De gustibus non est disputandum, Venezia, Fenzo, 1754

Vignetta Frontespizio
 SCENA IV
 
 CELINDO, poi don PACHIONE
 
 Celindo
 Alfin si placherà, placato io sono.
1160Ogn’onta le perdono... Ma qual onta?
 Ella non m’ha sprezzato.
 Artimisia l’ha detto ed ha scherzato.
 È ver che siamo in villa,
 che di tutto si può prendersi gioco.
1165Ma Artimisia, per dirla, eccede un poco.
 don Pachione
 Amico, allegramente.
 Celindo
 Allegri se si può.
 don Pachione
 Allegri, che stassera io mangerò.
 Celindo
 D’essere avvelenato
1170non avete paura?
 don Pachione
 No, Artimisia mel dice e m’assicura.
 Celindo
 Ed io credo che mai
 vi sia stato per voi cotal periglio,
 scherza Artimisia e noi pone in scompiglio.
 don Pachione
1175Sia com’esser si voglia
 stassera mangerò; questo mi basta.
 Se giunger posso a lavorar coi denti
 i perigli mi scordo ed i tormenti.
 Celindo
 Già la sera s’avanza,
1180nella vicina stanza
 s’imbandisce la mensa e manca poco
 a consolarvi affatto.
 don Pachione
 Artimisia da me voluto ha un patto.
 Celindo
 E quale?
 don Pachione
                    Pria che giunga
1185l’ora d’andare a cena
 vuol ch’io abbia la pena
 di stare a tavolino
 col gioco a trattener Ramerino.
 Celindo
 Che bizzaro pensier.
 don Pachione
                                        Dice che a tutti
1190vuol dar sodisfazione,
 contenta di ciascun vuol la passione.
 Obbedirla anche in ciò da me si deve
 ma farò una partita breve breve.
 Celindo
 Voi amate Artimisia e non sapete
1195ch’ella del cavalier...
 don Pachione
                                       Pazzo è il meschino.
 Celindo
 Non credo che lo sia ma se tal fosse
 è certa la ragione,
 che Artimisia di tutto è la cagione.
 
    Ah sono pur tanti
1200que’ miseri amanti
 che vivono in pene
 fra l’aspre catene
 ed han per mercede
 d’amore e di fede
1205tormenti e rigor.
 
    Resister non puote
 a legge sì dura.
 Lo spirto si scuote,
 la mente s’oscura.
1210Si cangia in deliri
 l’ardor de’ sospiri
 d’un misero cor. (Parte)