stragi facendo ei va.
 
 SCENA IV
 
 AURORA, poi GRAZIOSINO
 
 AURORA
 Che piacer, che diletto
95può recar alla donna il fier rigore!
 Il trattar con amore
 gli uomini a noi soggetti
 soffrir li fa la servitude in pace
 e la femina gode e si compiace.
100Io fra quanti son presi ai lacci nostri
 amo il mio Graziosino,
 amoroso, fedele e semplicino,
 e lo tratto, perché mi adori e apprezzi,
 con soavi parole e dolci vezzi.
105Elà... (Esce un servo)
              Venga qui tosto
 Graziosino, lo schiavo a me soggetto. (Parte il servo)
 Infatti il poveretto
 merita ch’io gli faccia buona ciera,
 se mi serve e mi fa da cameriera.
110Eccolo ch’egli viene. Ehi Graziosino.
 GRAZIOSINO
 Signora. (Viene facendo le calze)
 AURORA
                    Cosa fate?
 GRAZIOSINO
 Lavoro in fretta in fretta
 e in tre mesi ho fatt’io mezza calzetta.
 AURORA
 Lasciate il lavorar. Venite qui.
 GRAZIOSINO
115Bene signora sì.
 AURORA
 Obbedirete sempre i cenni miei?
 GRAZIOSINO
 Io faccio quello che comanda lei.
 AURORA
 Caro il mio Graziosino,
 siete tanto bellino.
 GRAZIOSINO
120Mi fate vergognar.
 AURORA
                                     Vi voglio bene.
 E vederete del mio amore il frutto.
 GRAZIOSINO
 Queste parole mi consolan tutto.
 AURORA
 Baciatemi la mano.
 GRAZIOSINO
                                      Gnora sì.
 AURORA
 Perché voi mi piacete,
125vi fo queste finezze.
 GRAZIOSINO
 Oh benedette sian le mie bellezze!
 AURORA
 Ma vuo’ che siete attento
 a servirmi qualora vi comando;
 la mattina per tempo
130mi recherete il cioccolato al letto;
 mi scalderete i panni;
 mi dovrete allestir la tavoletta;
 starete in anticamera aspettando
 per entrar il comando;
135e se verranno visite a trovarmi
 voi dovrete avvisarmi
 e come fanno i buoni servitori
 voi dovrete aspettar e star di fuori.
 GRAZIOSINO
 Di fuori?
 AURORA
                    Vi s’intende.
 GRAZIOSINO
140E dentro?
 AURORA
                      Signor no,
 aspettar voi dovrete.
 GRAZIOSINO
                                        Aspetterò.
 AURORA
 Se farete così vi vorrò bene.
 GRAZIOSINO
 Sì cara, farò tutto.
 Farò la cameriera,
145farò la cuciniera;
 farò tutte le cose più triviali;
 laverò le scudelle e gli orinali.
 AURORA
 In cose tanto abiette
 impiegarvi non vo’. Voi siete alfine
150il mio caro, il mio bello,
 il mio amor tenerello,
 il mio fedele amato Graziosino,
 tanto caro al mio cor, tanto bellino.
 
    Quegli occhietti sì furbetti
155m’hanno fatto innamorar;
 quel bocchino piccinino
 mi fa sempre sospirar;
 
    caro il mio bene,
 dolce mia spene,
160sempre sempre
 ti voglio amar.
 
    (Ei gode tutto
 e questo è il frutto
 della lusinga.
165Ami o lo finga
 donna che vuole
 l’uomo incantar).
 
 SCENA V
 
 GRAZIOSINO
 
 GRAZIOSINO
 Oh che gusto, o che gusto! Ah che mi sento
 andar per il contento il cor in brodo.
170Graziosin fortunato! Oh quanto io godo!
 Non si può dar nel mondo
 piacer che sia maggiore
 d’un corrisposto amore. Aman le belve,
 amano i sordi pesci, aman gli augelli,
175le pecore e gli agnelli;
 amano i cani e gatti
 e quei che amar non san son tutti matti.
 
    Quando gli augelli cantano,
 amor li fa cantar;
180e quando i pesci guizzano,
 amor li fa guizzar.
 
    La pecora, la tortora,
 la passera, la lodola
 amor fa giubilar.
185Oh che piacer amabile!
 Oh che gustoso amar!
 
    Farò lo cuoco, farò lo sguattero;
 laverò i piatti ed ettecetera,
 perché l’amore mi faccia il core
190movere, ridere e giubilar.
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 GIACINTO collo specchio in mano guardandosi con caricatura
 
 GIACINTO
 
    Madre natura,
 tu m’hai tradito.
 Ma t’ho schernito
 col farmi bello
195con il pennello,
 come le donne
 sogliono far.
 
 Questa parrucca invero,
 questo capel, che colla polve è intriso,
200fa risaltar mirabilmente il viso.
 Al ragirar di queste
 mie vezzose pupille
 spargo fiamme e faville; e questa bocca,
 che sembra agli occhi miei graziosa e bella,
205fa tutte innamorar quando favella.
 Queste donne son tutte
 invaghite di me; schiavo son io
 di queste belle, è vero,
 ma sovra il loro cor tutt’ho l’impero.
210Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,
 il nastro, la parrucca, i guanti, tutto,
 tutto assettar conviene e gli occhi e il labbro,
 colle dolci parole e i dolci sguardi,
 si prepari a vibrar saette e dardi.
 CINTIA
215(Ecco il bell’amorino). (Ironicamente)
 GIACINTO
 Mia sovrana, mio nume, a voi m’inchino.
 CINTIA
 E ben, che fate qui?
 GIACINTO
                                       Qual farfalletta
 d’intorno al vostro lume
 vengo, mia bella, a incenerir le piume.
 CINTIA
220Parmi con più ragione
 vi potreste chiamare un farfallone.
 GIACINTO
 Quella vezzosa bocca
 non pronunzia che grazie e bizzarie.
 CINTIA
 La vostra non sa dir che scioccherie.
 GIACINTO
225Deh lasciate ch’io possa
 coll’odoroso fiato
 de’ miei caldi sospiri
 quelle belle incensar guance adorate.
 CINTIA
 Andate via di qua; non mi seccate.
 GIACINTO
230Ah, se sdegnate, o bella,
 i fumi del mio cor, porterò altrove
 il mio guardo, il mio piede,
 il mio affetto sincero e la mia fede.
 CINTIA
 Olà, così si parla?
235Voi staccarvi da me? Voi d’altra donna
 servo, schiavo ed amante?
 Temerario, arrogante!
 Voi dovete soffrir le mie catene.
 GIACINTO
 Qual mercede averò?
 CINTIA
                                          Tormenti e pene.
 GIACINTO
240Giove, Pluton, Nettuno,
 dei tremendi e possenti,
 voi che udite gli accenti
 d’una donna spietata,
 spezzate voi questa catena ingrata.
245Sì sì, Nettun m’inspira,
 Giove mi dà valore;
 Pluto mi dà furore,
 perfida tirannia,
 umilmente m’inchino e vado via.
 CINTIA
250Fermatevi; ed avrete
 tanto cor di lasciarmi?
 Voi diceste di amarmi,
 di servirmi fedel con tutto il cuore
 ed ora mi lasciate? Ah traditore!
 GIACINTO
255Ma se voi mi sprezzate,
 se voi mi dileggiate,
 come s’io fossi un uom zotico e vile,
 e studio invan di comparir gentile.
 CINTIA
 Senza studiar, voi siete
260abbastanza gentil, grazioso e bello.
 Quell’occhio bricconcello,
 quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
 m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
 GIACINTO
 Dunque, cara, mi amate.
 CINTIA
                                                Sì, v’adoro.
 GIACINTO
265Idol mio, mio tesoro,
 lingua non ho bastante
 per render grazie al vostro dolce amore,
 concedete il favore
 che rispettosamente
270e umilissimamente
 io vi possa baciar la bella mano.
 CINTIA
 Oh signor no, voi lo sperate invano.
 GIACINTO
 Ma perché mai? Perché!
 CINTIA
 Queste grazie da me
275non si han sì facilmente.
 GIACINTO
 Io morirò.
 CINTIA
                      Non me n’importa niente.
 GIACINTO
 Dunque, se non v’importa,
 d’altra bella sarò.
 CINTIA
                                  Voi siete mio.
 GIACINTO
 Che ne volete far?
 CINTIA
                                    Quel che vogl’io.
 GIACINTO
280Ah quel dolce rigor più m’incatena!
 Soffrirò la mia pena,
 morirò, schiatterò, se lo bramate;
 basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
 
    In quel volto siede un nume
285che fa stragge del mio cor;
 in quegli occhi veggo un lume
 che mi fa sperar amor.
 E frattanto vivo in pianto
 ed un uomo sì ben fatto
290contrafatto morirà.
 
    Se adorata esser volete,
 ecco qui, v’adorerò; (S’inginocchia)
 se al mio cuore non credete,
 idol mio, vel mostrerò.
295Ma crudele, oh dei! non siete
 ed abbiate almen pietà.
 
 SCENA VII
 
 CINTIA, poi TULLIA
 
 CINTIA
 Oh quanto mi fan ridere
 con questo sospirar, con questo piangere.
 Gli uomini non s’avveggono
300che quanto più le pregano
 le donne insuperbite più diventano
 e gli amanti per gioco allor tormentano.
 TULLIA
 Cintia, che mai faceste
 al povero Giacinto? Egli sospira.
305Egli smania e delira;
 ah, se così farete,
 l’impero di quel cor voi perderete.
 CINTIA
 Anzi più facilmente
 lo perderei colla pietade e i vezzi.
310Gli uomini sono avvezzi
 per la soverchia nostra
 facilità del sesso
 a saziarsi di tutto e cambiar spesso.
 
    Se gli uomini sospirano,
315che cosa importa a me?
 Che piangano, che crepino
 ma vuo’ che stiano lì,
 anch’essi se potessero
 con noi farian così.
 
320   Laddove delle femmine
 il regno ancor non v’è
 la tirannia de’ perfidi
 purtroppo si infierì;
 ed or di quelle misere
325vendetta si fa qui.
 
 SCENA VIII
 
 TULLIA, poi RINALDINO
 
 TULLIA
 Ma io, per dir il vero,
 sono di cor più tenero di lei,
 son con gli amanti miei
 quanto basta severa ed orgogliosa;
330ma son, quando fia d’uopo, anco pietosa.
 Talor fingo il rigore,
 freno di lor l’affetto e la baldanza,
 fra il timore li tengo e la speranza.
 RINALDINO
 Tullia, bell’idol mio,
335de’ vostri servi il più fedel son io.
 Deh oziosa non lasciate
 la mia fede, il mio zelo,
 che sol quando per voi, bella, m’adopro,
 felicità nel mio destino io scopro.
 TULLIA
340Dite il ver Rinaldino,
 siete pentito ancor d’avervi reso
 suddito e servo mio? Vi pesa e incresce
 della smarrita libertà primiera?
 Sembravi la catena aspra e severa?
 RINALDINO
345O dolcissimi nodi,
 sospirati, voluti e cari sempre
 al mio tenero cor! Sudino pure
 sotto l’elmo i guerrieri; Astrea tormenti
 i seguaci del foro; e di Galeno
350sui fogli malintesi
 studi e s’affanni il fisico impostore.
 Io seguace d’amore,
 fuor della turba insana
 di chi mena sua vita in duri stenti,
355godo, vostra mercé, pace e contenti.
 TULLIA
 Noi con pietà trattiamo
 i vassalli ed i servi e non crudeli
 siamo coll’uom, qual colla donna è l’uomo.
 Noi da’ consigli escluse,
360prive d’autorità, come se nate
 non compagne dell’uom ma serve e schiave,
 solo ad opre servili
 condannate dal vostro ingrato sesso,
 far per noi si dovria con voi lo stesso.
365Ma nostra autorità, nostro rigore
 temprerà dolce amore
 ed il vostro servir, che non fia grave,
 sarà grato per noi, per voi soave.
 
    Cari lacci, amate pene
370d’un fedele amante core
 che ha saputo al dio d’amore
 consacrar la libertà.
 
    S’è vicino al caro bene,
 non risente il suo tormento
375ma ripieno di contento
 il destin lodando va.
 
 SCENA IX
 
 RINALDINO solo
 
 RINALDINO
 Dov’è, dov’è chi dice
 che dura ed aspra sia
 d’amor la prigionia? Finché un amante
380vive dubbioso e incerto
 fra il dovere e l’amor, fra il dolce e il giusto,
 pace intera non ha ma poiché tutto
 s’abbandona al piacer gode e non sente
 i rimorsi del cor... Ma oh dei! Purtroppo
385li risento al mio sen, malgrado al cieco
 abbandono di me fatto al diletto,
 e mi sgrida l’onore, a mio dispetto.
 Ah! Che farò? Si studi,
 se possibile sia, scacciar dal cuore
390il residuo fatal del mio rossore.
 
    Gioie care, un cuor dubbioso
 inondate di piacer
 e trionfi un bel goder
 dileguando il rio timor.
 
395   Benché sempre l’amoroso
 duro laccio è un impaccio,
 non diletto al nostro cor.
 
 SCENA X
 
 GIACINTO e AURORA
 
 GIACINTO
 Oh Diana mia gentil.
 AURORA
                                         Vago Atteone!
 GIACINTO
 Piacemi il paragone,
400poiché son vostro amante e vostro servo,
 ma oimè, che Atteone è diventato un cervo!
 AURORA
 Io crudele non son qual fu la dea.
 GIACINTO
 Né io sarò immodesto,
 qual fu il pastor dolente.
 AURORA
405Siete bello e prudente.
 GIACINTO
 Tutta vostra bontà.
 AURORA
 Giacinto, in verità
 voi mi piacete assai.
 GIACINTO
 Arder tutto mi sento a’ vostri rai.
 
 SCENA XI
 
 CINTIA e detti
 
 CINTIA
410(Con Aurora Giacinto?) (Da sé)
 AURORA
 Ma voi di Cintia siete.
 GIACINTO
 Più di lei mi piacete.
 Parmi che il vostro bello
 mi renda assai più snello,
415miratemi nel volto, a poco a poco
 come per vostro amor son tutto foco.
 CINTIA
 Acqua, acqua, padrone, acqua vi vuole
 il foco ad ammorzar.
 GIACINTO
                                        Oh Cintia mia,
 ardo d’amor per voi.
 CINTIA
420Ingannarmi non puoi,
 ho le parole tue tutte ascoltate.
 GIACINTO
 Deh mia vita...
 CINTIA
                              E saranno bastonate.
 GIACINTO
 Bastonate a un par mio? Deh Aurora, a voi
 l’onor mio raccomando.
 AURORA
425Siete schiavo di Cintia, io non comando.
 CINTIA
 E voi, gentil signora,
 vi dilettate di rapire altrui
 il vassallo e l’amante?
 AURORA
 Faccio quello ancor io che fanno tante.
 CINTIA
430Ma con me nol farete.
 AURORA
                                          Allor che sappia
 di darvi gelosia,
 voi dovrete tremar dell’arte mia.
 CINTIA
 Distrutto in questa guisa
 nostro impero sarà.
 AURORA
                                       Poco m’importa;
435pria che ceder al vostro
 fasto superbo e altero,
 vada tutto sossopra il nostro impero.
 CINTIA
 Giacinto, andiam.
 GIACINTO
                                    Vengo.
 AURORA
                                                   Crudel, voi dunque
 mi lasciate così?
 GIACINTO
                                 Ma se conviene...
 CINTIA
440Si viene o non si viene?
 GIACINTO
                                              Eccomi lesto.
 AURORA
 Morirò, se partite.
 GIACINTO
                                    Eccomi, io resto.
 CINTIA
 
    Venite o ch’io vi faccio
 provare il mio furor.
 
 AURORA
 
    Ingrato crudelaccio,
445voi mi strappate il cor.
 
 GIACINTO
 
    (Mi trovo nell’impaccio
 fra amore e fra timor).
 
 CINTIA
 
    Voi siete il servo mio.
 
 GIACINTO
 
 È vero, sì signora.
 
 AURORA
 
450Amante vi son io.
 
 GIACINTO
 
 Anco il mio cor v’adora.
 
 CINTIA
 
 Voglio esser obbedita.
 
 GIACINTO
 
 Ed io v’obbedirò.
 
 AURORA
 
 Non merto esser tradita.
 
 GIACINTO
 
455Io non vi tradirò.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
    E ben che risolvete?
 
 GIACINTO
 
 Mie belle, se volete,
 io mi dividerò.
 Contente voi sarete,
460non dubitate no.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
    Di qua non vi partite,
 adesso tornerò.
 
 GIACINTO
 
    Contente voi sarete,
 non dubitate no. (Partono le due donne)
 
465   Quest’è un imbroglio;
 no, più non voglio
 farmi sì bello.
 Perde il cervello
 chi mi rimira.
470Ognun sospira
 per mia beltà.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
    Ecco ritorno,
 eccomi qua.
 
 GIACINTO
 
    Belle mie stelle
475chiedo pietà.
 
 AURORA
 
    Questo è il mio core (Gli presenta un core)
 per voi piagato.
 
 CINTIA
 
 Questo è un bastone (Gli mostra un bastone)
 per voi serbato.
 
 GIACINTO
 
480Son imbrogliato.
 
 AURORA
 
 Se lo bramate,
 ve lo darò.
 
 CINTIA
 
 Di bastonate
 v’accopperò.
 
 GIACINTO
 
485   (L’una: «Ti dono»,
 l’altra: «Bastono»;
 quella il furore,
 quella l’amore,
 cosa farò?)
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
490Via risolvete.
 
 GIACINTO
 
 Risolverò.
 
    La vostra tirannia
 piacere non mi dà. (A Cintia)
 La vostra cortesia
495contento più mi fa.
 
 AURORA
 
    Venite dunque meco.
 
 GIACINTO
 
 Con voi mi porterò.
 
 CINTIA
 
    Briccon, se parti seco
 io ti bastonerò.
 
 GIACINTO
 
500   Da voi le bastonate,
 da lei gli amplessi avrò.
 
 CINTIA
 
    Indegno, scelerato,
 io mi vendicherò.
 
 GIACINTO
 
    (Gridate, strepitate).
 
 AURORA
 
505(Intanto goderò).
 
 Fine dell’atto primo