De gustibus non est disputandum, Venezia, Fenzo, 1754

Vignetta Frontespizio
 L’AUTORE A CHI LEGGE
 
 Lettor carissimo,
    se uno tu sei di quegli a’ quali abbia io protestato di non volere quest’anno e forse mai più comporre de’ simili drammi buffi, voglio anche communicarti la ragione che ad astenermene mi obbligava ed i motivi che mi hanno fatto dal mio proponimento discendere. Il dramma serio per musica, come tu saprai, è un genere di teatrale componimento di sua natura imperfetto, non potendosi osservare in esso veruna di quelle regole che sono alla tragedia prescritte. Molto più imperfetto il dramma buffo esser dee perché, cercandosi dagli scrittori di tai barzellette servire più alla musica che a sé medesimi e fondando o nel ridicolo o nello spettacolo la speranza della riuscita, non badano seriamente alla condotta, ai caratteri, all’intreccio, alla verità, come in una commedia buona dovrebbe farsi. Questa è poi la ragione per cui cotai libretti, che si dicono buffi, rarissime volte incontrano; io ne ho fatti parecchi che il Tevernini, libraio in Merceria alla Provvidenza, ha potuto stamparne quattro tometti in dodicesimo. Di questi alcuni hanno avuto fortuna grande, altri mediocre ed alcuni altri l’hanno sofferta pessima e questi forse saranno i men cattivi e più regolati de’ primi. L’esito dipende talora dalla musica, per lo più dagli attori e sovente ancora dalle decorazioni. Il popolo decide, a seconda dell’esito, se l’opera è a terra, il libro è pessimo. Se è un poco serio, è cattivo perché non fa ridere; se è troppo ridicolo, è cattivo perché non vi è nobiltà. Volea pure imparare il modo di contentare l’universale, anche in questo genere di composizioni, ma in sei anni, che la necessità e gl’impegni mi costringono a doverne fare, non ho veduto alcun libro straniero che abbia avuto fortuna e che potesse insegnarmi. Disperando dunque di poter far meglio e di ottenere né lode né compatimento, avea risoluto di tralasciare un esercizio sì disgustoso, reso anche peggiore dalle fatiche che porta seco l’impegno della direzione al teatro. Quest’anno, in cui circondato mi trovo dalle più pesanti faccende, al mondo bastantemente palesi, era per me opportuno per tale risoluzione; tuttavolta non siamo sempre padroni di noi medesimi e l’uomo dee tutto sagrificare al dovere, alla gratitudine, all’onestà. Un comando di persona autorevole, protettrice, benefica e generosa mi ha costretto a dover fare anche questo e non è la protesta mia quella solita degli scrittori ma purtroppo quegli che vanno a caccia di novità l’hanno saputo anche prima che io mi determinassi di farlo.
    Ho proccurato di scriverlo in una maniera che corrisponder potesse al merito ed al buon gusto di chi mi ha onorato di comandarmi di scrivere ma non ho potuto staccarmi affatto dal consueto sistema. Se piacerà ad alcuni, siccome io spero, e dispiacerà ad altri, come son certo, si verificherà il titolo dell’operetta De gustibus non est disputandum.
    Non sono il primo io che ad una commedia italiana abbia dato il titolo latino, avendone veduta un’altra, ancora più stranamente intitolata Sine nomine.
    Auguro a questa operetta la fortuna dell’altra mia che Il mondo della luna ha per titolo, non per il felicissimo incontro suo sulle scene ma per essere stata lodata da un peregrino ingegno che sull’argomento medesimo ha dato in luce il più bel poemetto del mondo. Bramerei conoscere questo valoroso scrittore, per ringraziarlo dell’onore che egli a me fa ed alle opere mie, per seco lui consolarmi del bellissimo estro suo e della sua erudizione, e per animarlo a produrre il seguito di un’opera così graziosa; poiché stando egli dietro al quadro ad udire, sentirà gli uomini di senno a lodarla e non baderà agl’invidiosi, agl’ignoranti, ai critici, siccome pacificamente soglio fare ancor io. Vivi felice.