Oronte re de’ Sciti, Venezia, Rossetti, 1740

Vignetta Frontespizio
 SCENA III
 
 AMASIA, indi ALCASTO
 
 Amasia
 Nell’aspra lontananza
110ch’io soffro dal mio ben, sentir non posso
 ragionarmi d’amor. Perfido amore,
 quando il cor m’accendesti,
 che non mi promettesti?
 Ma non ebbi da te che doglie e affanni.
115Le promesse d’amor son tutti inganni.
 Alcasto
 Amasia, ah non vuo’ dirti idolo mio,
 perché più non ti sdegni. Il so che m’odi;
 ma evitarti non posso.
 Amasia
                                           (Ecco un novello
 sturbator di mia pace. Amor si prende
120gioco di me). (Da sé)
 Alcasto
                            Non ispiacerti, o bella,
 questa volta sperai.
 Amasia
                                      Perché?
 Alcasto
                                                       So quanto
 ami Alcamene. Ei non è lungi ed io
 venni a recarti il fortunato aviso...
 Amasia
 Ferma; uccide il piacer quand’è improviso.
125Tanto vicin non posso
 figurarmelo ancor.
 Alcasto
                                     V’è chi veduto
 ha l’esercito suo da queste mura.
 V’è chi incontro gli andò. Sino il tiranno
 mandò seco a trattar. S’ode la regia
130tutta d’intorno risuonar festiva.
 Per accoglier il prence
 ognun fatica a gara;
 chi gli archi inalza e chi trofei prepara.
 Amasia
 Ed io l’ultima sono
135il suo arrivo a saper? Io che in lui vivo?
 Che sua già son? Che in petto
 ho il suo bel nome impresso?
 Misera condizion del nostro sesso!
 Alcasto
 Poiché serbò la sorte
140a me l’onor di consolarti, Amasia,
 non negarmi mercé.
 Amasia
                                        Che mai pretendi
 da chi suo non ha il cuor!
 Alcasto
                                                Bastami solo
 che non m’odi, crudel. Per me nel seno,
 se amor non puoi, serba pietade almeno.
 Amasia
145Sì sì, dalle mie pene
 io misuro le tue. So qual tormento
 sia l’amar senza frutto; e mi figuro
 senza speme qual sia. Mi fa pietade,
 principe, il tuo destin. Pietoso amore,
150credimi, quanto al mio bramo al tuo core.
 
    Pietoso amor consoli
 l’acerbo tuo dolore.
 Ei possa nel tuo core
 le fiamme un dì cangiar.
 
155   Dalla tua mente involi
 l’imagine di questa
 che il viver tuo funesta,
 che non ti puote amar.