Statira, Venezia, Rossetti, 1742

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 SCENA VII
 
 Vestibulo della parte posteriore del tempio.
 
 ORONTE, poi ASPASIA
 
 ORONTE
 E sin a quando, o dei,
 soffrir dovrò cotesto
 vergognoso rifugio all’onor mio?
 Cieli! Che veggo?
 ASPASIA
                                   Oronte, a te ne vengo
1005colpevole non già qual mi credesti;
 già il sai...
 ORONTE
                      Tutto m’è noto;
 so l’innocenza tua.
 ASPASIA
                                    Vengo, o mio caro,
 ad aprirti uno scampo; o morte o vita
 in questo punto eleggi.
1010Dario il foglio vergò; prendilo e leggi.
 ORONTE
 «Dal carcere ch’eletto (Legge)
 si ha d’Oronte il timore, Oronte fugga.
 S’ei la sua fede impegna
 di svenar Artaserse
1015saran premio del colpo
 Statira, Aspasia e quanto
 Ciro già possedea.
 La reale mia fé tanto assicura,
 son testimoni i dei e Dario il giura».
1020Ad Oronte si chiede un tradimento.
 A Dario riedi; questo
 indegno foglio ad esso rendi e digli
 che l’orribile aspetto della morte
 cotanto non ottien dal cor del forte.
 ASPASIA
1025Io lo sapea, cor mio, che la gelosa
 tua gloria ne fremea. Ma dimmi, o caro,
 Dario ti addita pure in Artaserse
 un tuo crudel nemico!
 Oronte
                                           Ei me lo additi
 o circondato in campo
1030dagli eserciti suoi o in vuota arena
 e privata tenzon col ferro in pugno;
 e sul capo esecrando
 egli vedrà s’io so ruotare il brando.
 ASPASIA
 Né i prieghi miei potran...
 ORONTE
                                                   T’escan dal core
1035per più giusta cagion.
 ASPASIA
                                          Sì, sì, comprendo
 la tua virtude, il mio dover. Perdona
 se cotanto tentai la tua costanza.
 Bello è il morir se porta
 alla tomba la gloria invitto eroe.
1040Non dubitar giammai
 che al tuo voler s’opponga il voler mio.
 Amami, ciò mi basta, Oronte addio. (Parte)