Statira, Venezia, Rossetti, 1741

Vignetta Frontespizio
 SCENA VI
 
 Giardino nella reggia.
 
 LEARCO e ROSANE
 
 Learco
 Rosane, addio.
 Rosane
                              Dove, Learco, dove
 mesto così?
 Learco
                         Vado a morire altrove.
 Rosane
 A morire! Perché?
 Learco
                                     Perché non soffre
 il cor di te geloso
190rimirarti vicina ad altro sposo.
 Rosane
 Ma non lo sono ancor.
 Learco
                                          Pochi momenti
 restano, ingrata, a stabilir il nodo.
 D’intorno altro non odo
 che repplicar i nomi
195di Rosane e di Arbace;
 e vuoi ch’io soffra in pace
 un tormento sì rio?
 No, soffrirlo non so; Rosane, addio.
 Rosane
 Fermati; io tel comando
200con quell’autorità che sul tuo cuore
 mi concedesti.
 Learco
                              Oh dio!
 Mi conviene obbedir. Ma poi, se resto,
 che sperar potrò mai?
 Rosane
                                           Della speranza
 arbitro è ognun.
 Learco
                                 Ma se d’Arbace al nodo
205acconsente il tuo cor quale lusinga
 può rimanermi allora?
 Rosane
 Sposa d’Arbace io non divenni ancora.
 Learco
 Ah dimmi che non sdegni
 la mia fé, l’amor mio,
210che Learco anteponi ad uno sposo
 dal genitor, non dal tuo core eletto.
 Dimmi che il puro affetto
 t’accese alfin, con cui finor t’amai.
 E allora mi vedrai
215tutto soffrir, tutto sperar. Col sangue
 ricuperar m’impegno
 la tua tradita libertà. Coraggio
 non mi manca, Rosane; ardisci, imponi;
 tutto saprò tentar; tutto, mia vita,
220farò per te, pur che un tuo sguardo solo
 del tuo amor m’assicuri. Ah tu non parli?
 Ma che creder poss’io?
 Ma che sperare? Oh dio!
 Son sinceri i tuoi detti o son mendaci?
 Rosane
225Credi pur ciò che vuoi; ma resta e taci.
 Learco
 
    Vuoi ch’io resti? Io resterò.
 Vuoi ch’io taccia? Io tacerò.
 Ma tacendo morirò.
 Ma restando troppo, oh dio!
230il duol mio si accrescerà.
 
    Un eccesso di dolore
 pria dagl’occhi e poi dal core
 tutto il sangue mi trarrà.