Statira, Venezia, Rossetti, 1741

Vignetta Frontespizio
 SCENA IV
 
 STATIRA, ARBACE
 
 Statira
 Principe, inver tu merti
 più fortuna in amor.
 Arbace
                                        Non son del tutto
 sventurato però.
 Statira
                                 Se la fredezza
 di Rosane appagar puote il tuo foco,
120perdonami, signore, ami ben poco.
 Ma che amar in Rosane,
 ma che puoi vagheggiar? Di donna i lumi
 vaghi non son, se dell’interno ardore
 non ostentan la fiamma; invan si loda
125bel labbro che non sappia
 il dolce nome proferir d’amore;
 invan si apprezza un core
 che non senta d’amor la viva face.
 E Rosane ti piace?
130E l’adori e la brami?
 Dimmi almen la cagion per cui tu l’ami.
 Arbace
 L’amo qual si conviene
 allo sposo la sposa e l’amo quanto
 il grado di Rosane
135esigge dal mio cor. Però sì poco
 parlai seco d’amor, finor sì poco
 vagheggiai quel sembiante
 ch’io non sono di lei perduto amante.
 Statira
 Dunque il tuo cor potrebbe
140fiamma sì poco accesa
 facilmente ammorzar.
 Arbace
                                           No, se alimento
 il foco di Rosane a lei prestasse.
 Statira
 E se questo mancasse
 alla tua fedeltà stimolo eletto?
 Arbace
145Mancherebbe anch’in me forse l’affetto.
 Statira
 Interprete e custode
 del reale voler di Dario estinto,
 principe, io son. Non è voler di Dario
 che una figlia e un nipote
150siano sagrificati
 a forzato imeneo. Tutto sospendo
 e libertade ai vostri cori io rendo.
 
    In libertà ritornino
 i primi affetti tuoi;
155ed ama allora poi
 chi ti consiglia il cor.
 
    Beltà cotanto semplice
 non sa recar diletto;
 non merita il tuo affetto
160chi non conosce amor.