De gustibus non est disputandum, Venezia, Fenzo, 1754

Vignetta Frontespizio
 SCENA II
 
 CELINDO e detti
 
 Celindo
 Che si vuole da me?
 Artimisia
                                        Celindo caro,
 la maschera mi levo e parlo chiaro.
 Finsi amare con voi sol per far prova
1110della costanza vostra
 con Erminia che v’ama;
 e mi ha scandalizzato
 debol tanto trovarvi e tanto ingrato.
 Celindo
 Merito è ver lo scherno,
1115merito sdegno e non domando amore.
 Ma se pietoso il cuore
 s’arrese al vostro pianto,
 reo della colpa mia non son poi tanto.
 Artimisia
 Uditelo nipote;
1120ei da sé stesso mancator s’accusa
 e nel merito mio trova la scusa.
 Di pietà non è indegno
 chi mi apprezza e mi stima a questo segno.
 Erminia
 Se vi fanno pietà gli affetti suoi
1125consolatelo voi. (Ad Artimisia)
 Artimisia
                                E perché no?
 Se lo dite davvero io lo farò.
 Erminia
 (Misera me!)
 Artimisia
                            Finiamola.
 Venite qui. (A Celindo)
 Celindo
                         Obbedisco.
 Artimisia
 Datemi quella mano.
 Erminia
                                         (Oimè, che tenta?)
 Artimisia
1130Nipotina gentil siete contenta?
 Erminia
 Ah che voi mi tradite.
 Amo ancor quell’ingrato,
 lo confesso purtroppo a mio rossore;
 voi da questo mio sen strappate il cuore.
 Artimisia
1135Ah ah l’ho indovinata.
 L’avete confessata
 la passione che ancor v’arde di drento.
 Ora è il mio cuor contento.
 Ecco, Celindo è vostro e non è mio.
1140Aggiustatevi voi; signori, addio. (Parte)