Statira, Venezia, Rossetti, 1741

Vignetta Frontespizio
 SCENA IV
 
 Appartamenti di Statira con tavolino e sedia.
 
 STATIRA, poi ARTABANO, guardie sulle porte e paggio
 
 Statira
 Venga Arbace... Ma no; t’arresta. Oh dio! (Al paggio)
 Come al bell’idol mio,
 come potrei svelar l’interno ardore,
 se il timor, se il rossore
465che dal seno al sembiante or si difonde
 m’avilisce, mi turba e mi confonde?
 Ah se d’Arbace il nome
 tale confusion mi desta in petto,
 d’Arbace, oh dio! che non faria l’aspetto.
470E pur parlar m’è forza
 se morir non vogl’io. Su via, si parli
 ma col labbro non già. La man supplisca
 della voce all’uffizio e, se mi priva
 di coraggio il rossor, la mano scriva.
475Olà nessuno audace
 sturbarmi ardisca e più non entri Arbace. (Parte il paggio)
 Destra coraggio. Una gran parte scema
 di timido rispetto
 poter del proprio affetto
480non veduta parlar. «Mio caro Arbace (Scrive)
 soffri che il grande arcano
 che la voce non può scopra la mano.
 Troppo vago tu sei,
 principe, agl’occhi miei
485per poter non amarti. Abbi pietade
 del misero cor mio. Per te sospira,
 per te bell’idol mio piange...»
 Artabano
                                                        Statira,
 perdona se il tuo cenno...
 Statira
                                                Il cenno mio
 si rispetta sì poco? A te l’ingresso
490contrastato non fu? Punir l’eccesso
 de’ custodi saprò.
 Artabano
                                   Ma ad Artabano
 delle tue regie stanze
 impedito giammai non fu l’ingresso.
 Statira
 Non è il regio voler sempre lo stesso.
 Artabano
495Numi! Qual colpa mia...
 Statira
                                              Basta, che vuoi?
 Spiegati e tosto parti.
 Artabano
                                          Arbace...
 Statira
                                                             Arbace
 forse è quel che t’invia?
 Artabano
                                              Sì.
 Statira
                                                      Che richiede
 il principe da me? Fido Artabano,
 dimmi, che sperar posso
500dal cuor dell’idol mio?
 Artabano
                                           Grazie agli dei.
 Placato è il tuo furor.
 Statira
                                         Non tormentarmi.
 Dimmi, Arbace che vuol?
 Artabano
                                                 Brama vederti.
 Per tuo cenno venia, poi per tuo cenno
 fu il suo passo arestato. Ei ne stupisce,
505ei si lagna di te.
 Statira
                                Per poco ancora
 fa’ che là si trattenga.
 Artabano
                                          Invan lo speri.
 Statira
 Perché?
 Artabano
                  Perché sdegnato
 Persepoli abbandona. Invan pretendi,
 se vederlo ricusi,
510che il principe alla reggia io più trattenga.
 Statira
 Vanne, vanne, Artabano; Arbace venga.
 Artabano
 Deh non soffrir che invano
 t’offra il destin pietoso
 occasion sì felice...
 Statira
                                    Oh dei! Va’ tosto,
515che, se Arbace mi lascia,
 morirò disperata.
 Artabano
 (Quanto mi costi mai, Rosane ingrata!) (Parte)