Amor contadino, Venezia, Fenzo, 1760

Vignetta Frontespizio
 SCENA III
 
 CLORIDEO ed il suddetto
 
 Clorideo
 
    Pace bramo e non la spero,
 mi tormenta il dio d’amor.
 
95   Ah per tutto il nume altero
 tende lacci a questo cor.
 
 Timone
 Che hai che ti lamenti?
 Clorideo
                                             Oh mio benefico,
 generoso Timone, io non mi lagno
 né di voi né di queste
100umili mie fatiche;
 delle stelle mi lagno al cuor nemiche.
 Timone
 Delle stelle ti lagni? Io crederei
 ti dovessi lagnar con più ragione
 del caldissimo sol della stagione.
 Clorideo
105No, punto non m’inquieta
 il sol co’ raggi suoi. Rose e viole
 nell’orto ho trappiantate,
 come mi avete imposto,
 né i bollori temei del caldo agosto.
110Quello che il sen m’accende
 è un fuoco assai maggiore.
 Timone
 E qual foco sarà?
 Clorideo
                                  Foco d’amore.
 Timone
 Povero disgraziato!
 Me ne dispiace assai,
115che anche in mezzo del verno arder dovrai.
 Clorideo
 Ah se da voi mi lice
 sperar nuova pietà, domando a voi
 providenza a quel mal che in me piangete.
 Timone
 Ma che posso far io?
 Clorideo
                                        Tutto potete.
120Nacque nel vostro tetto
 fiamma che m’arde il petto.
 Quella che estinguer può sì dura pena
 è figlia vostra.
 Timone
                             E qual di lor?
 Clorideo
                                                        La Lena.
 Timone
 E sposarla vorresti?
 Clorideo
                                       Oh me felice
125se sperarla poss’io!
 Timone
                                      Mio caro Silvio,
 veggio che tu lo merti e volontieri
 consolarti vorrei.
 Ma non so ben chi sei. Venisti a offrirti
 per giardinier. Ti riconobbi in volto
130faccia di galantuom, perciò ti ho accolto.
 Ma per darti una figlia,
 vedi che ciò non basta. Hai da far noto
 il paese, i parenti e la cagione
 ch’errante peregrin ti feo finora
135e risposta miglior darotti allora.
 
    Vivo anch’io coi miei sudori,
 poveruomo sono anch’io;
 ma, figliuolo, il sangue mio
 non lo voglio strapazzar.
 
140   Tanto è il cuor del cittadino
 quanto a quel del contadino,
 la natura a tutti è madre
 ed insegna al cuor d’un padre
 sulla prole invigilar.