Il filosofo di campagna, Venezia, Zatta, 1795

 SCENA XIV
 
 LA LENA e detti
 
 LENA
930Signor zio, signor zio, che cosa fate?
 Lontano discacciate
 colei che d’ingannarvi ora s’impegna;
 d’essere vostra sposa non è degna.
 LESBINA
 (Qualche imbroglio novello).
 NARDO
                                                       Ha forse altrui
935data la fé di sposa?
 LENA
                                      Eh, signor no.
 Quel ch’io dico lo so per cosa vera;
 ella di don Tritemio è cameriera.
 LESBINA
 (Ah maledetta!)
 NARDO
                                 È ver quel ch’ella dice? (A Lesbina)
 LESBINA
 Ah misera, infelice!
940Compatite se tanto
 amor mi rese ardita.
 Finsi il grado, egli è ver, perché v’adoro,
 per voi languisco e moro.
 Confesso il mio fallire;
945ma voglio essere vostra oppur morire.
 NARDO
 Poverina!
 LENA
                     Vi pare
 che convenga sposare
 a un uomo come voi femmina tale?
 NARDO
 Non ci vedo alcun male.
950Per me nel vostro sesso
 serva o padrona sia, tutt’è lo stesso.
 LESBINA
 Deh per pietà donate
 perdono all’error mio.
 NARDO
 Se mi amate di cor, v’adoro anch’io.
955Per me sostengo e dico,
 ed ho la mia ragione,
 che sia la condizione un accidente.
 Sposar una servente
 che cosa importa a me, se è bella e buona?
960Peggio è assai s’è cattiva una padrona.
 
    Se non è nata nobile
 che cosa importa a me?
 Di donna il miglior mobile
 la civiltà non è.
965Il primo è l’onestà;
 secondo è la beltà;
 il terzo è la creanza;
 il quarto è l’abbondanza;
 il quinto è la virtù;
970ma non si usa più.
 
    Servetta graziosa,
 sarai la mia sposa,
 sarai la vezzosa
 padrona di me. (Parte)